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Se non pericoli par conditio, obbligo prevalenza positiva situazione reale rispetto a quella legittimamente desunta

In tema di partecipazione agli incanti pubblici, i principi di trasparenza, concorrenza, e massima partecipazione costituiscono la ragione fondante della legislazione attuativa 

Se – entro ristretti limiti, per il vero- si consente la etero integrabilità financo della documentazione di gara, apparrebbe illogico non consentire la “rettifica” di una dichiarazione sostanzialmente sfavorevole alla posizione del partecipante,e da questi per mero errore resa, che ne abbia comportato la espulsione dalla gara laddove (come nel caso di specie) la sottostante situazione “reale” renda evidente che la statuizione espulsiva era del tutto non dovuta ove rapportata alla situazione esistente. 

Nel caso di specie nessuna esigenza sostanziale, e men che meno di rispetto della par condicio dei concorrenti (posto che l’appellata aveva compiutamente dimostrato la positiva ricorrenza delle condizioni partecipative) poteva ostare alla rivisitazione delle precedenti determinazioni: né dicasi che non sussistevano i presupposti per l’autotutela decisoria, stante la circostanza che in un lasso di tempo brevissimo era stato disvelato l’equivoco in cui era stato parte attiva l’offerente, e si era accertato che la ditta versava in una condizione di regolarità. 

Ritiene di dovere aggiungere il Collegio che quanto sinora detto non significa “imporre” all’Amministrazione l’adozione di “controprovvedimenti” discrezionali: l’affermazione contenuta nella sentenza del Tar, che il Collegio condivide pienamente, implica unicamente l’esigenza che l’Amministrazione, allorchè non si ravvisino lesioni alla par condicio, né indebite “sanatorie” di preesistenti condizioni di irregolarità, faccia prevalere la positiva situazione reale rispetto a quella (pur legittimamente) “desunta”, laddove ciò non crei, ovviamente, insopportabili intralci o ritardi alla speditezza dell’azione amministrativa (circostanza certamente da escludere nel caso di specie). 

passaggio tratto dalla decisione  numero 694 del 5  febbraio  2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

Sentenza integrale

N. 00694/2013REG.SEN.
N. 00080/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 80 del 2013, proposto da:
Agenzia delle Dogane – Direzione Centrale Amministrazione e Finanza (Ufficio Acquisti), in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
contro
Alfredo Controinteressata S.p.A. in proprio e quale Mandataria Rti, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Lucio Epifanio, con domicilio eletto presso Alessandro Ficco in Roma, via Pasquale II, 349; Rti – Controinteressata Group e in Proprio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA- SEZIONE II n. 09306/2012, resa tra le parti, concernente affidamento fornitura capi di vestiario personale agenzia delle dogane

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Alfredo Controinteressata S.p.A. in proprio e quale Mandataria Rti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’Avvocato Amodio e l’Avvocato dello Stato Elefante;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Fatto e Diritto
Con la decisione in epigrafe indicata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma- ha accolto il ricorso proposto dall’odierna parte appellata “ALFREDO CONTROINTERESSATA S.p.a.” e “CONTROINTERESSATA GROUP S.r.l.”, volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento 19900/RI del 25 luglio 2012 della Direzione centrale amministrazione e finanza dell’Agenzia delle dogane, con era stata esclusa dalla gara indetta dalla stazione appaltante e della relativa nota di comunicazione n. 92066/RU del 26 luglio 2012, nonché della nota 105539/RU del 6 settembre 2012, con la quale la stazione appaltante aveva rigettato il preavviso di ricorso avverso la citata esclusione, proposto ex art. 243-bis del decreto legislativo n. 163 del 2006 nonché del bando e del disciplinare di gara, nella parte in cui imponevano l’obbligo di possedere la licenza prefettizia ex art. 28 TULPS.
