lunedì , 2 Ottobre 2023

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Responsabilità evidente manifesta illegittimità per confusa fase innestata in coda individuazione offerta

Osserva la Sezione che oggetto del giudizio di primo grado è stato il mancato rispetto delle regole del procedimento, consentendo dapprima la partecipazione tardiva della controinteressata ed in seguito affidandole il servizio all’esito di trattative informali svoltesi dopo l’apertura dei plichi contenenti le offerte; 

la domanda risarcitoria era basata sulla violazione da parte del Comune dei principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 1337 del c.c., relativo alle trattative e alla responsabilità precontrattuale, in violazione del divieto di ingenerare nella controparte affidamenti ingiustificati o tradire quelli legittimamente ingenerati. 

E’ quindi irrilevante, come già in precedenza osservato, la circostanza che, dopo la emanazione della sentenza, l’Amministrazione ha accertato che l’ATI Controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura. 

Correttamente poi il Giudice di primo grado ha affermato che comunque la responsabilità del Comune era evidente e discendeva dalla manifesta illegittimità della confusa fase innestata in coda all’individuazione dell’offerta più conveniente, in assenza di chiarimenti in ordine alle finalità e senza comunque garantire un equo confronto concorrenziale attraverso il confronto di proposte segrete. 

Quanto alla quantificazione del danno il T.A.R. ha asserito che il danno lamentato deve peraltro essere “subito e provato”, con impossibilità di applicazione dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il pregiudizio economico può essere liquidato in via equitativa secondo il cd. utile di impresa previsto dall’art. 134 comma 2, d.lgs. n. 163/2006 e quantificato dal legislatore nel 10% del prezzo a base d’asta depurato del ribasso offerto dal ricorrente. 

Tenuto conto che il fatto lesivo è in grado di produrre il pregiudizio lamentato e che ex art 2056, comma 2, del c.c. “il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso”, il T.A.R., considerata anche la possibilità, di cui la ricorrente non ha fornito prova negativa, di conseguire (sia pure in parte) un utile alternativo dirigendo altrove le risorse aziendali, ha quantificato tale danno nella misura del 5% sul corrispettivo offerto dalla ricorrente. 

Non ha quindi il T.A.R. fatto ricorso per l’accertamento e la determinazione del quantum a criteri presuntivi agganciati ad una percentuale dell’importo dell’appalto disponendo il risarcimento del mancato utile di impresa, ma ha effettuato una quantificazione equitativa del lucro cessante, rapportata al corrispettivo offerto dal ricorrente, senza alcun raffronto tra la percentuale di danno riconosciuta e la durata dell’affidamento del servizio. 

Anche l’interesse legittimo al corretto e regolare svolgimento del procedimento di aggiudicazione, seppur non scaturente nell’aggiudicazione della gara, va risarcito in caso di danno ingiusto, nel quale vanno computati, secondo la regola generale dell’articolo 1223 del c.c., non solo le perdite subite ma anche il mancato guadagno. 

Il lucro cessante può, quindi, essere risarcito anche in favore del partecipante che, per effetto della sentenza di accoglimento, non abbia avuto riconosciuto un diritto all’aggiudicazione (Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2010, n. 6485). 

Esso è anche correttamente quantificabile secondo un criterio di riduzione in via equitativa sovente applicato nella giurisprudenza (Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2010, n. 6485; sez. VI, 9 marzo 2007 , n. 1114). 

L’ammontare del risarcimento nella componente del lucro cessante può essere determinato in via equitativa nella misura del 10% dell’importo dell’offerta, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare in quanto apprestati ed approntati in previsione dell’appalto da aggiudicare mezzi e maestranze per l’esecuzione di altri contratti; al contrario, quando tale dimostrazione non sia stata offerta, dovendosi peraltro ragionevolmente ritenere che l’impresa possa avere riutilizzato, come detto sopra, mezzi e manodopera per lo svolgimento di altre attività imprenditoriali, così limitando la perdita di utilità, il danno va liquidato riducendo detta percentuale in via equitativa (Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2010, n. 6485). 

