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Tutela bene della salute condizionante scelte pa entro limiti legalità e proporzionalità


Se, invero, non può negarsi che il bene-interesse alla salute (e, quindi, anche alla pubblica incolumità) richieda una tutela piena e assoluta, non può tuttavia ritenersi che esso renda recessiva ogni altra regola dell’ordinamento, configurandosi alla stregua di un’aperta e innominata causa di giustificazione, di amplissima latitudine.
         Deve piuttosto affermarsi che la considerazione della necessità di tutelare il bene della salute può e deve orientare le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, ma nel rispetto degli altri canoni fondamentali che governano l’azione amministrativa e, tra questi, si allude principalmente al principio di legalità e a quello di proporzionalità. Detto altrimenti, e in sintesi, la natura assoluta del diritto alla salute non legittima l’amministrazione all’adozione di misure extra ordinem, anche al di fuori delle ipotesi tassativamente tipizzate dall’or-dinamento; la protezione giuridica del bene-interesse in questione va piuttosto perseguita nell’osservanza delle discipline giuridiche a tal fine stabilite. La tutela della salute deve essere assicurata all’interno dello svolgimento dei procedimenti normativi e amministrativi e attraverso l’adozione di provvedimenti, tipici e nominati, quand’anche di necessità e urgenza.
        
Sotto altro profilo il carattere di assolutezza della tutela da assicurare al bene salute va comunque conformata al principio di proporzionalità (o del minimo mezzo) che non a caso permea anche la disciplina generale sulle “cause di giustificazione” dell’illecito civile. Si intende sostenere che, alla stregua del fondamentale criterio di ragionevolezza dell’agire amministrativo, il mezzo (giuridico) adottato deve sempre risultare adeguato al fine da conseguire; in altri termini, la tutela della salute (o della incolumità pubblica), laddove il pericolo da fronteggiare non sia di estrema gravità o quando non sussista una particolare urgenza di provvedere, non giustifica alcuna deroga alle normali procedure amministrative.
         Una volta calati i principi sopra esposti al caso in esame, emerge in tutta evidenza come – diversamente da quanto opinato dal T.A.R. – l’illegittimità (grave) viziante il provvedimento dirigenziale annullato non fosse affatto “giustificata” dalla necessitata urgenza di tutelare il bene salute, siccome sostenuto dal Tribunale e dal Comune di Catania. Ed invero, considerata la natura solo eventuale del pericolo di pregiudizio ravvisato, l’amministrazione comunale avrebbe avuto tutto il tempo per avviare un ordinario procedimento normativo finalizzato a modificare il locale regolamento sulla pubblicità nella parte in cui consentiva l’affissione dei gonfaloni agli impianti dell’illumi-nazione pubblica.
a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla  decisione numero 508 del 29  maggio  2013  pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale

 

Sentenza integrale

 

N. 508/13     Reg.Sent

 

N.   1062       Reg.Ric.

 

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso in appello n. 1062 del 2012 proposto da

RICORRENTE s.r.l.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Paola Strano, elettivamente domiciliata in Palermo, via Nunzio Morello n. 40, presso lo studio dell’avv. Antonietta Sartorio;

c o n t r o

il COMUNE DI CATANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Santa Anna Mazzeo, da intendersi domiciliato in Palermo, via Filippo Cordova n. 76, presso la segreteria di questo Consiglio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania (sez. II) – n. 1506 dell’11 giugno 2012.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ente civico intimato;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il consigliere Gabriele Carlotti;

Uditi alla pubblica udienza del 17 aprile 2013 l’avv. S. Martella, su delega dell’avv. P. Strano, per la società appellante e l’avv. S. A. Mazzeo per il comune appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O   e   D I R I T T O

1. – Giunge in decisione l’appello, interposto dalla Ricorrente s.p.a. (d’ora in poi: Ricorrente) avverso la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha respinto (compensando le spese processuali) il ricorso proposto in primo grado dall’odierna appellante, onde ottenere la condanna del Comune di Catania al risarcimento dei danni derivanti dall’annul-lamento della determinazione dirigenziale della Direzione IV del Comune di Catania n. 6 del 23 gennaio 2003, concernente il divieto di esposizione di gonfaloni pubblicitari.