Erano state articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Il primo giudice disattesa la censura di nullità della previsione del bando che aveva previsto, quale condizione di partecipazione la dimostrazione del possesso, in capo ai concorrenti, della licenza prefettizia ex art. 28 T.U.L.P.S. e respinto il motivo di ricorso con il quale si contestava la competenza del dirigente di settore ad adottare gli atti del procedimento ha accolto il ricorso nel merito.
Riepilogata – anche sotto il profilo cronologico – la scansione infraprocedimentale, ha rimarcato che la Controinteressata Group, indipendentemente dal fatto che fosse o meno titolare di una licenza ex art. 28 TULPS in epoca antecedente rispetto alla data di scadenza del termine per presentare le offerte (fissato dal bando alle ore 12 dell’8 marzo 2012 e poi prorogato alle ore 12 del 23 marzo 2012), circostanza peraltro documentalmente dimostrata in atti attraverso le certificazioni della Prefettura di Torino, attraverso le quali si ricostruisce la presenza certa di due rilasci di licenza per il 2010 ed il 2011 con scadenza 15 gennaio 2012, alla data dell’8 marzo 2012 (prima data di scadenza del termine per la presentazione delle domande), aveva effettivamente dichiarato di aver richiesto il rilascio della licenza e non il rinnovo di quest’ultima (come dimostrato dall’istanza redatta dal Signor Zamengo e prodotta in atti ove spiccava il contrassegno della casella dedicata alla richiesta di rilascio della licenza e non quella di rinnovo).
Ne derivava che sotto tale profilo la dichiarazione resa dal rappresentante legale della Controinteressata Group effettivamente risultava essere, all’apparenza, infedele.
Alla stregua delle resultanze documentali in atti, non implausibilmente, quindi, era stato ritenuto da parte dell’Amministrazione che la Controinteressata Group avesse chiesto il rilascio di una nuova autorizzazione e non un rinnovo (di una licenza già rilasciata a suo favore), determinandosi in tal modo, potenzialmente, uno spazio temporale durante il quale la licenza non fosse posseduta dalla Controinteressata Group.
Ad avviso del primo giudice, però, la data “fatale”, per la dimostrazione del possesso della licenza ex art. 28 T.U.L.P.S., non poteva più considerarsi l’8 marzo 2012, bensì il 23 marzo 2012 in quanto, con nota prot. 6022/RI del 2 marzo 2012, l’Agenzia delle dogane aveva provveduto a prorogare il termine di presentazione delle domande e delle offerte dall’8 marzo 2012 al 23 marzo 2012. Tale circostanza incideva fortemente sulla soluzione della controversia, in quanto la licenza ex art. 28 T.U.L.P.S. risultava essere stata rilasciata (con efficacia biennale fino al 22 marzo 2014) dalla Prefettura di Torino alla Controinteressata Group in epoca antecedente a tale data, vale a dire il 22 marzo 2012.
Ai sensi dell’art. 46, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, pertanto la statuizione espulsiva si appalesava inadeguata.
L’appellante amministrazione rimasta soccombente ha proposto un articolato appello avverso la sentenza in epigrafe sostenendone la contraddittorietà (l’annullamento era stato pronunciato sebbene fosse stato espressamente affermato che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione era stata adeguata e completa), la erroneità (non poteva affermarsi che la data di scadenza del termine per la dimostrazione del possesso della licenza ex art. 28 T.U.L.P.S.,era il 23 marzo 2012) e la non conducenza sotto il profilo giuridico (incentrandosi su una estensiva e non condivisibile interpretazione dell’art. 46, comma 1, del Codice dei contratti pubblici).
Ne ha chiesto pertanto la riforma, con conseguente reiezione del mezzo di primo grado.
L’ odierna parte appellata ha depositato una articolata memoria nell’ambito della quale ha ripercorso i tratti salienti della fase infraprocedimentale ed ha chiesto di respingere l’appello perché infondato riproponendo le censure respinte dal Tar .
Alla camera di consiglio del 5 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
1. Stante la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti -rese edotte della possibilità di immediata definizione della causa- la controversia può essere decisa nel merito tenuto conto della infondatezza dell’appello con riferimento ad un profilo assorbente che sostanzia la gravata decisione e che assume rilievo pregiudiziale. Ciò consente altresì di prescindere dall’esame della problematica relativa alla modalità di riproposizione delle censure respinte in primo grado da parte della società appellata.