Non sono quindi condivisibili le censure formulate dall’appellante circa la quantificazione del lucro cessante effettuata dal Giudice di primo grado. 

Quanto al danno curriculare, di per sé di non esatta quantificazione, esso è stato equitativamente liquidato dal T.A.R. nella misura dell’1% del predetto corrispettivo. 

Va al riguardo osservato che la società originariamente ricorrente non ha fornito la prova di specifici danni di tale natura conseguenti alla mancata aggiudicazione dell’appalto in questione, derivanti, ad esempio, dal mancato conseguimento di una categoria superiore a causa della mancata esecuzione dei lavori in questione ed alla conseguente impossibilità della partecipazione ad ulteriori gare d’appalto, cui invece avrebbe potuto partecipare qualora avesse conseguito la categoria superiore grazie all’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto illegittimamente non aggiudicato alla ricorrente medesima (Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2010 n. 7004). 

Il risarcimento del danno curricolare era quindi riconoscibile esclusivamente avuto riguardo alla generica “deminutio” di peso imprenditoriale della società per omessa acquisizione dell’appalto in questione, come ristoro del danno conseguente alla perdita della possibilità di arricchire il proprio “curriculum” e al mancato incremento dell’esperienza ed immagine professionale dell’impresa. 

Il pregiudizio in questione, che può essere quantificato esclusivamente in via equitativa, non potendo esso essere determinato in un ammontare preciso (art. 1226 c.c.), è stato quindi per i limitati aspetti e profili di lesione dell’esperienza ed immagine professionale dell’impresa, correttamente non quantificato in una percentuale ragguagliata all’importo complessivo dell’appalto, ma in una percentuale dell’importo indicato come corrispettivo (Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144) ed in misura che, nel caso di specie, appare equa e ragionevole come fissata dal primo Giudice. 

a cura di Sonia Lazzini 

passaggio tratto dalla  decisione numero 3035 del 3 giugno 2013  pronunciata dal Consiglio di Stato

 

Sentenza integrale

N. 03035/2013REG.PROV.COLL.

N. 02576/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2576 del 2012, proposto da:
Comune di Roseto degli Abruzzi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Russo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco Croce in Roma, via Nizza, n. 63;

contro

Controinteressata s.r.l., che agisce in proprio e quale mandataria della costituenda ATI con Controinteressata 2 s.r.l. e Consorzio Controinteressata 3 Ambiente Società Cooperativa Sociale, che agiscono anche in proprio e quali mandanti di detta ATI, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Sergio Della Rocca e Costanzo D’Amelio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Daniele Vagnozzi in Roma, viale Angelico, n. 103;

nei confronti di

ALFA Ecologia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Abruzzo – L’aquila, Sezione I, n. 00028/2012, resa tra le parti, concernente affidamento del servizio di raccolta trasporto trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi urbani;

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Controinteressata s.r.l., della Controinteressata 2 s.r.l. e del Consorzio Controinteressata 3 Ambiente Società Cooperativa Sociale;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2012 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Bucellato, per delega dell’Avv. Russo, e Vagnozzi, per delega dell’Avv. Della Rocca;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Il Comune di Roseto degli Abruzzi, con nota dirigenziale del 6 maggio 2011, invitava un ristretto numero di ditte del settore a far pervenire un’offerta in via d’urgenza in cui fossero fissate le condizioni per lo svolgimento del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la cui durata era fissata in sei mesi “prorogabile fino all’individuazione da parte dell’AdA dell’ATO n.1 di Teramo, o suo delegato, del gestore unico del ciclo integrato dei rifiuti”.

Dall’apertura in seduta pubblica dei plichi emergeva (come da verbale del 20 maggio ed integrazione del 7 giugno 2011) che la offerta più conveniente era quella presentata dall’ATI Controinteressata , notevolmente inferiore rispetto a quelle della ALFA Ecologia s.r.l. e di altre due aspiranti.