2. – Si è costituito, per resistere all’impugnazione, il Comune di Catania, contestando tutto quanto ex adverso dedotto e concludendo per il rigetto del gravame.

3. – All’udienza pubblica del 17 aprile 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. – Giova, ai fini del decidere, riferire succintamente della vicenda sulla quale si è innestata la controversia e del contenuto della sentenza impugnata.

5. – Nel mese di ottobre del 2009 la Ricorrente, operante nel settore della pubblicità, adì il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, esponendo:

– che con determina dirigenziale della Direzione IV del Comune di Catania n. 6 del 23 gennaio 2003, le era stata vietata l’esposizione di gonfaloni pubblicitari su tutto il territorio del Comune;

– che, tuttavia, detta determina era stata annullata dal T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con sentenza 4 dicembre 2007, n. 1947 (sentenza confermata, seppure con diversa motivazione, da questo Consiglio con la decisione 10 giugno 2009, n. 527).

Più in particolare, occorre riferire che, con la sunnominata determinazione dirigenziale della Direzione IV – Ragioneria generale e acquisti – 2° Servizio entrate – pubblicità, il Comune di Catania stabilì «… di non concedere più autorizzazioni per gonfaloni pubblicitari sui pali della pubblica illuminazione. L’Ufficio provvederà ad esaurimento ad espletare le richieste già avanzate ed è autorizzato fin da oggi a rifiutare le nuove istanze…».

Nella stessa determinazione, notificata alle varie imprese operati nel settore, si previde che l’Ufficio avrebbe provveduto ad esaurire le richieste già avanzate, mentre avrebbe rifiutato nuove istanze (va riferito che le autorizzazioni per i gonfaloni avevano una durata di 15 giorni).

Siffatta determinazione si fondava sul parere tecnico della 21^ Direzione – Servizi tecnici manutentivi del Comune di Catania, contenuto nella nota n. 9721/02 del 3 dicembre 2002, secondo cui «… L’installazione di gonfaloni pubblicitari sui pali della pubblica illuminazione, nell’attuale parco impiantistico della città di Catania, poiché non previsto in sede progettuale, è una operazione che potrebbe causare danni ai pali stessi, compromettendone la stabilità e quindi la sicurezza dei cittadini (…) non si ritiene opportuno l’utilizzo dei pali di illuminazione pubblica dell’attuale parco impiantistico della città, come sostegno di gonfaloni pubblicitari …».

Il T.A.R., dapprima respinse, con l’ordinanza n. 464/2003, l’istanza cautelare avanzata dalla Ricorrente (la decisione cautelare del T.A.R. fu confermata da questo Consiglio con l’ordinanza n. 622/ 2003) e poi, con la citata sentenza 4 dicembre 2007, n. 1947, annullò la suddetta determinazione, ritenendo fondata la censura di «… eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione in ordine alle ragioni che determinerebbero l’affermato pericolo per la pubblica incolumità nell’ipotesi di affissione di gonfaloni pubblicitari sui pali dell’illuminazione pubblica …».

Questo Consiglio, in sede di appello, dopo aver accolto con le ordinanze n. 638/2008 e n. 639/2008, le istanze di sospensione della esecutività della sentenza richieste dalle appellanti (AS.P.ES. e Comune di Catania), con la decisione 10 giugno 2009, n. 527, ha confer-mato la pronuncia impugnata, seppur con diversa motivazione, avendo ritenuto che «… nella determinazione dirigenziale di non concedere più autorizzazioni per l’esposizione di gonfaloni sui pali della pubblica illuminazione – sulla scorta di un parere della 21^ direzione Servizi tecnici e manutentivi del medesimo Comune, che ha ravvisato, in quel tipo di esposizione, una possibile compromissione della stabilità dei pali stessi con conseguenti rischi per la pubblica incolumità – deve riconoscersi una disposizione di tipo regolamentare che introduce un divieto di segno contrario alla norma che, nel vigente regolamento del Comune di Catania, consente tale forma di pubblicità. E’ stato dunque esercitato surrettiziamente, dal Dirigente, un potere regolamentare di competenza del Consiglio Comunale …».

