passaggio tratto dalla decisione numero 4934 dell’ 8 ottobre 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
Sentenza integrale
N. 04934/2013REG.PROV.COLL.
N. 09096/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9096 del 2008, proposto da Ricorrente Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante, quale procuratrice di Ricorrente s.p.a., Agenzia di Milano Centro, e per conto di Ricorrente 2 Corporation Solutions s.a., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Di Martino, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via dell’Orso, 74;
contro
Esercizi Aeroportuali S.E.A. s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, corso Vittorio Emanuele 349;
nei confronti di
Assicurazioni Controinteressata s.p.a. – Agenzia di Venezia Centro, Assicurazioni Controinteressata s.p.a., Controinteressata 2 s.p.a. – Agenzia Generale di Milano, Ricorrente 2 Assicurazioni s.p.a., Controinteressata 2 s.p.a.;
per la riforma della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE I, n. 03112/2008, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di assicurazione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, Cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Di Martino e Sandulli.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, n. 3112/08 del 29 luglio 2008 (che non risulta notificata) è stato respinto il ricorso proposto dalla Ricorrente Italia s.p.a. – quale procuratore di Ricorrente s.p.a. e Ricorrente 2 Corporate Solutions s.a. – avverso gli atti di una procedura negoziata, effettuata dalla Esercizi Aeroportuali (S.E.A.) s.p.a. per l’affidamento del servizio di assicurazione “all risks”, eventi speciali e interruzione di servizio, con riferimento agli aeroporti di Milano Linate e Malpensa, per l’anno 2008.
Il criterio di assegnazione del servizio era quello del prezzo più basso e, come precisato nelle lettere di invito, S.E.A. si riservava – a proprio insindacabile giudizio – di richiedere per una o più volte miglioramenti dell’offerta. In esito a detta procedura (nell’ambito della quale era stato richiesto una sola volta alle imprese concorrenti di migliorare le offerte presentate, “ai fini della definizione della graduatoria di gara”), risultavano affidatarie del servizio Assicurazioni Controinteressata s.p.a. (coassicuratrice delegataria) e Controinteressata 2 s.p.a. (coassicuratrice delegante), con inversione della graduatoria formata in base alla prima offerta e con un minimo scarto di convenienza, rispetto all’importo economico complessivo.
L’aggiudicazione così effettuata era resa oggetto, in sintesi, delle seguenti contestazioni:
1) mancata applicazione della procedura, di cui alla parte II del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), non potendo un contratto assicurativo essere ricompreso nel novero dei “settori speciali”, di cui alla parte III del medesimo Codice, con tutte le conseguenti violazioni di legge, date le diverse formalità procedurali che avrebbero dovuto essere seguite;
2) contraddittorietà tra il bando e la lettera di invito, essendo stato previsto, quale criterio di aggiudicazione, nel primo (da considerare prevalente) quello del prezzo più basso e nella seconda una fase di negoziazione;
3) contrasto con i principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, par condicio e tutela della concorrenza, in quanto – in base alle regole stabilite – S.E.A. avrebbe potuto richiedere offerte al ribasso fino a che fosse risultata vincente l’offerta del candidato più gradito (peraltro, nella situazione in esame, senza prendere atto della proposta di Ricorrente di addivenire ad ulteriori ribassi, con lesione dell’interesse pubblico all’affidamento del servizio alle migliori possibili condizioni); non sarebbe stata legittima, inoltre, la composizione della Commissione aggiudicatrice con un numero pari di componenti e l’aggiudicazione provvisoria non sarebbe stata seguita, come necessario, dall’aggiudicazione definitiva, né da un vero e proprio contratto, peraltro nei termini di cui all’art. 11, comma 10 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Nella sentenza di primo grado nessuna delle predette argomentazioni era ritenuta fondata, con conseguente riproposizione delle medesime con atto di appello n. 9096/08, notificato il 12 novembre e depositato il successivo giorno 20 novembre 2008.
La società S.E.A., costituitasi in giudizio, sottolineava come la controversia conservasse interesse ai soli fini risarcitori – con riserva dell’appellante di presentare successivamente domanda giudiziale al riguardo e di procedere in tale sede alla quantificazione del danno – e risultasse, in tale prospettiva, improcedibile, con ulteriore infondatezza, comunque, dei motivi di gravame prospettati.
Ricorrente Italia s.p.a. formulava le proprie controdeduzioni al riguardo e su tale base la causa è passata in decisione.
DIRITTO
La questione sottoposta all’esame del Collegio – riguardante una procedura negoziata per l’assegnazione di servizi assicurativi “all risks”, eventi speciali e interruzione di servizio, per gli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa – presuppone la valutazione, in via preliminare, dell’eccezione di improcedibilità sollevata dalla società resistente. Quest’ultima sostiene, infatti, la contrarietà ad “ogni principio di economia processuale” di una pronuncia che – come quella richiesta nel caso in esame – potrebbe rivelarsi inutiliter data, in mancanza di concreta istanza risarcitoria e di qualsiasi quantificazione del danno.