Con il secondo verbale veniva stabilito “di dover richiedere alle ditte interpellate la specificazione del dimensionamento del servizio da effettuare mediante il modello allegato … Pertanto al Sindaco verrà sottoposta la graduatoria così come sopra aggiornata, da aggiornarsi ulteriormente a seguito delle integrazioni richieste alle ditte partecipanti”.

La Controinteressata , pur contestando la richiesta, e le altre offerenti producevano il modello con le proprie integrazioni.

Si apriva a questo punto una serie di trattative informali all’esito delle quali il servizio veniva affidato con ordinanza del Sindaco n. 104 del 19.7.2011 alla ALFA Ecologia s.r.l..

La Controinteressata s.r.l., in proprio e quale mandataria della costituenda ATI con Controinteressata 2 s.r.l. e Consorzio Controinteressata 3 Ambiente s.c.s., nonché queste ultime, impugnavano l’ordinanza del Sindaco del Comune suddetto n. 104 del 19.7.2011 di affidamento di detto servizio presso il T.A.R. de L’Aquila, che, con sentenza n. 28/2012, ha accolto il ricorso e per l’effetto ha annullato gli atti impugnati, condannando l’amministrazione resistente al risarcimento dei danni conseguenti.

Con il ricorso in appello in esame il Comune di Roseto degli Abruzzi ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti motivi:

1.- Carenza di interesse dell’ATI Controinteressata . Difetto assoluto dei requisiti per essere aggiudicataria. Mancata indicazione delle quote di partecipazione all’ATI Controinteressata . Erronea liquidazione del danno.

Il Comune, dopo l’emanazione della sentenza de qua, ha proceduto alla verifica della sussistenza dei requisiti dell’ATI Controinteressata , accertando che avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura, con conseguente venir meno dell’ interesse al ricorso.

1.1.- Anche se l’art. “10 del N.C.P.A.” stabilisce la preclusione della proposizione di nuove eccezioni in appello per questioni non rilevabili d’ufficio, essa sarebbe nel caso di specie superabile perché l’ATI Controinteressata avrebbe dovuto provare la propria legittimazione all’atto delle proposizione del ricorso di primo grado e della richiesta di risarcimento danni.

Comunque l’eccezione sarebbe rilevabile d’ufficio.

2.- Erroneamente il T.A.R. ha ritenuto alterate le regole di segretezza delle offerte ed ha ricostruito la vicenda in difetto di rilevanti presupposti di fatto.

Il Giudice di prime cure ha impropriamente applicato ad un procedimento extra ordinem le regole del procedimento ordinario attinente al formalismo dei contratti ed il principio che il procedimento delineato dall’invito del 6.5.2011 presentava un nucleo di regole insuscettibili di essere eluse.

3.- Il T.A.R. non ha valutato né considerato, come invece dovuto, le ragioni che avevano necessitato una rivisitazione dell’offerta.

E’ incondivisibile la tesi del T.A.R. che la modifica del procedimento, con l’individuazione di un canone omnicomprensivo in luogo dell’indicazione dei prezzi unitari delle prestazioni, non richiedesse l’azzeramento delle offerte.

4.- Il giudice di primo grado ha ritenuto non sostenibile la tesi dell’acquiescenza della ricorrente ai nuovi sviluppi procedurali nell’incondivisibile assunto che non sarebbe dimostrabile che le offerte già presentate erano irrilevanti e che sarebbero state considerate solo quelle rimodulate.

5.- Erroneamente il T.A.R. ha ritenuto fondata la richiesta di risarcimento danni.

6.- In via subordinata è stata dedotta la erroneità della sentenza per aver posto il danno lamentato interamente a carico del Comune e non anche della ditta aggiudicataria, stante la circostanza che gli artt. 30 e 124 del c.p.a. non stabiliscono il destinatario della condanna.