6. – In conseguenza e a causa di tale annullamento, la Ricorrente si rivolse ancora al T.A.R. per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali, costituiti dalle perdite subite e dai mancati guadagni, quantificati, a mezzo di apposita consulenza tecnica, in euro 809.818,00, oltre interessi e rivalutazione, nonché dei danni non patrimoniali, per la cui quantificazione si rimise alla valutazione equitativa del Tribunale adito ai sensi dell’articolo 1226 c.c.

7. – Con la sentenza gravata il primo Giudice ha respinto il ricorso, ritenendo che, nella fattispecie, difettasse la dimostrazione del requisito dell’ingiustizia del danno patito per le seguenti motivazioni:

– ai fini della valutazione dell’ingiustizia del danno è necessario che l’interesse al bene della vita al quale è correlato l’interesse legittimo dell’istante risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento;

– la Ricorrente non ha adempiuto al proprio onere probatorio inerente l’esistenza in concreto di un danno ingiusto;

– in ogni caso, nel caso di specie, manca in radice il requisito della ingiustizia del danno, in quanto il C.G.A. ha giustificato la conferma dell’annullamento della determinazione impugnata in prime cure esclusivamente sotto il profilo, ritenuto logicamente prioritario e assorbente, dell’illegittima connotazione di generalità della stessa (ossia, per incompetenza del dirigente ad adottare disposizioni di natura regolamentare), senza tuttavia valutare la meritevolezza, o no, dell’inte-resse asseritamente tutelato;

– nel caso concreto l’interesse che il Comune di Catania intese proteggere con la determinazione in questione era il bene della salute tutelato dall’art. 32, primo comma, Cost.;

– secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, detto bene non è solo un interesse della collettività, ma anche e soprattutto un diritto fondamentale dell’individuo, sicché esso si configura come un diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati, appartenente al novero delle posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione che richiedono piena ed esaustiva tutela;

– la pienezza della tutela che va assicurata all’incolumità fisica dei cittadini preclude qualunque bilanciamento di essa con contrapposti interessi, quale il diritto di iniziativa economica (al cui ambito deve essere ricondotta l’attività svolta dalla Ricorrente);

– da tali rilievi discende che, in base al principio di legalità, immanente nel nostro ordinamento giuridico, l’emanazione di un provvedimento amministrativo non può costituire una fonte di rischio apprezzabile per il diritto alla salute e, quindi, le esigenze di tutela di tale diritto debbano condurre al rigetto di istanze il cui accoglimento possa determinare un rischio (laddove questo sia apprezzabile) per la pubblica incolumità; ciò anche se tali istanze siano, in linea teorica, sorrette dai presupposti previsti per il loro accoglimento;

– nel caso di specie, il citato parere tecnico della 21^ Direzione, unitamente alla nota, prot. 103, datata 18 novembre 2009 della ditta “Gianluca Marletta” e alla nota, prot. 50788, del 18 ottobre 2010 di ENEL, ossia delle imprese incaricate della gestione e della manutenzione dei pali dell’illuminazione (entrambe versate in atti dalla difesa del Comune di Catania), costituivano elementi sufficienti per ritenere apprezzabile la fonte di rischio (in tali note si è segnalato al Comune che le locandine pubblicitarie apposte sui sostegni degli impianti di pubblica illuminazione, oltre a ingenerare possibili fenomeni di elettrocuzione, avrebbero potuto arrecare, in conseguenza dell’”effetto vela” dovuto a particolari condizioni atmosferiche avverse, danni ai sostegni, compromettendone la stabilità);

– non depone in senso contrario la circostanza che, con la citata sentenza del T.A.R. n. 1947/2007, si fosse accolta la censura di difetto di motivazione sotto altro profilo (avendo il T.A.R. ritenuto che la motivazione della determinazione annullata fosse in contrasto con la condotta contraddittoria tenuta dal Comune in epoca di poco posteriore, per aver l’ente consentito l’ostensione di gonfaloni affissi sui pali elettrici per l’esposizione della propria pubblicità istituzionale o di altri enti, in stridente contrasto col divieto posto a carico degli operatori commerciali), non potendosi escludere che sussistesse comunque un rischio apprezzabile per il diritto alla salute, anche in considerazione del contenuto delle due ulteriori note appena citate.