1.1. Rammenta in proposito il Collegio che per costante giurisprudenza amministrativa” ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza.”-
Consiglio Stato , sez. VI, 31 marzo 2011 , n. 1981-;
”laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento.”-Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897-.
Specularmente, allorchè per pervenire da una determinazione reiettiva sia necessario che l’Amministrazione vagli una pluralità di aspetti, allorchè venga riscontrata l’omissione anche di una sola porzione di tale compendio valutativo il provvedimento reiettivo eventualmente emesso risulta per ciò soltanto viziato, senza che debba procedersi a scandagliare gli ulteriori profili di illegittimità e/o le ulteriori carenze dello stesso.
Sotto altro profilo, si è detto in giurisprudenza che “laddove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.” (Cass. civ. Sez. VI – 5, 18-07-2012, n. 12440 ) : ne consegue che nel caso di sentenza demolitoria la immunità da censure di un capo della decisione gravata la rende meritevole di conferma senza che sia necessario scrutinare tutte le altre censure proposte avverso gli altri capi della medesima ovvero che, la eventuale fondatezza delle stesse, possa modificare il giudizio di conferma della medesima.
Alla stregua del principio in ultimo citato il Collegio evidenzierà immediatamente quale sia il capo della gravata decisione che certamente resiste alle censure contenute nell’appello e che, per tal ragione, rende la sentenza impugnata meritevole di conferma.
2. Ciò premesso, i fatti di causa sono chiari: il legale rappresentante della parte appellata (segnatamente della Controinteressata, facente parte del RTI con la società Controinteressata che, invece, rese la propria dichiarazione correttamente) errando sotto il profilo materiale rappresentò all’amministrazione una situazione coincidente con quella della avvenuta richiesta di rilascio della licenza ex art. 28 TULPS, piuttosto che quella di rinnovo della medesima (in quanto, quindi, posseduta al momento della presentazione della domanda).
Questo è il profilo nodale della causa, quello che ha indotto l’Amministrazione a rendere la statuizione espulsiva e sul quale conviene soffermarsi, pur dovendo precisare che analoga richiesta era stata rivolta alla Prefettura.
La erroneità ed imprecisione della dichiarazione resa dall’offerente è palese ed evidente, in quanto – come dimostrato dall’appellata successivamente in sede di interlocuzione con l’Amministrazione – la stessa risultava già in possesso della predetta licenza, sin dal 15 gennaio 2009 già più volte rinnovata con successo e, in data 2.12.2011 (prima dell’ultima scadenza in data 14.2.2012) ne era stato chiesto il rinnovo.
Essa pertanto avrebbe dovuto rappresentare all’Amministrazione non già di avere chiesto il rilascio della licenza ex art. 28 Tulps, ma di esserne in possesso e di averne chiesto il rinnovo.
2.1. Sulla sussistenza dell’errore non pare vi sia da controvertere.
Parimenti, però, deve essere evidenziato che appare di solare evidenza la buona fede (se non l’autolesionismo) allo stesso errore sotteso, posto che parte appellata non aveva né interesse di sorta né poteva ricavare alcune beneficio nel rappresentare all’Amministrazione la detta condizione “non veritiera” (e non favorevole) ma, anzi, rischiava di ricavarne un danno (il che è poi puntualmente avvenuto).
La Controinteressata Group, era infatti titolare di una licenza ex art. 28 TULPS in epoca antecedente rispetto alla data di scadenza del termine per presentare le offerte (fissato dal bando alle ore 12 dell’8 marzo 2012 e poi prorogato alle ore 12 del 23 marzo 2012); detta circostanza era documentalmente dimostrata in atti attraverso le certificazioni della Prefettura di Torino, che constano di due rilasci di licenza per il 2010 ed il 2011 con scadenza 15 gennaio 2012, alla data dell’8 marzo 2012 (prima data di scadenza del termine per la presentazione delle domande).