Con atto depositato il 28.4.2012 si sono costituite in giudizio la Controinteressata s.r.l., la Controinteressata 2 s.r.l. e il Consorzio Controinteressata 3 Ambiente Società Cooperativa Sociale, che hanno eccepito la irricevibilità, la inammissibilità e la improcedibilità dell’appello, nonché ne ha dedotto la infondatezza.

Con memoria depositata il 2.5.2012 le costituite società hanno eccepito la inammissibilità del primo motivo di gravame per violazione dell’art. 104 del c.p.a. ed hanno dedotto la infondatezza di tutte le proposte censure; inoltre hanno riproposto tutti i motivi di ricorso di primo grado, inclusi quelli assorbiti e la domanda risarcitoria, perché siano valutati e considerati nella ipotesi di riforma totale o parziale della sentenza impugnata.

Con memoria depositata l’11.10.2012 la parte appellante, contestata la fondatezza della eccezione di inammissibilità del primo motivo di appello controinteressata 3ta dalle controparti e dedotta la infondatezza dei motivi di primo grado da esse riproposti, ha sostanzialmente ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 25.10.2012 le parti resistenti hanno ribadito le già controinteressata 3te deduzioni e domande.

Con memoria depositata il 2.11.2012 l’Amministrazione appellante ha replicato alle avverse argomentazioni.

Alla pubblica udienza del 13.11.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, controinteressata 3ta dal Comune di Roseto degli Abruzzi, di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato accolto il ricorso proposto dalla Controinteressata s.r.l., in proprio e quale mandataria della costituenda ATI con Controinteressata 2 s.r.l. e Consorzio Controinteressata 3 Ambiente, nonché da queste ultime, contro l’ordinanza del Sindaco del Comune suddetto n. 104 del 19.7.2011, di affidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani alla ALFA Ecologia s.r.l..

2.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che il Comune, dopo l’emanazione della sentenza de qua, ha proceduto alla verifica della sussistenza dei requisiti dell’ATI Controinteressata , accertando che avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura, con conseguente carenza di interesse al ricorso, non potendo ad essa derivare alcuna utilità dall’eventuale annullamento del provvedimento impugnato in quanto comunque non avrebbe potuto ottenere l’aggiudicazione della gara.

Invero nella offerta dell’ATI composta dalla mandataria Controinteressata e dalle mandanti non vi era specificazione circa la tipologia di raggruppamento, se verticale o orizzontale, né sulle quote di partecipazione ad esso, come invece prescritto dall’art. 37, comma 13 e comma 4, del d. lgs. n. 163/2006, applicabile anche agli appalti di servizi e forniture; pertanto l’offerta era inammissibile.

Non conoscendo le quote di divisione dell’ATI Controinteressata il Comune non avrebbe infatti potuto verificare quale parte del servizio sarebbe stato svolto dai partecipanti all’ATI e in che misura.

Aggiunge il motivo di gravame in esame che anche se l’art. “10 del N.C.P.A.” stabilisce la preclusione della proposizione di nuove eccezioni in appello per questioni non rilevabili d’ufficio, essa sarebbe nel caso di specie superabile perché l’ATI Controinteressata avrebbe dovuto provare la propria legittimazione all’atto delle proposizione del ricorso di primo grado e della richiesta di risarcimento danni.

Comunque l’eccezione sarebbe rilevabile d’ufficio.

Inoltre è la parte ricorrente che avrebbe dovuto fornire la prova del danno sia per equivalente che curriculare perché, mentre in caso di ammissione ad una gara, previa valutazione dei titoli, il Giudice può presupporne il possesso, in un procedimento come quello di specie, extra ordine e non preceduto da previa valutazione dei titoli, senza prova del possesso dei titoli di partecipazione non poteva essere emanata condanna al risarcimento dei danni.

2.1.- Osserva la Sezione che, ai sensi dell’art. 104, commi 1 e 2, del c.p.a. nel processo amministrativo di appello non possono essere dedotte nuove domande o eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio.

