passaggio tratto dalla decisione numero 5798 del 5 dicembre 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
Sentenza integrale
N. 05798/2013REG.PROV.COLL.
N. 06831/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6831 del 2012, proposto da:
Società Ricorrente s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Giovanni Pallottino e Francesco Nardocci, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via Oslavia 14;
contro
Roma Capitale, rappresentato e difeso dall’avv. Domenico Rossi, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma: Sezione II n. 03924/2012, resa tra le parti, concernente il silenzio serbato dall’amministrazione sulla diffida alla conclusione della procedura di affidamento lavori di riqualificazione stradale
Visto l’art. 117 cod. proc. amm.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Nardocci e Patriarca, in sostituzione dell’avv. Rossi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Società Ricorrente a resp. lim. ha proposto azione avverso il silenzio serbato dal Municipio IV di Roma Capitale nella procedura aperta per l’affidamento in project financing ex art. 153, commi 1 – 14, d.lgs. n. 163/2006, della concessione per i lavori di riqualificazione stradale e sistemazione superficiale dell’area tra via Bandello e via Sacchetti, indetta con determinazione dirigenziale del 7 luglio 2009, alla quale la società ricorrente aveva presentato (unica partecipante) il prescritto progetto preliminare.
Era infatti accaduto che, dopo le modifiche progettuali concordate con l’amministrazione, culminate con la delibera giuntale di approvazione del progetto (n. 10 del 15 dicembre 2010), l’amministrazione non avesse dato seguito alla procedura di gara, rimanendo inerte anche dopo apposita diffida affinché la stessa venisse conclusa.
L’adito TAR Lazio – sede di Roma ha accolto il ricorso, ordinando all’amministrazione di provvedere nel termine di 30 giorni. Ha tuttavia respinto la connessa domanda risarcitoria, proposta ex art. 2-bis l. n. 241/1990, per carente specificazione dei danni subiti a causa dell’altrui inerzia.
Avverso quest’ultima statuizione la società ricorrente propone appello, denunciando l’errore procedimentale in cui il TAR sarebbe incorso, per avere trattato la domanda risarcitoria con il rito in camera di consiglio anziché procedere alla conversione nel giudizio ordinario, come disposto dall’art. 117, comma 6, cod. proc. amm. ed avere quindi deciso su tutte le domande con sentenza semplificata senza previo avvertimento alle parti previsto dall’art. 60 del codice del processo.
Chiede pertanto, in via principale, che la sentenza sia annullata, con rinvio al giudice di primo grado o, in subordine, di ritenere la domanda nel merito, condannando Roma Capitale al risarcimento dei danni conseguenti al silenzio serbato.
Roma Capitale ha controdedotto all’appello, sottolineando che il TAR ha definito la domanda risarcitoria in sede camerale per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 74 cod. proc. amm., cosicché il richiamo all’art. 117, comma 6, del medesimo codice diviene inconferente.
Del pari, con riguardo alla seconda censura, osserva che non vi è luogo ad invocare l’art. 60 cod. proc. amm., il quale concerne la possibilità di definire il giudizio nel merito all’udienza fissata per la trattazione dell’istanza cautelare.
DIRITTO
1. Il primo motivo non è fondato.
Emerge infatti dalla formulazione letterale dell’art. 117, comma 6, cod. proc. amm. che la trattazione della domanda risarcitoria connessa all’azione avverso il silenzio nelle forme del giudizio ordinario costituisce una facoltà discrezionale del giudice adito.
Ciò si ricava in particolare dall’impiego del verbo servile “può”, il quale regge sintatticamente tanto la proposizione relativa alla definizione della domanda avverso il silenzio quanto quella successiva, concernente la conversione del giudizio nel rito ordinario per la trattazione della domanda risarcitoria. Non altrimenti si spiega il ricorso a tale verbo, essendo evidente che, laddove avesse inteso formulare una prescrizione vincolante per il giudice, il legislatore avrebbe impiegato l’indicativo: “definisce con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e tratta con il rito ordinario la domanda risarcitoria”.
L’argomento letterale è corroborato da due ordini di considerazioni, una di carattere logico, l’altra di tipo sistematico.
Sotto il primo profilo, a ben guardare, la facoltà cui la norma allude è proprio quella concernente il rito con cui trattare la domanda risarcitoria. Infatti, l’azione contro il silenzio deve necessariamente essere trattata e decisa nelle forme del giudizio in camera di consiglio ai sensi dell’art. 87, comma 2, lett. b), cod. proc. amm., visto il principio di indisponibilità da parte del giudice e delle parti delle norme disciplinano le forme del procedimento con cui trattare una domanda (in questo senso cfr. Ad. plen. 4 giugno 2011, n. 10 e 9 agosto 2012, n. 32).
Per contro, nessuna norma del codice del processo amministrativo impone un rito per la trattazione delle domande risarcitorie. Pertanto, posto che queste ultime sono conosciute dal giudice amministrativo unicamente in via consequenziale, esse seguono il rito della domanda principale, se proposte cumulativamente a quest’ultima mentre, laddove siano azionate in via autonoma, in virtù di quanto prevede l’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., esse seguono il rito ordinario, non rientrando in alcuna delle tassative ipotesi in cui il citato art. 87, comma 2, prevede invece il giudizio in camera di consiglio.
