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Sebbene la revoca sia illegittima, è scusabile l’errore della stazione appaltante

In ogni caso, anche a voler ammettere che l’esecuzione in forma specifica non fu chiesta in quanto oggettivamente preclusa, la domanda di risarcimento per equivalente non potrebbe comunque essere accolta per difetto dei presupposti.
In particolare, per quanto riguarda i presupposti soggettivi si osserva che nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello la Ricorrente ha proposto la domanda risarcitoria in via strettamente consequenziale a quella di annullamento del decreto impugnato, riconducendola alla responsabilità colposa delle Amministrazioni convenute secondo i comuni principi aquiliani, e quindi senza evocare – alla luce della evoluzione della giurisprudenza comunitaria – una responsabilità oggettiva connessa alla sola materiale violazione di norme e svincolata da ogni considerazione di profili psicologici.
In tale ottica, si ricorda che – per consolidata giurisprudenza – in sede di accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione per danno arrecato a privati a seguito di attività illegittima, non è richiesto alla parte lesa un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione, in quanto, pur non essendo configurabile una generalizzata presunzione di colpa della P.A. possono invece operare regole di comune esperienza e le presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ., desunta dalla singola fattispecie.
In sostanza, il privato può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa e spetta invece alla pubblica amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in particolare nel caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante dei comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
Applicando tali coordinate interpretative al caso in esame, deve osservarsi che la revoca dell’aggiudicazione della quale qui si discute è intervenuta in un contesto di fatto estremamente complesso, caratterizzato dall’esplicito rifiuto dell’A.T.I. di procedere alla stipula della convenzione nei termini originariamente pattuiti e dall’espressa dichiarazione dell’A.T.I. stessa di non avere più concreto interesse all’affidamento in difetto di revisione del prezzo.
si comprende come il comune – volendo procedere al bando di nuove gare per la realizzazione almeno di parte delle opere contemplate nell’originario appalto – abbia proceduto alla revoca della precedente aggiudicazione.
Certamente, come acclarato dal giudicato, i motivi addotti dall’ente a sostegno del provvedimento di revoca erano illegittimi ma le circostanze di fatto sopra delineate – se pure non sanano le illegittimità risultando irrilevanti rispetto ad esse – inducono il Collegio a ritenere evidentemente scusabile l’errore in cui è incorsa l’Ammini-strazione
a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla  decisione numero 629 dell’ 1 luglio 2013  pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

 

Sentenza integrale

N. 629/13  Reg.Sent. 

N.     284         Reg.Ric.

 

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso in appello n. 284 del 2012 proposto da

RICORRENTE COSTRUZIONI s.p.a.,

in proprio e quale capogruppo mandataria dell’associazione temporanea di imprese costituita con DI RICORRENTE 2 s.p.a e RICORRENTE 3 s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabrizio Amalfi e Francesco Saverio Mussari, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Palermo, via Cesareo n. 54;

c o n t r o

il COMUNE DI PALERMO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Anna Maria Impinna, con domicilio eletto presso l’Avvocatura comunale in Palermo, piazza Marina n. 39;

nonchè contro

la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvo-catura distrettuale dello Stato presso i cui uffici è per legge domiciliata in Palermo, via Alcide De Gasperi, n. 81;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia -sede di Palermo (sez. III) – 27.12.2011 n. 2453;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione e le memorie del comune;

Visto il controricorso dell’Amministrazione statale;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il Consigliere Antonino Anastasi;

Uditi, alla pubblica udienza del 27 marzo 2013, l’avv. F. Amalfi per la società ricorrente, l’avv. A.M. Impinna per il Comune di Palermo e l’avv. dello Stato Mango per la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Con deliberazione consiliare n. 138 del 1991 il comune di Palermo ha affidato all’a.t.i. di cui è mandataria la Ricorrente Costruzioni s.p.a., la concessione di costruzione per progettazione esecutiva e realizzazione degli impianti di verde pubblico e attrezzato nel quartiere Zen di Palermo e per il completamento di quello di verde attrezzato in fondo Patti.