Tuttavia l’eventuale inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse può formare oggetto di motivo d’appello anche qualora la relativa eccezione non sia stata sollevata in primo grado, trattandosi di questione rilevabile anche d’ ufficio dal giudice in quanto attinente alla sussistenza di una condizione dell’azione (Consiglio di Stato, sez. III, 30 gennaio 2012, n. 445).

Quindi nel processo amministrativo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto nuova, che comunque muta radicalmente la situazione esistente al momento della proposizione del ricorso; tuttavia tale sopravvenienza deve essere tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno per il ricorrente o per l’appellante qualsiasi residua utilità della pronuncia del giudice, anche soltanto strumentale o morale; inoltre la relativa indagine deve essere condotta dal giudice con il massimo rigore, per evitare che la declaratoria d’improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell’obbligo di pronunciare sulla domanda.

Pertanto, in base a detti principi, nel caso di specie la eccezione di sopravvenienza di carenza di interesse al ricorso, anche se controinteressata 3ta solo con l’atto di appello, è comunque astrattamente ammissibile e valutabile perché rilevabile d’ufficio.

Deve tuttavia in concreto verificarsi se la domanda controinteressata 3ta dalla difesa del Comune appellante sia ammissibile e fondata, stabilendo se l’accertamento della insussistenza dei requisiti di partecipazione alla gara della ATI Controinteressata s.r.l., effettuato dalla stazione appaltante dopo la emanazione della impugnata sentenza, sia concretamente idoneo a determinare il venir meno di utilità di detta ATI ad ottenere la conferma in appello dell’accoglimento del ricorso di primo grado.

Tanto premesso va rilevato nel caso che occupa oggetto del primo giudizio è stata la domanda dell’ATI Controinteressata s.r.l. di annullamento, con connessa richiesta risarcitoria, degli atti della procedura con cui il Comune resistente, dopo lo svolgimento di una gara informale diretta ad acquisire offerte da parte di imprese del settore, ha affidato con ordinanza ex art. 191 del d.lgs. 152/2006 alla ALFA Ecologia s.r.l. il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. In particolare la ricorrente aveva dedotto che il Comune non aveva rispettato le regole del procedimento, consentendo dapprima la partecipazione tardiva della controinteressata ed in seguito affidandole il servizio all’esito di trattative informali svoltesi dopo l’apertura dei plichi contenenti le offerte. Il ricorso di primo grado conteneva anche la domanda risarcitoria, basata sulla violazione da parte del Comune dei principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 1337 del c.c., relativo alle trattative e alla responsabilità precontrattuale, in violazione del divieto di ingenerare nella controparte affidamenti ingiustificati o tradire quelli legittimamente ingenerati.

Il T.A.R. ha accolto il ricorso, ritenendo che l’informalità della procedura non giustificasse un esito extraprocedimentale in cui siano risultate alterate le esigenze sottese alla regola della segretezza delle offerte e del confronto concorrenziale. Ha anche accolto la domanda risarcitoria ritenendo che la responsabilità del Comune discendesse dalla manifesta illegittimità della confusa fase innestata in coda all’individuazione dell’offerta più conveniente, in assenza di chiarimenti in ordine alle finalità e senza comunque garantire un equo confronto concorrenziale attraverso il confronto di proposte segrete. Ha quindi (tenuto conto che il fatto lesivo è evidentemente in grado di produrre il pregiudizio lamentato e che ex art 2056, 2° comma, c.c. “il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso”) di quantificare tale danno nella misura del 5% del corrispettivo offerto dalla ricorrente e di risarcire anche il danno curriculare equitativamente liquidato nella misura dell’1% del predetto corrispettivo.

In conclusione, stante l’oggetto del ricorso di primo grado, può affermarsi che l’interesse dell’ATI Controinteressata al ricorso sussisteva sicuramente fino all’epoca di conclusione del relativo giudizio e che non è venuto meno neppure successivamente, a seguito della negativa verifica da parte del Comune della sussistenza dei requisiti dell’ATI Controinteressata (per mancata specificazione circa la tipologia di raggruppamento e delle quote di partecipazione al raggruppamento), effettuata dal Comune “Ad esito della sentenza” e conclusasi con la decisione che detta ATI avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura.