Il che, se comporta la generale possibilità di una loro definizione in esito all’udienza camerale fissata per la trattazione della domanda cautelare, in virtù del disposto dell’art. 60 cod. proc. amm., non si vede perché questa possibilità debba essere negata nel giudizio avverso il silenzio.
Sul piano sistematico, quest’ultima disposizione, nonché l’art. 74 cod. proc. amm., postulano che il giudice abbia un potere di apprezzamento in ordine al grado di completezza dell’istruttoria ed alla conseguente superfluità dell’ulteriore svolgimento del giudizio (come del resto è previsto in sede processuale civile, all’esito delle memorie di precisazione delle domande ed istruttorie ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ.). Di questo potere costituisce allora puntuale applicazione al rito sul silenzio il comma 6 dell’art. 117 cod. proc. amm. in esame, il quale è dunque strutturato in termini di facoltà di conversione del rito e non già di obbligo in tal senso.
2. Deve invece essere accolto il secondo motivo.
La fondatezza dello stesso emerge da tutto quanto detto in sede di esame del primo motivo, e cioè che la conversione del rito per la domanda risarcitoria sostanzia una facoltà del giudice. Se dunque così è, non vi è dubbio che dell’uso che di tale facoltà intende fare lo stesso giudice deve renderne edotte le parti costituite, in analogia con quanto previsto dal combinato dei sopra citati disposti degli artt. 60 e 74 cod. proc. amm.
In caso contrario vi sarebbe infatti una evidente lesione del diritto di difesa, derivante dall’impossibilità di articolare compiutamente le proprie attività assertive e probatorie in vista del passaggio in decisione dell’intera controversia, che deve quindi evidentemente essere conosciuta in via preventiva dalla parte.
Sul punto è ancora il caso di evidenziare, viste le difese dell’amministrazione appellata, che l’art. 74 ora menzionato, la cui violazione è espressamente dedotta nel motivo d’appello in esame, può essere coordinato con l’art. 60, il quale contempla espressamente l’obbligo di preavvisare “sul punto le parti costituite”, e cioè sulla possibilità di definire il merito all’udienza fissata per la trattazione dell’istanza cautelare. In particolare, la prima disposizione riveste un indubbio carattere generale, come si evince dalla relativa collocazione sistematica, nel titolo IV del libro primo del codice del processo, rubricato “Riunione, discussione e decisione dei ricorsi”.
Detta disposizione è dunque valevole per ogni rito.
Pertanto, laddove il giudice ravvisi la sussistenza dei presupposti in essa previsti, è evidente che non dovrà preavvisare le parti, le quali sono già consapevoli che il ricorso passerà in decisione.
Per contro, nel caso in cui tale rilievo avvenga all’udienza in camera di consiglio per la decisione dell’istanza cautelare, il giudice non potrà prescindere, in virtù del combinato con il predetto art. 60, dal dare avviso alle parti. In questo caso è infatti ravvisabile l’eadem ratio, consistente nel fatto che l’udienza non è fissata anche per la definizione del merito e che laddove invece vi fosse il passaggio in decisione del ricorso si determinerebbe una compressione delle attività difensive, che in ipotesi sarebbero consentite in caso di fissazione dell’udienza di discussione ex art. 73 cod. proc. amm. nelle forme ordinarie.
La stessa ratio impone un analogo combinato con le norme sul rito avverso il silenzio.
Quest’ultimo differisce rispetto all’archetipo del giudizio ordinario unicamente per il fatto che un’udienza in camera di consiglio deve essere necessariamente fissata per la definizione nel merito di quest’ultima azione.
Ma è chiaro che a questa udienza il giudice possa anche avvalersi del potere di definizione dell’intera lite che l’art. 74 gli attribuisce in via generale. Ed allora, anche per una questione di logica transitiva, il combinato deve essere esteso anche all’art. 60 e quindi all’obbligo di sentire le parti sulla possibilità di definire tutto il giudizio e non solo la domanda avverso il silenzio.
3. Quindi, non risultando che il TAR abbia dato l’avviso alle parti, risulta effettivamente violato il diritto di difesa della società odierna appellante.
Si impone dunque l’annullamento della sentenza con rinvio al medesimo giudice di primo grado, in virtù di quanto dispone l’art. 105, comma 1, cod. proc. amm.
Quest’ultimo dovrà pertanto fissare nuovamente l’udienza in camera di consiglio, all’esito della quale potrà definire la domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 74 cod. proc. amm., purché dia rituale avviso alle parti, onde consentire loro eventualmente di opporsi, o altrimenti convertire il rito fissando l’udienza pubblica.
Le spese del presente grado di giudizio avuto riguardo alla novità della questione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la sentenza appellata, con rinvio al giudice di primo grado.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere
Sabato Malinconico, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)