L’eccezione non è condivisibile, risultando pacifica la possibilità di proporre domanda di risarcimento del danno anche in via autonoma (come ora previsto in modo esplicito dall’art. 30, commi 1 e 3, Cod. proc. amm.) ed avendo espresso tale intenzione l’attuale appellante. La sussistenza di un danno – corrispondente al mancato soddisfacimento dell’interesse, imprenditoriale ed economico, perseguito attraverso la procedura di gara – e la manifestata volontà di ottenere al riguardo condanna della controparte al dovuto risarcimento confermano l’utilità perseguita attraverso il giudizio e, quindi, l’interesse a ricorrere della medesima appellante. Detto interesse va infatti riconosciuto anche in rapporto alla mera concretizzazione del presupposto (accertamento della illegittimità della gara espletata) del successivo ristoro, se non più in forma specifica (aggiudicazione), almeno per equivalente (risarcimento del danno).
Non può dunque che ravvisarsi l’interesse alla coltivazione del presente giudizio, dal cui eventuale esito favorevole l’appellante potrebbe trarre causa legittimante per la successiva azione risarcitoria.
Nel merito, il tema da decidere si incentra sull’identificazione delle norme regolatrici, da applicare ad un contratto di assicurazione contro tutti i rischi, stipulato dal gestore di due dei principali aeroporti, inseriti in un sistema di trasporti di primario interesse nazionale.
A tale proposito, la prima questione sollevata dalla ricorrente Ricorrente s.p.a. è quella della natura giuridica della committente SEA s.p.a. e della procedura da seguire per l’assegnazione del servizio richiesto.
L’appellante formula prospettazioni cui corrispondono – in rapporto alla procedura nei fatti espletata – censure di violazione o falsa applicazione di legge (art. 3, commi 25, 26 e 27 e allegato 3 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; Parte III, Titolo I, Capi I, II e III del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006; articolo 2 della Direttiva 2004/17/CE; articoli 206, 207, 213 e 200 del d.lgs. n. 163 del 2006, artcoli 54,56, 66 e 70 del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006), nonché di eccesso di potere sotto vari profili (sviamento, irragionevolezza; violazione dei principi nazionali e comunitari in materia di indizione e svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica, dell’interesse pubblico alla più ampia potenziale partecipazione di candidati a gare pubbliche, violazione dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, buon andamento, par condicio e concorrenza).
Ad avviso dell’appellante infatti – ferma restando la possibilità di contestare radicalmente, fin dalla formulazione del bando, la procedura di gara, da parte di soggetti che assumano di essere stati, in sede di aggiudicazione, illegittimamente pretermessi – si sarebbe verificata nel caso di specie un’erronea individuazione delle regole, cui la SEA doveva ritenersi sottoposta in base al Codicedei contratti pubblici. Infatti la SEA s.p.a. dovrebbe essere qualificata come concessionaria ex lege del sistema aeroportuale milanese e quindi come “amministrazione aggiudicatrice in quanto organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, commi 25 e 26 del d.lgs. n. 163/2006”. Ad organismi del tipo sopra indicato – la cui elencazione non tassativa è contenuta nell’allegato III al Codice dei contratti pubblici – si applicherebbero le disposizioni delle Parti I, II, IV e V del medesimo Codice ma non anche la Parte III, riferita ai cosiddetti settori speciali (cioè, a norma dell’art. 3, comma 5, del Codice, i settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla Parte III.), assoggettati a regole meno rigide, con la conseguente possibilità, per quanto qui interessa, di avviare procedure negoziate. Per i settori speciali (un tempo chiamati settoriesclusi perché non soggetti alle regole dell’evidenza pubblica) le peculiari disposizioni dettate, in ossequio alla disciplina comunitaria, atterrebbero soltanto a specifiche attività, normativamente individuate.
A detta della ricorrente, non sarebbero pertinenti in rapporto alla situazione in esame gli utilizzati articoli 207 e 213 del Codice appalti dei contratti pubblici, entrambi collocati nella Parte III; di tali disposizioni la prima,, riferita agli “Enti aggiudicatori”, specifica l’ambito soggettivo di riferimento dei settori speciali (amministrazioni aggiudicatrici, imprese pubbliche che svolgano una delle attività, indicate nei successivi articoli da 208 a 213, ovvero soggetti diversi da quelli sopra indicati, ma che operino nel medesimo campo di attività, “in virtù di diritti speciali o esclusivi, concessi loro dall’autorità competente”); la seconda,, riferita a “Porti e aeroporti”, definisce uno degli specifici settori, rientrante nella disciplina della Parte III del Codice ( “attività relative allo sfruttamento di un’area geografica, ai fini della messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporto ai vettori aerei, marittimi e fluviali”). Secondo la medesima ricorrente l’assenza, nella disposizione sopra riportata, di qualsiasi riferimento al concetto di “gestione” limiterebbe l’applicabilità della norma all’attività concernente la mera struttura aeroportuale e gli impianti connessi, finalizzati al decollo e all’atterraggio di aeromobili, con conseguente esclusione di ogni altro servizio. Pertanto, sia dal punto di vista soggettivo che dal punto di vista oggettivo, per la ricorrente Ricorrente non sussisterebbero i presupposti di legge per applicare le speciali disposizioni della Parte III del Codice, che invece la SEA ha applicato nella procedura contestata. Costituirebbe vizio di motivazione della sentenza appellata, inoltre, l’omessa valutazione della natura giuridica dell’ente appaltante.