La gara in argomento era stata bandita per effetto delle disposizioni contenute nell’art. 2 del d.l. n. 19 del 1988, aventi ad oggetto il finanziamento di opere (qualificate di preminente interesse nazionale) dirette al risanamento delle città di Palermo e Catania.

In data 14 febbraio 1992 l’a.t.i. Ricorrente venne formalmente convocata dal Sindaco di Palermo per il giorno 7 marzo 1992, onde procedere alla stipula della convenzione.

La convenzione non fu però mai sottoscritta, a causa di dissensi insorti tra le parti per quanto concerne la richiesta di Ricorrente volta ad ottenere un aggiornamento del prezzo originariamente pattuito.

Con successiva deliberazione consiliare n. 264 del 17 novembre 1995 il Comune ha revocato il precedente atto n. 138/91, sul rilievo che le modificazioni introdotte all’art. 43 della l.r. n. 21/1985 non consentivano più l’affidamento di concessione di lavori di mera costruzione.

Avverso tale ultimo provvedimento l’a.t.i. ricorrente ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. Palermo il quale con la sentenza n. 909 del 2003 ha annullato la delibera di revoca ma ha dichiarato inammissibile per ragioni di rito la domanda di risarcimento proposta dalla Ricorrente.

Questo Consiglio, con decisione n. 450 del 2005, ha poi respinto l’appello proposto dal comune di Palermo avverso la decisione di primo grado.

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio l’a.t.i. Ricorrente Costruzioni s.p.a. ha nuovamente chiesto la condanna del Comune di Palermo al risarcimento del danno derivante dalla revoca della deliberazione consiliare di affidamento dell’appalto.

L’adito Tribunale, dopo aver ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti della P.C.M., con la sentenza in epigrafe indicata ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento per intervenuta prescrizione quinquennale.

A sostegno del decisum il Tribunale ha osservato che l’evento causativo del danno lamentato dalla ricorrente è la mancata stipula della convenzione, con la conseguenza che il relativo termine prescrizionale iniziò a decorrere (senza essere mai interrotto nel quinquennio) dalla data del 7.3.1992, formalmente fissata per la sottoscrizione dell’accordo.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dalla soccombente la quale ne chiede l’integrale riforma con accoglimento della richiesta risarcitoria, deducendo in sostanza che il danno patito dall’aggiudicataria si è materializzato solo al momento in cui il comune ha revocato l’affidamento della concessione.

Si è costituito in resistenza il comune di Palermo, il quale eccepisce tra l’altro il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto la concessione per cui è processo riguardava la realizzazione di opere di preminente interesse nazionale.

Il comune rileva inoltre che l’A.T.I. di cui era mandataria l’odierna ricorrente e nel cui nome essa agisce non esiste più in quanto la RICORRENTE 3. è sottoposta a procedura di liquidazione mentre le società Ricorrente e Di Ricorrente 2 hanno ceduto il ramo d’azienda interessato ai lavori.

Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri, anch’essa eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

La Presidenza eccepisce altresì l’inammissibilità dell’appello proposto nei suoi confronti in quanto la ricorrente ha inizialmente notificato un appello rivolto solo nei confronti del comune e solo successivamente (sia pure nella medesima giornata) ha notificato un nuovo atto di impugnazione rivolto anche contro l’Amministrazione centrale.

Le parti hanno depositato memorie e repliche, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

D I R I T T O

La richiesta risarcitoria avanzata dalla appellante è infondata e va pertanto respinta, il che dispensa il Collegio da ogni approfondimento in ordine alle eccezioni di inammissibilità dell’appello e di difetto di legittimazione passiva separatamente versate sia dal comune di Palermo che dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Come chiarito nelle premesse, la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria proposta dalla A.T.I. odierna appellante rilevando che la stessa non aveva domandato il risarcimento del danno asseritamente patito nel termine di prescrizione quinquennale.