8. – L’appello della Ricorrente è affidato a mezzi di gravame, non distintamente rubricati, ma così ricostruibili in via logica:

I) erroneamente il Tribunale ha ritenuto che difettasse la prova e che comunque non fosse ravvisabile il requisito dell’ingiustizia del danno patito dall’appellante (che, per sei anni, si è trovata nell’impossibilità di svolgere la sua attività di affissione); per effetto dell’illegittima determinazione del Comune di Catania, la Ricorrente ha subito una grave compromissione della sua attività, avendo dovuto rimuovere gli impianti e risolvere i relativi contratti già conclusi, con conseguente rinuncia a rilevanti introiti;

II) un rilevante indice dell’ingiustizia del danno è rappresentato dalla circostanza che l’amministrazione civica continuò ad utilizzare i pali dell’illuminazione per proprio conto e per scopi pubblicitari e, quindi, certamente la determinazione non fu assunta a protezione del superiore interesse della collettività, posto che – se così fosse stato – la tutela della pubblica incolumità sarebbe dovuta venire in rilievo sia per l’attività dei privati sia per quella dei soggetti pubblici, non differenziandosi le modalità di affissione in base alla natura soggettiva dell’agente;

III) errato è anche il richiamo delle due note, sopra menzionate, essendo esse sopravvenute anni dopo l’adozione del provvedimento annullato;

IV) peraltro, il Comune nemmeno ha mai individuato spazi alternativi per le affissioni, in modo da contemperare le esigenze di tutela della pubblica incolumità con quelle commerciali delle imprese operanti nel settore della pubblicità e, peraltro, pur avendo avuto la possibilità di intervenire, dopo la sentenza del T.A.R., non ha riesercitato i suoi poteri (ad esempio, emendando la motivazione del diniego) né ha consentito le affissioni dei gonfaloni in luoghi alternativi;

V) stante la fondatezza del primo ricorso, il T.A.R. avrebbe pure ingiustamente compensato le spese processuali.

In ordine al quantum debeatur del risarcimento richiesto, la Ricorrente:

– per danni patrimoniali, ha indicato la somma di euro 809.818,00, oltre IVA, interessi e rivalutazione, o altro importo da determinarsi previo esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio; alla determinazione estimativa di detto ammontare l’appellante è pervenuta – in riferimento al periodo 23 gennaio 2003 (data della determinazione annullata) al 10 giugno 2009 (data di pubblicazione della decisione di questo Consiglio) – sulla scorta di una perizia privata, con la quale si è ipotizzato, tenendo conto dei prezzi medi praticati dalla Ricorrente nel 2002 e dei gonfaloni commercializzati in quell’anno, un prezzo medio di vendita pari a euro 33,66, oltre all’IVA;

– per i danni non patrimoniali, si è rimessa alla valutazione equitativa del T.A.R. (e, in secondo grado, di questo Consiglio), allegando la lesione dell’interesse allo svolgimento dell’attività economica, alla perdita di chance, di accrescimento dell’impresa e di fidelizzazione della clientela.

9. – Il Comune di Catania ha controdedotto che il provvedimento annullato non ha leso alcun bene della vita dell’impresa appellante; che l’ente adottò tempestivamente tutte le cautele per scongiurare i danni conseguenti al mancato guadagno (e non a caso nessun altro operatore, a parte la Ricorrente, ha avanzato pretese risarcitorie); che non sussiste l’elemento soggettivo dell’illecito; che il divieto di affissione fu giustificato da esigenze di tutela della pubblica incolumità; che l’atto era dovuto; che, a seguito della decisione di questo Consiglio, l’ammi-nistrazione ha avviato il procedimento di modifica del regolamento sulla pubblicità, inserendo in esso il divieto al centro del contendere; che il Comune – diversamente da quanto sostenuto dall’appellante – non espone gonfaloni e non utilizza i pali dell’illuminazione, ma esplica il servizio delle pubbliche affissioni con manifesti cartacei e utilizzando gli impianti di proprietà comunale.

Il Comune ha altresì dedotto che la Ricorrente non avrebbe comprovato la sussistenza del danno lamentato; peraltro, il divieto in questione fu imposto soltanto dopo aver consentito alle imprese di modificare i propri contratti e comunque furono mantenuti quelli le cui autorizzazioni erano state già richieste. D’altronde, la Ricorrente non avrebbe più richiesto autorizzazioni per l’affissione dei gonfaloni (a parte una nel 2009), anche dopo la pronuncia resa da questo Consiglio, a riprova dell’insussistenza di una danno risarcibile.