A dette argomentazioni replica SEA, sottolineando l’ampiezza della nozione di “messa a disposizione degli aeroporti” ai sensi dell’art. 213 del Codice dei contratti pubblici: una volta ammesso il collegamento strumentale dell’appalto di cui trattasi all’attività oggetto della norma, l’applicabilità della Parte III del Codice sarebbe pacifica, data l’ampiezza dei riferimenti soggettivi di cui al precedente art. 207. Tale collegamento dovrebbe ritenersi sussistente tenuto conto anche della determinazione dei diritti aeroportuali ai sensi della Direttiva 2009/12/CE del Parlamento e del Consiglio (concernente tali diritti), secondo cui “La principale funzione e attività commerciale degli aeroporti consiste nell’assicurare il compimento di tutte le operazioni relative agli aeromobili, dal momento dell’atterraggio al momento del decollo […] in modo da consentire ai vettori aerei di fornire servizi di trasporto […]. A tal fine, gli aeroporti mettono a disposizione una serie di infrastrutture e di servizi, connessi all’esercizio degli aeromobili e alle operazioni relative ai passeggeri e alle merci”.
“In via preliminare ed assorbente”, peraltro, la SEA eccepisce l’inammissibilità del motivo di gravame indicato per difetto di interesse di Ricorrente a prospettarlo, dovendo la società appaltante essere individuata come impresa pubblica, caratterizzata dai fini di lucro e, in quanto tale, soggetta alle disposizioni della Parte III del Codice dei contratti pubblici (che la medesima SEA ritiene correttamente applicate), ma non anche alla disciplina degli appalti pubblici nei settori ordinari. Dall’accoglimento delle tesi della Ricorrente discenderebbero, pertanto, l’inapplicabilità delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici nel loro complesso e il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16).
Premesso quanto sopra, il Collegio intende prescindere – in considerazione della ravvisata infondatezza del primo ordine di censure – da questioni di ammissibilità, in astratto ancora proponibili in rapporto all’impugnazione, da parte delle imprese concorrenti, delle clausole del bando ritenute illegittime unitamente al provvedimento conclusivo della gara (cfr. al riguardo Cons. Stato, VI, ordinanza 1 febbraio 2013 n. 634, nonché Cons. Stato, Ad. plen., 22 aprile 2013, n. 8, che – in presenza di ravvisate ragioni di sanatoria per la fattispecie sottoposta a giudizio – lascia sostanzialmente invariato l’indirizzo giurisprudenziale, di cui alla pronuncia della medesima Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 23 gennaio 2003, n. 1, che circoscrive l’onere di impugnazione tempestiva alle clausole preclusive della partecipazione alla gara).
Ancora in via preliminare, il Collegio stesso rileva l’irrilevanza della censura di difetto di motivazione della sentenza appellata, essendo tale ipotetico vizio assorbito dall’effetto devolutivo dell’appello, che comporta integrale rivalutazione delle questioni controverse, che vengano in tale sede riproposte, con modifica o integrazione della motivazione se necessario (cfr. in tal senso Cons. Stato, IV, 19 settembre 2012, n. 4974 e 20 dicembre 2005, n. 7201; V, 17 settembre 2012, n. 4915, 13 marzo 2009, n. 824 e 19 novembre 2009, n. 7259; VI, 25 settembre 2009, n. 5797 e 24 febbraio 2009, n. 1081; II, 10 aprile 2012, n. 2057).
Quanto all’ulteriore eccezione preliminare, proposta invece dalla resistente (secondo cui il primo ordine di censure in esame sarebbe inammissibile per difetto di interesse dell’appellante) le argomentazioni prospettate non appaiono condivisibili, anche a prescindere dall’impossibilità di rilevare d’ufficio, in sede di appello, l’ipotizzato difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendosi formato sulla cognizione del giudice adito – ex art. 9 Cod. proc. amm. – un giudicato parziale, in assenza di appello incidentale al riguardo.