Secondo il Tribunale detto termine aveva iniziato a decorrere dal momento in cui il comune convocò la Ricorrente per la stipula della convenzione, esplicitamente rifiutandosi di aggiornare il prezzo originariamente pattuito.

In proposito deduce l’appellante che così statuendo il Tribunale sarebbe incorso in un evidente fraintendimento, in quanto il danno lamentato dalle imprese aggiudicatarie non deriva dal mancato aggiornamento del prezzo ma piuttosto dalla illegittima revoca dell’aggiu-dicazione.

Il rilievo merita, a giudizio del Collegio, positiva considerazione.

La domanda di risarcimento ora in esame costituisce la pressoché pedissequa riproposizione di quella già introdotta dalla Ricorrente dinanzi al TAR contestualmente all’impugnazione della revoca dell’aggiudicazione, ma dichiarata allora inammissibile perché proposta con memoria non notificata ed in carenza di idonea procura alle liti.

Quindi la causa petendi sottesa all’originaria domanda nonchè al ricorso introduttivo del presente giudizio va individuata nella lesione del diritto dell’aggiudicataria all’affidamento della concessione, lesione asseritamente derivante (secondo la inequivoca prospettazione della ricorrente) dalla revoca autoritativa dell’aggiudicazione stessa ad opera del comune.

Di talché, tenendo conto del momento in cui la ricorrente ha acquisito conoscenza della delibera di revoca e della tesi giurisprudenziale, poi seguita dal c.p.a., secondo cui l’azione risarcitoria per danno da provvedimento illegittimo può essere proposta separatamente dall’azione impugnatoria ed entro un termine decorrente dal giudicato di annullamento del provvedimento illegittimo, deve concludersi che all’epoca in cui la Ricorrente ha proposto avanti al T.A.R. la domanda risarcitoria ora in esame il relativo termine prescrizionale non era decorso.

Nel merito, come anticipato, detta domanda non può però essere accolta.

In primo luogo si osserva che in realtà dal punto di vista giuridico il danno lamentato dalla Ricorrente non sussiste.

Come si è detto, secondo la chiara prospettazione della ricorrente il danno lamentato si ricollega alla revoca dell’aggiudicazione da parte del comune di Palermo, il quale mediante tale atto autoritativo illegittimamente adottato avrebbe impedito all’A.T.I. di espletare l’appalto.

Ma in realtà, come meglio si vedrà in seguito, l’A.T.I. aveva da tempo rifiutato di stipulare la convenzione di concessione e si era dichiarata disinteressata allo svolgimento dell’appalto, in difetto di una rinegoziazione in melius del relativo prezzo.

Anche dopo l’annullamento della revoca (e la conseguente reviviscenza dell’originaria delibera di aggiudicazione) l’impresa non ha mai chiesto di svolgere l’appalto, e cioè non ha mai chiesto (come pure poteva) di essere risarcita in forma specifica, limitandosi a domandare il risarcimento per equivalente.

Quindi il danno risarcibile in questa sede richiesto non sussiste, in quanto la revoca ha inciso sulla aggiudicazione di una concessione per la quale la stessa aggiudicataria non aveva più interesse e la cui esecuzione non ha mai domandato.

In ogni caso, anche a voler ammettere che l’esecuzione in forma specifica non fu chiesta in quanto oggettivamente preclusa, la domanda di risarcimento per equivalente non potrebbe comunque essere accolta per difetto dei presupposti.

In particolare, per quanto riguarda i presupposti soggettivi si osserva che nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello la Ricorrente ha proposto la domanda risarcitoria in via strettamente consequenziale a quella di annullamento del decreto impugnato, riconducendola alla responsabilità colposa delle Amministrazioni convenute secondo i comuni principi aquiliani, e quindi senza evocare – alla luce della evoluzione della giurisprudenza comunitaria – una responsabilità oggettiva connessa alla sola materiale violazione di norme e svincolata da ogni considerazione di profili psicologici.