Ne consegue che risultava positivamente integrato il requisito previsto dal bando e che sarebbe stato sufficiente rappresentare correttamente le date circostanze all’Amministrazione, per impedire l’insorgere di fraintendimenti e controversie .
2.2. A questo punto, occorre rispondere ad un ulteriore quesito: alla stregua della prescrizione contenuta nell’art. 46 del d.Lgs. n. 163/2006, quale era il dovere giuridico incombente sull’amministrazione allorchè venne a conoscenza – seppur successivamente al provvedimento espulsivo- di detta emergenza documentale?
Avrebbe la stessa dovuto – o meno- tenere conto della realtà dei fatti (pur se nulla può alla amministrazione imputarsi allorchè prese atto del contenuto della dichiarazione errata resa da parte appellata ed adottando le statuizioni espulsive consequenziali), provvedendo a revocare l’esclusione della impresa dalla gara?
Avrebbe dovuto rilevare che l’appellata risultava in possesso del prescritto requisito sin dal momento della presentazione della domanda e che la dichiarazione conteneva un errore sfavorevole alla stessa (così facendo prevalere la situazione reale su quella “apparente”)?
Ovvero avrebbe dovuto insistere nella statuizione espulsiva e non revocare la medesima considerando preclusivo l’errore in cui era incappato il redattore della domanda partecipativa (e/o sostenere che la dichiarazione non era “veritiera”)?
2.3. Ritiene il Collegio – contrariamente alla tesi sostenuta dalla difesa erariale- che la risposta debba essere positiva, per ragioni assorbenti rispetto alla individuazione della data di scadenza del termine qual coincidente con la proroga disposta dall’Amministrazione.
2.4. Stabilisce l’art. 46 del d.Lgs n. 163/2006 che “ Nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati. La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle.”.
La costante giurisprudenza amministrativa di merito ha sempre affermato (seppur con decisioni non sempre attribuenti al principio la stessa valenza contenutistica) il principio della operatività del c.d. “dovere di soccorso” nella ipotesi di errore materiale.
Si è detto pertanto che “nelle gare pubbliche di appalto, ai sensi dell’art. 46 D.L.vo n. 163 del 2006 e a tutela della par condicio tra i concorrenti, il rimedio dell’integrazione documentale non può essere utilizzato per supplire all’inosservanza di adempimenti procedimentali o all’omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dalla gara. La regolarizzazione documentale può essere consentita solo quando i vizi siano puramente formali, o chiaramente imputabili ad errore solo materiale, e sempre che riguardino dichiarazioni o documenti non richiesti a pena di esclusione, non essendo, in quest’ultima ipotesi, consentita la sanatoria o l’integrazione postuma, che si tradurrebbe in una violazione dei termini massimi di presentazione dell’offerta e, in definitiva, in una violazione del principio di parità delle parti, che deve presiedere ogni procedura ad evidenza pubblica.”(T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 15-02-2011, n. 1399, ma si veda anche “e’ illegittima l’esclusione di una ditta da una gara d’appalto disposta in ragione della presentazione di una cauzione provvisoria che rechi l’indicazione di un importo garantito inferiore a quello dovuto in base al bando, peraltro esattamente indicato nel modulo utilizzato, nel caso in cui tale inesatta indicazione dell’importo sia espressione di un evidente errore materiale.”-T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, 08-11-2011, n. 1659-; “la regolarizzazione documentale può essere consentita solo quando i vizi siano puramente formali o chiaramente imputabili ad errore solo materiale, e sempre che riguardino dichiarazioni o documenti non richiesti a pena di esclusione, non essendo, in quest’ultima ipotesi, consentita la sanatoria o l’integrazione postuma, che si tradurrebbe in una violazione dei termini massimi di presentazione dell’offerta e, in definitiva, in una violazione della par condicio.”-T.A.R. Lazio Roma Sez. III, 09-12-2010, n. 35816-; “la regolarizzazione documentale è consentita nell’ipotesi di vizi puramente formali o imputabili a mero errore materiale, purchè inerenti a dichiarazioni o documenti non richiesti a pena di esclusione, non essendo, in tal caso, consentite la sanatoria o l’integrazione postuma, che verrebbero in tal modo a configurare una violazione dei termini ultimi di presentazione dell’offerta, nonchè della “par condicio” dei concorrenti. Inoltre, ai sensi dell’art. 46, D.Lgs. n. 163/2006 -Codice dei contratti-, i criteri disposti ai fini dell’integrazione documentale riguardano: il semplice chiarimento di un documento incompleto, ovvero un documento relativo a requisiti di partecipazione, e non all’offerta. Nella fattispecie la questione della integrazione è stata posta in relazione alla dichiarazione della quota di partecipazione, inerente l’offerta ed incidente sulle modalità di esecuzione della prestazione.-Cons. Stato Sez. V Sent., 22-02-2010, n. 1038-;).