Sulla natura giuridica di SEA, infatti, va condiviso l’assunto dell’appellante Ricorrente, che richiama il precedente di cui a Cons. Stato, VI, 19 maggio 2008, n. 2280, secondo cui – in base ai principi comunitari (art. 1, para. 9, della direttiva 2004/18/CE; art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163 del 2006) – deve attribuirsi rilievo preminente, per definire un ente quale “organismo istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”, non tanto al carattere dell’attività svolta, quanto alle esigenze che la medesima è preordinata a soddisfare.
Non può essere posto in dubbio, d’altra parte, che la gestione di grandi strutture aeroportuali come quelle degli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa – quali infrastrutture di primario interesse nazionale, essenziali per il sistema dei trasporti, finalizzato a soddisfare esigenze di mobilità dei cittadini costituzionalmente garantite – ,vada considerata servizio di interesse generale, affidato – a seconda dei casi – allo Stato o a un altro ente pubblico territoriale, ma gestibile anche in forma societaria, ovvero tramite concessione a privati.
Per quanto qui interessa, in ogni caso, il fine di lucro dell’eventuale esercente esterno non prevale sulla natura del servizio, che resta intrinsecamente pubblicistica in ragione della sua indefettibilità rispetto all’utilità generale, e che e fa rientrare l’ente o la società, investita della stessa, fra gli organismi di diritto pubblico, ovvero fra i “soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, all’applicazione della normativa comunitaria, nonché al rispetto dei procedimenti ad evidenza pubblica, previsti dalla normativa statale o regionale” (cfr. art. 133, comma 1, lettera e, n. 1 Cod. proc. amm., nonché, per il principio, Cons. Stato, VI, 19 maggio 2008, n. 2280 e 1 aprile 2000, n. 1885; V, 22 aprile 2004, n. 2292; cfr. inoltre, per gli interporti, Cass., SS.UU., 12 maggio 2005, n. 9940).
Consegue alle considerazioni svolte il rigetto dell’eccezione preliminare di inammissibilità.
Si deve invece riconoscere, per quanto riguarda il merito del gravame, la fondatezza delle argomentazioni della resistente SEA s.p.a..
Deve infatti ritenersi pacifico, in primo luogo, che l’art. 3, commi 26 e 27, del d.lgs. n. 163 del 2006 si limiti a definire gli organismi di diritto pubblico, ai fini della controinteressatazzata applicazione agli stessi, in via ordinaria, delle norme di cui alle Parti I, II, IV e V del Codice. Questo non esclude che detti organismi, come anche le imprese pubbliche, possano – in ragione dell’attività espletata – ricadere sotto le disposizioni speciali della Parte III del Codice stesso.
Nella già ricordata sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 16 del 2011 è valutato l’ambito soggettivo ed oggettivo dei settori definiti “speciali” (già “settori esclusi” perché in passato sottratti alla concorrenza e all’attuazione del diritto comunitario degli appalti pubblici, con conseguente disciplina degli stessi sottratta alle relative regole).
Successivamente, tuttavia, anche tali settori sono stati portati nell’ambito di operatività della speciale regolamentazione contrattualistica pubblica, per meglio garantire la concorrenza, seppure con più ampi margini di libertà per le stazioni appaltanti.
Sul piano soggettivo, l’art. 207 del d.lgs. n. 163 del 2006 fa rientrare tra le possibili destinatarie della Parte III del Codice amministrazioni aggiudicatrici, imprese pubbliche ed altre figure che operino “in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente”.
Data l’ampiezza di quest’area soggettiva, la disciplina dei settori speciali è dunque in via prioritaria rapportabile, sul piano oggettivo, all’attività svolta, secondo le indicazioni contenute negli articoli da 208 a 213 dello stesso Codice.
Secondo la sentenza del Consiglio di Stato,, Ad. plen., n. 16 del 2011, l’art. 207 costituisce attuazione della direttiva 2004/17/CE e va, in base alla recente giurisprudenza comunitaria (Corte giust. CE, 10 aprile 2008, C 393/06, Ing. Aigner c. Fernwärme Wien GmbH) inteso restrittivamente, con superamento della cosiddetta “teoria del contagio” di cui al caso “Mannesman” (Corte giust. CE, 15 gennaio 1998, C 44/96, Mannesmann c. Anlagenbau Austria e a.), secondo cui a tutti gli appalti di un organismo di diritto pubblico è applicabile lo stesso regime.
Anche nella predetta restrittiva interpretazione, recepita dalla citata pronuncia dell’Adunanza plenaria, tuttavia, si ravvisa la necessità che il servizio, oggetto di appalto, sia riferibile all’attività speciale di cui si voglia ritenere applicabile la disciplina. Come indicato nella citata sentenza n. 16/2011, infatti, l’art. 217 del Codice (Appalti aggiudicati per fini diversi dall’esercizio di un’attività di cui ai settori del Capo I o per l’esercizio di una di dette attività in un Paese terzo), corrispondente all’art. 20 della direttiva 2004/17/CE, sta ad indicare che vi sono appalti non già semplicemente “esclusi” dall’applicazione delle norme ordinarie del settore (e dunque regolati da quelle per i settori speciali), ma del tutto estranei all’ambito di applicazione delle medesime norme: nemmeno la disciplina dei settori speciali si applica pertanto agli appalti, non finalizzati al compimento delle attività, che delimitano normativamente i settori stessi.