In tale ottica, si ricorda che – per consolidata giurisprudenza – in sede di accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione per danno arrecato a privati a seguito di attività illegittima, non è richiesto alla parte lesa un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione, in quanto, pur non essendo configurabile una generalizzata presunzione di colpa della P.A. possono invece operare regole di comune esperienza e le presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ., desunta dalla singola fattispecie.

In sostanza, il privato può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa e spetta invece alla pubblica amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in particolare nel caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante dei comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Applicando tali coordinate interpretative al caso in esame, deve osservarsi che la revoca dell’aggiudicazione della quale qui si discute è intervenuta in un contesto di fatto estremamente complesso, caratterizzato dall’esplicito rifiuto dell’A.T.I. di procedere alla stipula della convenzione nei termini originariamente pattuiti e dall’espressa dichiarazione dell’A.T.I. stessa di non avere più concreto interesse all’affidamento in difetto di revisione del prezzo.

Infatti, come ricordato in narrativa, avendo il sindaco di Palermo con nota del 14.2.1992 convocato l’A.T.I. per il giorno 7.3.1992 onde procedere alla stipula della convenzione, questa con propria nota del 28.2.1992 ha ribadito la richiesta di aggiornamento del prezzo, precisando che – in difetto – non sussisteva da parte sua alcun residuo interesse all’affidamento della concessione in oggetto.

In tale contesto si comprende come il comune – volendo procedere al bando di nuove gare per la realizzazione almeno di parte delle opere contemplate nell’originario appalto – abbia proceduto alla revoca della precedente aggiudicazione.

Certamente, come acclarato dal giudicato, i motivi addotti dall’ente a sostegno del provvedimento di revoca erano illegittimi ma le circostanze di fatto sopra delineate – se pure non sanano le illegittimità risultando irrilevanti rispetto ad esse – inducono il Collegio a ritenere evidentemente scusabile l’errore in cui è incorsa l’Ammini-strazione.

Sinteticamente va poi comunque aggiunto che la domanda risarcitoria è formulata in termini inammissibilmente generici.

L’appellante si limita infatti a richiedere in via principale una percentuale pari al dieci per cento del valore dell’appalto, laddove la giurisprudenza ha ormai da tempo chiarito che detta percentuale non rappresenta un criterio automatico di quantificazione del danno quale mancato guadagno, occorrendo la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se avesse svolto i lavori.

Analogamente, l’impresa richiede una somma ingente a titolo di risarcimento per l’immobilizzazione di fattori produttivi (risorse umane e mezzi tecnici) che non avrebbe altrimenti impiegato dal 1987 al 1996 ma non offre al riguardo alcun principio di prova.

In disparte tale rilievo, è anche da dire che – come eccepisce il comune – non comprende come l’impresa possa essersi sentita vincolata all’offerta per un periodo così lungo quando la stessa, come si è visto, si è rifiutata di stipulare la convenzione di concessione dichiarando espressamente di non essere più interessata all’affidamento.

In conclusione la richiesta di risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima revoca dell’aggiudicazione, qui proposta dall’A.T.I. Ricorrente, va respinta.

Per l’effetto la sentenza impugnata va confermata con diversa motivazione.

Le spese processuali possono essere integralmente compensate avuto riguardo alla complessità della vicenda sostanziale.

P. Q. M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata con diversa motivazione.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 27 marzo 2013 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Rosanna De Nictolis, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Guido Salemi, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.

F.to Rosanna De Nictolis, Presidente,

F.to Antonino Anastasi, Estensore

Depositata in Segreteria

01 luglio 2013

 

 

 

 

Sebbene la revoca sia illegittima, è scusabile l’errore della stazione appaltante Reviewed by on . In ogni caso, anche a voler ammettere che l’esecuzione in forma specifica non fu chiesta in quanto oggettivamente preclusa, la domanda di risarcimento per equiv In ogni caso, anche a voler ammettere che l’esecuzione in forma specifica non fu chiesta in quanto oggettivamente preclusa, la domanda di risarcimento per equiv Rating: 0
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