Ciò in quanto tale circostanza non è di per sé idonea a determinare il venir meno dell’interesse della originaria ricorrente alla conferma della sentenza emanata in primo grado, se non altro perché con essa, a seguito dell’accoglimento del ricorso, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni per equivalente (e non in forma specifica), che non può essere disconosciuto in sede di appello in assenza di ricorso incidentale o di difese dell’Amministrazione che abbiano dedotto la insussistenza di detti requisiti nel corso del giudizio di primo grado, stante il divieto di nuove domande di cui all’art. 104 del c.p.a. e la impossibilità che statuizioni giurisdizionali possano essere viziate da fatti ad esse sopravvenuti.

La censura in esame non è quindi condivisibile.

3.- Con il secondo motivo di appello è stato asserito che erroneamente il T.A.R. ha ritenuto alterate le regole di segretezza delle offerte, ricostruendo la vicenda in difetto di rilevanti presupposti di fatto.

Il Giudice di prime cure avrebbe applicato ad un procedimento extra ordinem le regole del procedimento ordinario attinente al formalismo dei contratti ed il principio che il procedimento delineato dall’invito del 6.5.2011 presentava un nucleo di regole ineludibili mediante la mera l’invocazione del suo carattere informale, ritenendo irrilevante la finalità di ottenere condizioni ulteriormente migliorative (perseguibili con la negoziazione con la ditta che aveva controinteressata 3to l’offerta più conveniente) che corrisponde a quanto prescritto per la vecchia trattativa privata.

Ma nel caso di specie non si sarebbe svolta una ordinaria gara per l’affidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ma un procedimento teso ad emanare una ordinanza contingibile ed urgente per provvedere a fronteggiare una emergenza sanitaria per un periodo limitato finché l’autorità d’ambito non avesse provveduto con una gara formale.

Tanto avrebbe comportato maggiore discrezionalità del Comune.

Non sarebbe stata violata la segretezza delle offerte perché esse erano state aperte in seduta pubblica e la necessità di rimodularle è stata sempre espressa durante sedute pubbliche.

La giurisprudenza in base alla quale è vietata la rinegoziazione delle offerte nelle gare pubbliche, si riferirebbe alla fase successiva a quella della aggiudicazione definitiva.

Non avrebbe potuto essere effettuata la rinegoziazione con la impresa che aveva presentato l’offerta più conveniente, come sostenuto dal T.A.R. (al fine di non porre nel nulla la procedura sin lì seguita), perché, ex art. 54 del d. lgs. n. 163/2006, per le procedure negoziate, cui quella di specie è assimilabile, la negoziazione deve avvenire con i vari concorrenti.

Neppure sarebbe stata violata la lettera di invito, perché essa nulla disponeva al riguardo se non che si trattava di una procedura in deroga al codice dei contratti.

3.1.- Osserva la Sezione che il T.A.R. ha tenuto conto ed espressamente valutato il carattere informale del procedimento delineato nell’invito, che comunque presentava un nucleo di regole insuscettibili di essere eluse a causa di detta informalità, dal momento che la procedura era diretta ad acquisire l’offerta più conveniente ed era caratterizzata da garanzie idonee assicurare una effettiva competizione, come tali del tutto incompatibili con il prosieguo procedimentale svoltosi successivamente all’acquisita conoscenza delle offerte delle partecipanti; ha quindi concluso asserendo che l’informalità della procedura non giustificava un esito extraprocedimentale comportante alterazione delle esigenze sottese alla regola della segretezza delle offerte e del confronto concorrenziale.

La Sezione condivide l’orientamento del Giudice di prime cure, atteso che la particolarità e l’urgenza di far fronte alla intervenuta revoca dell’affidamento alla precedente affidataria non giustificavano la deroga ai principi inderogabili cui comunque deve soggiacere lo svolgimento di una gara, sia pure prevista con procedura atipica.