A tale riguardo si fa riferimento nella medesima pronuncia all’”ambito di applicazione oggettiva”, con individuazione di possibili categorie residuali, comprendenti appalti estranei al settorespeciale, o perché da eseguirsi al di fuori del territorio dell’Unione Europea, o perché aventi fini diversi, rispetto alla specifica attività normativamente individuata.
Sotto quest’ultimo profilo, la linea di demarcazione (per identificare ciò che comunque rientra nella disciplina propria dei settori speciali) può essere individuata nella strumentalità, o meno, dell’oggetto dell’appalto al compimento dell’attività speciale in questione. Non a caso, nella medesima sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 16 del 2011, si esclude dall’applicazione della normativa sui settori speciali – e, trattandosi di imprese pubbliche, dalla stessa cognizione del giudice amministrativo –l’affidamento dei servizi di sicurezza e vigilanza privata, a mezzo di guardie giurate, presso i complessi immobiliari ENI di San Donato Milanese, ma si afferma anche che ad opposte conclusioni dovrebbe pervenirsi ove il servizio di vigilanza riguardasse una rete energetica, ovvero l’oggetto di attività del settore considerato.
Nella situazione ora in esame, viene in rilievo il settore speciale di cui all’art. 213 del Codice dei contratti pubblici, riferito ad “attività relative allo sfruttamento di un’area geografica, ai fini della messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporto ai vettori aerei, marittimi e fluviali”.
Ad avviso del Collegio, non può non ritenersi che in questo àmbito, finalizzato alle esigenze del trasporto aereo generale, debba comprendere tutte le attività, funzionalmente indirizzate a svolgere non solo le strette operazioni di decollo, atterraggio e governo dell’insieme degli aeromobili, ma anche il transito e la sicurezza dei passeggeri, lo smistamento dei bagagli e, in genere, ogni servizio ordinariamente complementare. In tale ambito va compreso il servizio assicurativo, trattandosi di attività non meramente accessoria, ma coerente rispetto alle attività principali svolte, non essendo ordinariamente configurato un sevizio aeroportuale di rilievo, privo di coperture assicurative.
Come ribadito dalla SEA, d’altra parte, non induce a diverse conclusioni la differenza di formulazione dell’art. 213 rispetto all’art. 210 (Servizi di trasporto) del Codice, riferito ai servizi ferroviari. Per questi ultimi, infatti, è corretto che si parli di gestione delle reti, in quanto elementi infrastrutturali, assenti nel trasporto aereo. Non appare conforme a corretti parametri ermeneutici, tuttavia, far derivare da tale naturale differenza un’irragionevole restrizione delle attività da considerare inerenti alla messa a disposizione degli aeroporti, come attività cui dovrebbe risultare estraneo il concetto di “gestione”: concetto insito, invece, nella “messa a disposizione” di cui trattasi, da intendere come ordinaria predisposizione di infrastrutture e di servizi, connessi alle operazioni di trasporto aereo e volti ad assicurare un contesto organizzativo efficiente, nell’interesse sia dei vettori che dei passeggeri.
In relazione ai detti parametri di ordinarietà e normalità, non può qualificarsi estraneo al contesto l’affidamento di un servizio di assicurazione contro tutti i rischi – compresi “eventi speciali ed interruzione del servizio” – in rapporto di necessaria strumentalità funzionale con l’attività di cui si discute, corrispondendo tale servizio a criteri di prudenza gestionale, per il più corretto esercizio dell’attività stessa.
In base alle considerazioni svolte, pertanto, non ricorre alcuna delle fattispecie di violazione di legge e di eccesso di potere, rappresentate nel primo motivo di gravame. Se è vero, infatti, che il complesso di censure in questione deve ritenersi ammissibile (in quanto solo l’estraneità dell’oggetto dell’appalto di cui trattasi alle attività, disciplinate nella Parte III del Codice avrebbe implicato illegittimità del bando – che appunto a tale parte del Codice faceva riferimento – con conseguente applicazione delle regole dell’evidenza pubblica secondo il regime ordinario, in ragione della natura giuridica della stazione appaltante ed a vantaggio della società, presentatrice della prima migliore offerta), è anche vero che l’intero impianto difensivo viene privato del fondamentale presupposto una volta ammesso che l’oggetto dell’appalto era da considerare, invece, compreso nell’ambito delle attività, rientranti a norma del citato art. 213 del medesimo Codice. nei settori speciali, con conseguente legittimità della prevista procedura negoziata, in base ai successivi articoli 220 e seguenti, dopo l’abrogazione dell’art. 13, comma 1, lettera “a”, del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi) ex art. 256 del Codice stesso. (cfr. anche, per il principio, Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006, n. 3999 e 3 novembre 1998, n. 1513).