10. – Tanto premesso può passarsi a scrutinare i motivi di appello i quali, almeno con riferimento ai profili rescindenti dell’impugnazione, si presentano suscettibili di trattazione congiunta.

11. – Il principio di diritto enunciato dal T.A.R., e sul quale poggia l’intero ragionamento decisorio che sorregge la sentenza impugnata non può essere condiviso. In sostanza, il primo Giudice ha affermato che l’adozione del provvedimento annullato in sede giurisdizionale, seppure illegittimo per l’assorbente motivo dell’incompetenza del dirigente ad adottarlo, era comunque da ritenersi “giustificata” in forza della preminente esigenza di tutelare l’incolumità pubblica e, quindi, la salute dei cittadini; difatti, la necessità di assicurare una tutela piena al bene-interesse salute, di rango costituzionale, prevarrebbe in una prospettiva comparativa sul contrario e recessivo interesse patrimoniale della ricorrente, rendendo “non ingiusto” il danno arrecato non iure.

Le riferite argomentazioni hanno sostanzialmente condotto il T.A.R. ad escludere l’ingiustizia del danno per mancanza dell’iniuria. Secondo il Tribunale, difatti, la Ricorrente avrebbe subito un pregiudizio per effetto di un atto civilmente lecito, ancorché amministrativamente illegittimo. Più in dettaglio, il Tribunale ha ritenuto che rispetto alle regole che disciplinano il riparto di competenza (nella specie violate) prevalesse il dovere dell’amministrazione di proteggere il superiore bene-interesse dell’incolumità pubblica e che, quindi, in sostanza, il danno subito dalla Ricorrente, per effetto dell’arresto della sua specifica attività commerciale in ragione dell’avvenuta adozione di un provvedimento illegittimo, fosse “giustificato” dalla necessità di tutelare il bene salute.

Il Collegio non può condividere tali assunti.

Se, invero, non può negarsi che il bene-interesse alla salute (e, quindi, anche alla pubblica incolumità) richieda una tutela piena e assoluta, non può tuttavia ritenersi che esso renda recessiva ogni altra regola dell’ordinamento, configurandosi alla stregua di un’aperta e innominata causa di giustificazione, di amplissima latitudine.

Deve piuttosto affermarsi che la considerazione della necessità di tutelare il bene della salute può e deve orientare le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, ma nel rispetto degli altri canoni fondamentali che governano l’azione amministrativa e, tra questi, si allude principalmente al principio di legalità e a quello di proporzionalità. Detto altrimenti, e in sintesi, la natura assoluta del diritto alla salute non legittima l’amministrazione all’adozione di misure extra ordinem, anche al di fuori delle ipotesi tassativamente tipizzate dall’or-dinamento; la protezione giuridica del bene-interesse in questione va piuttosto perseguita nell’osservanza delle discipline giuridiche a tal fine stabilite. La tutela della salute deve essere assicurata all’interno dello svolgimento dei procedimenti normativi e amministrativi e attraverso l’adozione di provvedimenti, tipici e nominati, quand’anche di necessità e urgenza.

Sotto altro profilo il carattere di assolutezza della tutela da assicurare al bene salute va comunque conformata al principio di proporzionalità (o del minimo mezzo) che non a caso permea anche la disciplina generale sulle “cause di giustificazione” dell’illecito civile. Si intende sostenere che, alla stregua del fondamentale criterio di ragionevolezza dell’agire amministrativo, il mezzo (giuridico) adottato deve sempre risultare adeguato al fine da conseguire; in altri termini, la tutela della salute (o della incolumità pubblica), laddove il pericolo da fronteggiare non sia di estrema gravità o quando non sussista una particolare urgenza di provvedere, non giustifica alcuna deroga alle normali procedure amministrative.

Una volta calati i principi sopra esposti al caso in esame, emerge in tutta evidenza come – diversamente da quanto opinato dal T.A.R. – l’illegittimità (grave) viziante il provvedimento dirigenziale annullato non fosse affatto “giustificata” dalla necessitata urgenza di tutelare il bene salute, siccome sostenuto dal Tribunale e dal Comune di Catania. Ed invero, considerata la natura solo eventuale del pericolo di pregiudizio ravvisato, l’amministrazione comunale avrebbe avuto tutto il tempo per avviare un ordinario procedimento normativo finalizzato a modificare il locale regolamento sulla pubblicità nella parte in cui consentiva l’affissione dei gonfaloni agli impianti dell’illumi-nazione pubblica.