2.5. Esclusa la plausibilità – anche logica- di qualsivoglia riferimento al concetto di “non veridicità” (ed alle sanzioni espulsive conseguenti alle attestazioni mendaci) quanto alla dichiarazione resa da parte appellata- in quanto l’aggettivo è utilizzato nel codice degli appalti per descrivere una situazione difforme (rectius, assolutamente speculare) a quella per cui è causa (id est: la fraudolenta e sleale condotta di chi, privo di un determinato requisito, ovvero attinto da una condizione ostativa afferma mendacemente il contrario)- la questione si risolve nella possibilità/necessità di considerare l’errore commesso dall’appellata dirimente alla successiva partecipazione della stessa alla gara.
2.6.Il Collegio esclude recisamente la praticabilità di una simile opzione ermeneutica.
Invero – tanto più in tema di partecipazione agli incanti pubblici, laddove i principi di trasparenza, concorrenza, e massima partecipazione costituiscono la ragione fondante della legislazione attuativa – un simile approdo risentirebbe di una visione “antagonista” del rapporto tra privato ed Amministrazione che non ha ragione d’essere.
Se – entro ristretti limiti, per il vero- si consente la etero integrabilità financo della documentazione di gara, apparrebbe illogico non consentire la “rettifica” di una dichiarazione sostanzialmente sfavorevole alla posizione del partecipante,e da questi per mero errore resa, che ne abbia comportato la espulsione dalla gara laddove (come nel caso di specie) la sottostante situazione “reale” renda evidente che la statuizione espulsiva era del tutto non dovuta ove rapportata alla situazione esistente.
Nel caso di specie nessuna esigenza sostanziale, e men che meno di rispetto della par condicio dei concorrenti (posto che l’appellata aveva compiutamente dimostrato la positiva ricorrenza delle condizioni partecipative) poteva ostare alla rivisitazione delle precedenti determinazioni: né dicasi che non sussistevano i presupposti per l’autotutela decisoria, stante la circostanza che in un lasso di tempo brevissimo era stato disvelato l’equivoco in cui era stato parte attiva l’offerente, e si era accertato che la ditta versava in una condizione di regolarità.
Ritiene di dovere aggiungere il Collegio che quanto sinora detto non significa “imporre” all’Amministrazione l’adozione di “controprovvedimenti” discrezionali: l’affermazione contenuta nella sentenza del Tar, che il Collegio condivide pienamente, implica unicamente l’esigenza che l’Amministrazione, allorchè non si ravvisino lesioni alla par condicio, né indebite “sanatorie” di preesistenti condizioni di irregolarità, faccia prevalere la positiva situazione reale rispetto a quella (pur legittimamente) “desunta”, laddove ciò non crei, ovviamente, insopportabili intralci o ritardi alla speditezza dell’azione amministrativa (circostanza certamente da escludere nel caso di specie).
3. In relazione alle superiori, assorbenti, considerazioni, l’appello va disatteso e la sentenza di primo grado va integralmente confermata.
4.Le spese del presente grado di giudizio vanno integralmente compensate tra le parti a cagione della particolarità e novità della controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,lo respinge.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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