Sulle modalità di detta procedura si concentra il secondo motivo di gravame, riferito a violazione o falsa applicazione degli articoli 3, comma 40, 54 e 56 del Codice dei contratti pubblici , per difformità fra bando e lettera di invito, con ulteriore violazione dei principi controinteressata di livello comunitario e nazionale in materia di trasparenza, pubblicità, imparzialità, buon andamento, par condicio, certezza, celerità e concorrenza, nonché eccesso di potere sotto vari profili. Solo nella lettera di invito infatti – e non anche nel bando, da considerare in ogni caso prevalente – sarebbe stata inserita la previsione della procedura negoziata, a seguito della quale l’appellante – presentatrice della prima migliore offerta – sarebbe stata illegittimamente pretermessa. La negoziazione, viceversa, avrebbe dovuto riguardare le condizioni dell’appalto, da intendere riferite ad elementi diversi rispetto al prezzo.
Anche detto ordine di censure non appare meritevole di accoglimento.
La lettera di invito specificava infatti – in via integrativa e non in contraddizione col criterio del prezzo più basso indicato nel bando – che sarebbe stata effettuata una “procedura negoziata”, come definita dall’art. 3, comma 40, del Codice, ovvero tramite negoziazione delle condizioni dell’appalto.
Nessuna disposizione normativa e nessuna argomentazione logica conducono a ritenere che la fase negoziata dovesse escludere l’essenziale fattore prezzo (peraltro, in presenza di predeterminazione di altri contenuti dell’accordo da concludere).
Come già esposto, d’altra parte, una maggiore libertà di forme (e quindi la possibilità di un’ulteriore fase di contatti fra le parti) può considerarsi propria dei cosiddetti settorispeciali, come disciplinati nella Parte III del Codice dei contratti pubblici.
Il terzo ordine di censure (ancora violazione o falsa applicazione dei principi comunitari e nazionali già richiamati al precedente punto II, eccesso di potere sotto vari profili e violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241) investe tre profili di prospettata illegittimità della procedura di gara di cui trattasi: criteri di trattativa affidati al sostanziale arbitrio della stazione appaltante e aggiudicazione effettuata con un minimo scarto di convenienza, ignorando la possibilità di ulteriori condizioni migliorative; possibilità – in base al criterio anzidetto – di favorire uno dei concorrenti a scapito degli altri; illegittima composizione della Commissione, in quanto formata da un numero pari di commissari, con relativa nomina in tempi non compatibili con quanto previsto dall’art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006. Risultano ribadite, inoltre, ulteriori censure, già prospettate in primo grado con motivi aggiunti di gravame: non identificabilità della lettera di comunicazione con l’aggiudicazione definitiva (che non sarebbe pertanto intervenuta, come dimostrerebbe anche la mai avvenuta comunicazione della stessa all’attuale appellante); assenza di un contratto, formalmente sottoscritto dalle parti (non potendo attribuirsi tale carattere alla polizza assicurativa); violazione dei termini, prescritti per la stipula dall’art. 11, comma 10, del Codice dei contratti pubblici.
Non aggiungono elementi sostanziali al thema decidendum e non appaiono conformi al principio di sinteticità, di cui all’art. 3, comma 2, Cod. proc. amm. (non meno degli operati rinvii ad altri scritti difensivi, le cui argomentazioni non vengono in alcun modo riassunte né organicamente inserite nel testo, con ulteriore violazione del principio di chiarezza) la trascrizione di una memoria esplicativa, già prodotta in primo grado di giudizio ed una serie di specifiche censure avverso le motivazioni della sentenza appellata sui diversi profili di legittimità contestati.
A quest’ultimo riguardo è bene precisare che l’inciso, contenuto nell’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm., secondo cui “il ricorso in appello deve contenere […] le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata” non deve ritenersi – in contrasto col ricordato principio di sinteticità, di cui all’art. 3, comma 2 – impositivo di tali censure anche in assenza di contestazioni, propriamente riferibili al contenuto della sentenza stessa (come nel caso in cui fossero ravvisate in quest’ultima ragioni di inammissibilità o irricevibilità dell’impugnativa), anziché ai vizi del provvedimento originariamente impugnato. Ove dette contestazioni fossero invece rapportabili al rigetto delle argomentazioni, proposte in primo grado avverso il provvedimento impugnato, verrebbero sostanzialmente in discussione le motivazioni della sentenza appellata. A tale riguardo, tuttavia, è perdurante il già ricordato principio generale di effetto devolutivo dell’appello, in base al quale, in secondo grado di giudizio, il giudice è chiamato a valutare le originarie censure riproposte, integrando o modificando – ove necessario – la motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (fermo restando che i motivi di appello, formalmente riproduttivi delle censure prospettate in primo grado, possono contenere, in modo più o meno esplicito, argomentazioni contrarie a quelle espresse nella sentenza appellata).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che anche il terzo ordine di censure – e le ulteriori ragioni difensive già oggetto di motivi aggiunti – debba ritenersi infondato.
Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, le modalità della procedura negoziata, sembra appena il caso di ricordare che la disciplina dei cosiddetti settori speciali – originariamente esclusi dalle speciali regole contrattualistiche dell’evidenza pubblica – è finalizzata a tutelare la concorrenza, ma con minore schematicità formale rispetto agli appalti dei settori ordinari. A differenza che per questi ultimi, dove non è ipotizzabile che alla presa visione delle offerte faccia seguito una fase di negoziazione fra le parti, al fine di verificare margini di miglioramento delle offerte, per i contratti di cui alla Parte III del Codice dei contratti pubblici un’evenienza del genere è del tutto configurabile e legittima in sede di procedura negoziata.
In tale contesto, la logica e la correttezza della fase negoziata in esame debbono trovare riscontro in concreto, data la relativa libertà di forma accordata ai soggetti aggiudicatori. Per quanto risulta nella fattispecie, in presenza di una graduatoria provvisoria (in cui l’attuale appellante risultava migliore offerente), la stazione appaltante procedeva a richiedere alle imprese concorrenti un’offerta migliorativa, in conformità a quanto previsto nella lettera di invito del 5 novembre 2007 (in cui si prevedeva espressamente che l’offerta economica sarebbe stata solo la base di una successiva “trattativa di acquisizione negoziata”).
Nell’avviare detta ulteriore trattativa, la medesima stazione appaltante, in data 20 novembre 2007, precisava quanto segue: “l’offerta così formulata costituirà l’offerta di riferimento ai fini della definizione della graduatoria”.
Sul significato di questa precisazione il Collegio condivide le considerazioni della sentenza appellata, secondo cui si esprimeva in tal modo il carattere definitivo della nuova offerta richiesta, in base alla quale – secondo il previsto criterio del prezzo più basso – avrebbe avuto luogo l’aggiudicazione.
Come osservato dalla resistente, d’altra parte, è ragionevole ritenere che – sulla base dei margini emersi già in sede di graduatoria provvisoria – la Commissione avesse previsto di raggiungere, già in sede di prima offerta migliorativa, una soglia di equità del prezzo in base alle regole del mercato, con insussistente possibilità di ulteriori miglioramenti che non incidessero sulla corretta impostazione del sinallagma contrattuale, compromettendo un’efficace esecuzione dell’accordo da sottoscrivere.
La procedura svoltasi, in altre parole, contraddice in fatto le ipotesi formulate dall’appellante Ricorrente, secondo cui la Commissione avrebbe potuto condurre la fase negoziata di cui trattasi in modo assolutamente arbitrario, procedendo ad libitum a richiedere offerte migliorative, fino a pervenire all’aggiudicazione a favore del concorrente più gradito.
Il mancato accoglimento della proposta di Ricorrente di procedere ad un ulteriore ribasso ed il minimo scarto economico, in base a cui detta aggiudicazione risulta intervenuta, appaiono argomenti che non confortano le prospettazioni dell’appellante, dimostrando rispetto della par condicio dei concorrenti (cui era stata preannunciata la “definizione” della graduatoria in base alla seconda offerta) e avvenuto raggiungimento di una soglia anelastica del prezzo richiesto, con fisiologica possibilità che l’aggiudicazione avesse luogo sulla base di uno scarto economico anche minimo.
Quanto al numero dei componenti della Commissione aggiudicatrice, non possono che essere condivise ancora una volta le conclusioni della sentenza appellata circa l’inapplicabilità dei criteri dettati dall’art. 84 del Codice per la composizione ed il modus operandi di detta Commissione, in previsione di aggiudicazioni da effettuare in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Nella situazione in esame, infatti, l’automatismo del diverso criterio del prezzo più basso non poteva ritenersi venuto meno solo per la sussistenza di un margine di trattativa, finalizzato al raggiungimento di un sostanziale equilibrio fra le offerte, quale indice di raggiungimento della soglia di anelasticità sopra indicata, al di là della quale avrebbero potuto ravvisarsi fattori di anomalia. Il margine di discrezionalità tecnica, riconducibile alla predetta valutazione non appare, in effetti, tale da consentire l’assimilazione della fase negoziata di cui trattasi a quella dell’aggiudicazione secondo il criterio dell’offerta più vantaggiosa, per il quale il citato art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede, al comma 2, un numero pari di componenti, “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”, con chiaro riferimento ad un diverso piano di apprezzamento, riferito alla qualità delle prestazioni richieste.
Restano da esaminare le ultime argomentazioni difensive, a suo tempo prospettate in forma di motivi aggiunti di gravame e riproposte in appello.