La “giustizia” del danno ritenuta dal T.A.R. pertanto non sussiste.

12. – Sussistono invece, oltre all’antigiuridica della condotta amministrativa (della quale si è trattato), anche gli altri requisiti dell’illecito aquiliano per violazione di interessi legittimi ex art. 2043 c.c.

Certamente ricorre l’elemento soggettivo della colpa al lume dei principi giurisprudenziali correttamente richiamati dal primo Giudice (“Con particolare riferimento all’elemento soggettivo, in tema di danni da illegittimo esercizio della azione amministrativa, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ritiene che per l’affermazione della responsabilità sia sufficiente l’accertamento della illegittimità del provvedimento (CGE, 14 ottobre 2004, in causa C-275/03). Il giudice amministrativo accoglie sostanzialmente tale orientamento affermando che il soggetto danneggiato può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa dell’Amministrazione, sulla quale, quindi graverà l’onere di dimostrare la scusabilità dell’errore (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482; CGARS 18 novembre 2009, n. 1101).”). Nella fattispecie, il vizio che affliggeva l’atto annullato non era certamente “scusabile” né d’altronde il Comune di Catania è riuscito a dimostrarne in modo convincente la scusabilità. Difatti, non può ritenersi scusabile (e quindi è colposa) la condotta, consistita nell’adozione di un provvedimento in diretto contrasto con una norma regolamentare né il dirigente che lo emanò avrebbe potuto ignorare di non avere il potere di modificare un atto di competenza consiliare.

Riconoscibile è anche il nesso causale tra l’illecito, dovuto all’adozione di un atto illegittimo, e il danno subito dalla Ricorrente, la quale – a seguito del divieto introdotto dal Comune di Catania – non ha più potuto affiggere i gonfaloni.

Deve altresì ritenersi, in disparte la questione relativa alla determinazione del quantum (su cui v. infra), che sussista e sia altresì comprovata la sussistenza dell’an della pretesa risarcitoria, atteso che la Ricorrente ha dimostrato documentalmente di aver conseguito dei ricavi, negli anni precedenti al 2003, a fronte dello svolgimento dell’atti-vità di affissione della quale si discute ed ha pure allegato la cessazione di tale fonte di entrata in seguito e in conseguenza del provvedimento annullato.

13. – Rimane allora da esaminare soltanto il profilo relativo, come sopra accennato, alla valutazione del danno risarcibile.

Sul punto va ripudiato il criterio dosimetrico suggerito dalla Ricorrente che ha ancorato il pregiudizio subito, con riferimento ai danni patrimoniali, ai ricavi presuntivamente non conseguiti per il periodo in questione (ossia dal mese di gennaio 2003 al mese di giugno 2009). Ed invero, la Ricorrente, richiamando gli approdi di una perizia di parte versata in atti, ancora detto pregiudizio alla valutazione estimativa dei ricavi lordi: il dato dei ricavi lordi non costituisce un idoneo parametro del pregiudizio economico effettivamente subito atteso che esso eccede la reale diminuzione reddituale sofferta dalla società. Se, infatti, il ricavo lordo costituisce indubbiamente il dato di partenza dal quale muovere, non può tuttavia obliterarsi che la diminuzione patrimoniale ristorabile, sotto il profilo del lucro cessante, è rappresentata dal reddito disponibile non conseguito dalla Ricorrente nel corso degli anni. Notoriamente, però, il reddito disponibile non coincide con i ricavi, ma è frutto della somma algebrica dei ricavi e dei costi e della successiva applicazione a detta sommatoria delle regole fiscali.

14. – In base a quanto testé osservato il Collegio ritiene, pertanto, che l’importo indicato dalla Ricorrente non sia attendibile (perché eccessivo). Nondimeno, ai fini della determinazione del danno ristorabile, non è necessario disporre una consulenza tecnica né una verificazione, potendosi ricorrere, in mancanza di espresse opposizioni delle parti, allo strumento disciplinato dall’art. 34, comma 4, c.p.a.