Con la nota dirigenziale del 6 maggio 2011, avente ad oggetto “Emergenza rifiuti solidi urbani – art. 191 D.Lgs. 152/06 e s.m.i. – Gara informale per affidamento servizio mediante Ordinanza Sindacale”, il Comune aveva infatti invitato un ristretto numero di ditte del settore a far pervenire un’offerta in via d’urgenza, stabilendo le condizioni di servizio, il termine e la forma di presentazione nonché le modalità di redazione dell’offerta.

Non si vede come la esigenza di assicurare con sollecitudine la continuità di gestione del servizio di igiene urbana potesse essere idonea a giustificare la deroga ai fondamentali principi della segretezza delle offerte (che è presidio dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, sub specie della trasparenza e della par condicio dei concorrenti, intendendosi così garantire il corretto, libero ed indipendente svolgimento del processo intellettivo-volitivo che si conclude con il giudizio sull’ offerta) da rispettare in ogni tipo di gara pubblica, a nulla valendo che non fosse stato ad esso fatto cenno nella lettera di invito proprio perché trattasi di principio generale, volto ad evitare di falsare la competizione e quindi la violazione della par condicio tra le imprese partecipanti alla gara.

Tali conseguenze ha comportato la decisione, dopo l’apertura in seduta pubblica dei plichi (da cui emergeva che la più conveniente era quella presentata dall’ATI Controinteressata , notevolmente inferiore rispetto a quella della controinteressata e delle altre due aspiranti), di “ richiedere alle ditte interpellate la specificazione del dimensionamento del servizio da effettuare mediante il modello allegato …”, e di invitare poi le partecipanti ad integrare l’offerta non basandosi su singoli parametri ma su un canone onnicomprensivo.

Né è dato comprendere come non sarebbe stata violata la segretezza delle offerte solo perché, come dedotto con il motivo in esame, esse erano state aperte in seduta pubblica e la necessità di rimodularle è stata sempre espressa durante sedute pubbliche.

L’avvenuta apertura ha infatti comportato la conoscenza da parte del Comune del contenuto delle offerte, viziando l’imparziale svolgimento del processo che si conclude con il giudizio sulle stesse e (poiché quello della segretezza delle offerte è un principio cardine delle pubbliche gare la cui osservanza non può essere verificata su un piano materiale e deve anzi essere garantita anche da menomazioni soltanto potenziali) determinando comunque violazione della par condicio.

Quanto alla censura che la giurisprudenza in base alla quale non è consentita la rinegoziazione delle offerte nelle gare pubbliche si riferirebbe alla fase successiva a quella della aggiudicazione definitiva e non a quella disposta nel corso della procedura, la Sezione osserva che il T.A.R. non ha censurato il ricorso alla rinegoziazione in assoluto o sostenuto che essa non potesse essere comunque effettuata prima della conclusione del procedimento, ma la circostanza che, dopo la apertura delle offerte, l’obiettivo comunale di ottenere condizioni ulteriormente migliorative poteva essere unicamente perseguita attraverso la negoziazione con la ditta che aveva presentato l’offerta risultata più conveniente e non con le altre partecipanti che avevano già offerto condizioni meno convenienti..

Incondivisibile è poi la tesi dell’appellante che non potesse essere effettuata la rinegoziazione esclusivamente con la impresa che aveva presentato l’offerta più conveniente perché, per le procedure negoziate di cui all’art. 54 del d. lgs. n. 163/2006, cui quella di specie è assimilabile, la negoziazione deve necessariamente avvenire con i vari concorrenti.

Nel caso di specie, considerato che la normativa relativa alla specifica procedura negoziata non espressamente vieta le singole rinegoziazioni, il T.A.R. ha condivisibilmente stabilito che la riapertura di una trattativa generalizzata, svoltasi in assenza di un qualsiasi provvedimento con cui l’amministrazione si facesse carico di esplicitarne la portata e di fissare i nuovi punti di riferimento a cui informare le offerte, è stato fonte di evidente confusione in ordine alla sorte delle operazioni fin lì svoltesi ed in aperta contraddizione con l’avvenuto svolgimento di una gara, per quanto di carattere informale, nonché in palese violazione delle regole dettate nella lettera di invito.