Anche tali argomentazioni risultano non condivisibili.
Per quanto riguarda l’asserita mancanza di una formale aggiudicazione definitiva, infatti, in presunta violazione dell’art. 11, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006, nonché l’omessa approvazione della stessa aggiudicazione provvisoria, ex art. 12, comma 1, del medesimo Codice, il Collegio ritiene altresì condivisibile quanto affermato nella sentenza appellata circa l’identificabilità della volontà di detta aggiudicazione provvisoria con quanto contenuto nel verbale n. 4 del 23 novembre 2007, che può considerarsi approvato con l’aggiudicazione definitiva, a sua volta identificabile con la comunicazione di SEA s.p.a. n. prot. 0054393 del 6 dicembre 2007.
Tramite detta comunicazione, infatti, la stazione appaltante mostrava in modo non equivoco la propria volontà di recepire le conclusioni raggiunte dalla commissione aggiudicatrice, con il contenuto proprio dell’aggiudicazione definitiva, per la quale non è prescritta ad substantiam una particolare forma; l’omesso invio di tale comunicazione anche all’attuale appellante non appare, a sua volta, circostanza invalidante della procedura, anche alla luce dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990.
Ugualmente insussistente appare la prospettata mancanza di un contratto formalmente predisposto, in quanto la polizza dovrebbe ritenersi mero elemento probatorio del contratto stesso, ex art. 1888 Cod. civ. (sulla necessaria prova scritta del contratto di assicurazione). Sotto tale profilo, in effetti, l’appellante sembra confondere l’atto conclusivo della procedura negoziata (per il quale vi è la necessità ad substantiam dell’atto scritto: cfr. Cons. Stato, IV, 22 luglio 2010, n. 4809) con il successivo rapporto negoziale, rispetto la quale la forma scritta del contratto di assicurazione è prevista ad probationem tantum (Cass., III, 18 febbraio 2000, n. 1875 e 8 gennaio 1999, n. 102). Non è qui in discussione d’altra parte, né potrebbe esserlo per ragioni di giurisdizione, la regolamentazione negoziale, la cui cognizione è rimessa al giudice ordinario, chiamato a valutare il rapporto instaurato in base alle disposizioni del codice civile. Per quanto riguarda, invece, la procedura pubblicistica di scelta del contraente, nulla esclude che la polizza possa considerarsi satisfattiva del requisito sostanziale – e non meramente probatorio – della forma scritta, in quanto contenente le obbligazioni delle parti e dalle medesime firmato per accettazione.
Nelle argomentazioni dell’appellante non si rinvengono, peraltro, ragioni di incompatibilità fra le condizioni contenute nella suddetta polizza e i contenuti dell’accordo predisposti in sede di indizione della procedura selettiva (fatto salvo un generico accenno alla possibilità di rinnovo tacito alla scadenza, di per sé non invalidante). Ne consegue l’infondatezza delle tesi esposte, in considerazione della libertà di contrattazione riconosciuta alle parti, del principio di libertà delle forme, vigente in via generale per gli atti amministrativi (cfr. al riguardo, fra le tante, Cons. Stato, IV, 16 febbraio 1998, n. 300) e dei diversi ambiti di giudizio sussistenti in materia contrattuale pubblica (corrispondendo quest’ultima ad attività privatistica dell’Amministrazione, soggetta ad una fase procedurale disciplinata dal Codice dei contratti pubblici e da una fase esecutiva prettamente civilistica, le cui controversie sono soggette alla giurisdizione ordinaria, e disciplinata dalle norme comuni in materia negoziale).
Quanto alla prospettata violazione dei termini di cui agli articoli 10 e 11 del d.lgs. n. 163 del 2006, infine, è stato correttamente ricordato come la direttiva 207/66/CE del 11 dicembre 2007 commini la privazione degli effetti dei contratti stipulati solo per violazioni “gravi” del termine sospensivo obbligatorio, ove, peraltro, dette violazioni riguardino le direttive 2004/18/CE o 2004/17/CE. Sarebbero state sussistenti, inoltre, le ragioni di urgenza, di cui al medesimo art. 11, comma 9 (ragioni che avrebbero comportato, peraltro, un’anticipazione di soli sei giorni per la stipula del contratto, in considerazione dell’imminente scadenza del contratto di assicurazione già in essere), fermo restando, in ogni caso, che la violazione della clausola detta di stand still (termine dilatorio che dovrebbe precedere la stipula del contratto) è ritenuta incidente sull’azione dell’Amministrazione successiva all’aggiudicazione e non anche sulla validità di quest’ultima (Cons. Stato, III, 12 luglio 2011, n. 4163).
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto, con assorbimento delle argomentazioni difensive non puntualmente esaminate, in quanto non determinanti per la decisione. Quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della complessità della vicenda controversa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello specificato in epigrafe; compensa le spese giudiziali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)