Al fine di pervenire alla liquidazione del danno, deve dunque stabilirsi che, entro 90 (novanta) giorni dalla notificazione o, se antecedente, dalla comunicazione in via amministrativa, della presente sentenza, il Comune di Catania sottoponga alla Ricorrente una proposta di pagamento di una somma di denaro, a titolo di risarcimento del danno, formulata in base ai seguenti criteri:

a)                 il Comune di Catania, sulla base dei bilanci civili e delle dichiarazioni fiscali della Ricorrente per gli esercizi e anni di imposta 2001-2002, stabilirà in qual misura l’attività di affissione dei gonfaloni abbia contribuito alla genesi dei ricavi della società;

b)                 una volta determinate le percentuali di cui alla precedente lett. a), l’amministrazione calcolerà l’importo medio annuo dei ricavi (derivanti dall’attività di affissione in parola) della Ricorrente nel periodo 2001-2002;

c)                  il Comune effettuerà le operazioni di cui alle precedenti lett. a) e b) anche con riferimento ai costi (inclusi gli ammortamenti) – inerenti la medesima attività – sostenuti dalla Ricorrente nel medesimo torno temporale;

d)                 il Comune – una volta compiute le operazioni di cui alla precedenti lett. a), b) e c) – determinerà l’importo dell’utile medio che avrebbe potuto conseguito la Ricorrente, al netto delle imposte che (in via ipotetica) si sarebbero dovute applicare;

e)                 l’importo ottenuto ai sensi della lett. d) dovrà essere moltiplicato per gli anni 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008 e, nella misura del 50%, 2009 (potendosi presumere sostanzialmente costanti nel periodo in discorso – come del resto sostenuto nella stessa perizia di parte – sia il numero dei contratti conclusi sia il prezzo delle vendite), maggiorando i ratei così determinati, per ogni anno successivo al 2003, degli interessi legali e la rivalutazione;

f)                   sull’importo finale risultante dal computo di cui alla lett. e) – maggiorato del 5% (v., infra, il successivo §. 15) – il Comune calcolerà gli interessi legali maturati fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché gli interessi maturandi fino al soddisfo integrale della pretesa.

Onde consentire all’amministrazione di prestare piena ottemperanza alle superiori statuizioni la Ricorrente è onerata di far pervenire al Comune di Catania, entro 20 (venti) giorni, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, i bilanci civili e fiscali (completi) degli anni 2001 e 2002.

15. – Per i danni non patrimoniali subiti, da individuarsi nei danni di immagine, il Collegio ritiene equo liquidare una percentuale del 5% dell’importo finale della lett. f) del precedente § 14.

16. – Nulla è dovuto alla Ricorrente per il danno emergente giacché non dimostrato: ed invero, l’appellante ha meramente accennato a costi di rimozione dei gonfaloni e di risoluzione dei contratti, ma di tali esborsi non ha offerto alcuna dimostrazione (come sarebbe stato suo onere, avendo la disponibilità della relativa fonte di prova).

17. – Alla stregua di tutto quanto sopra osservato e considerato il Collegio ritiene di poter assorbire ogni altro motivo o eccezione, in quanto ininfluenti e irrilevanti ai fini della presente decisione.

18. – Il regolamento delle spese processuali del secondo grado del giudizio, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

P. Q. M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie la domanda di risarcimento del danno proposta in primo grado dalla Ricorrente s.r.l. nei sensi e nei limiti indicati in motivazione e condanna il Comune di Catania al pagamento, in favore dell’appellante, della somma che risulterà dall’applicazione dei criteri sopra declinati e che l’amministrazione civica sarà tenuta a proporre all’appellante nei termini sopra fissati.

Condanna il Comune di Catania alla rifusione, in favore dell’appellante, delle spese processuali del doppio grado del giudizio, liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre alle maggiorazioni di legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 17 aprile 2013, con l’intervento dei Signori: Antonino Anastasi, Presidente f.f., Gabriele Carlotti, estensore, Marco Buricelli, Alessandro Corbino, Giuseppe Barone, Componenti.

F.to Antonino Anastasi, Presidente f.f.

F.to Gabriele Carlotti, Estensore

Depositata in Segreteria

29 maggio 2013

 

 

 

 

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