Aggiungasi che l’esigenza di negoziazione con più concorrenti è finalizzata ad ottenere da parte dell’Amministrazione il prezzo più conveniente per la fornitura del servizio, che nel caso di specie era già stato offerto proprio dall’ATI Controinteressata , con la quale il T.A.R. ha stabilito, proprio a detto scopo, che dovesse essere effettuata la negoziazione.

La censura in esame non può quindi essere favorevolmente valutata.

4.- Con il terzo motivo di gravame è stato dedotto che erroneamente il T.A.R. non ha valutato né considerato le ragioni che hanno necessitato una rivisitazione dell’offerta.

Sarebbe incondivisibile la tesi del primo Giudice che la modifica del procedimento, con l’individuazione di un canone omnicomprensivo invece dell’indicazione dei prezzi unitari delle prestazioni, non richiedesse l’azzeramento delle offerte, potendo essere contattata solo la migliore offerente, oppure porre nel nulla l’intera gara.

Ma nel caso di specie non è stata posta in essere una vera e propria gara pubblica, ma una procedura avviata ex art. 191 del codice dell’Ambiente di natura “extra ordinem”, adottata d’urgenza, sicché non sarebbe stato possibile, stante la scadenza imminente della convenzione con la precedente affidataria, esercitare un procedimento di autotutela per revocare la precedente offerta e far presentare alle ditte invitate nuove offerte.

La precedente offerta è stata implicitamente annullata e le ditte invitate hanno pure specificato che si trattava di una nuova offerta.

Il T.A.R., che ha rilevato che la offerta economica della aggiudicataria era di poco inferiore rispetto a quella originaria, non ha, secondo l’appellante, percepito che costituiva un notevole risparmio affidare un servizio ad un canone fisso invece che parametrato al quantitativo di rifiuti raccolti, stante la possibilità di eventi inattesi che avrebbero potuto comportare incrementi di spese seguendo l’originario criterio.

4.1.- La Sezione ritiene la censura incondivisibile, atteso che una volta che il provvedimento che ha indetto la procedura de qua ne ha fissato le regole, non è possibile che vengano modificati le condizioni ed i parametri previsti per la comparazione delle varie offerte implicitamente e senza la adozione quanto meno di un “contrarius actus”.

La necessità di sopperire con urgenza alle esigenze connesse allo svolgimento del servizio de quo non consentivano comunque di mutare in corso di gara dette clausole, peraltro in assenza di idonea motivazione, con violazione dei principi di segretezza delle offerte e consequenzialmente della “par condicio” dei partecipanti alla procedura.

5.- Con il quarto motivo di appello è stato dedotto che erroneamente il T.A.R. ha ritenuto non sostenibile la tesi dell’acquiescenza della ricorrente ai nuovi sviluppi procedurali.

La tesi che l’ATI Controinteressata avesse fatto acquiescenza ai nuovi sviluppi procedurali non è stata condivisa dal primo Giudice nell’ assunto, che sarebbe errato, che non sarebbe dimostrabile che le offerte già presentate erano irrilevanti e che sarebbero state considerate solo quelle rimodulate, anche perché detta società aveva lasciato inalterata la sua offerta economica e aveva espresso riserve sulla nuova procedura.

Non è stato tuttavia considerato che l’ATI Controinteressata con la nota n. 4750 del 23.6.2011 aveva espressamente proposto un canone fisso forfetario annuale, come richiesto dall’Amministrazione. Le controinteressata 3te obiezioni dimostrerebbero che, pur sollevando critiche, detta ATI aveva fatto acquiescenza alle richieste del Comune.

5.1.- Osserva la Sezione che l’acquiescenza presuppone un comportamento di parte ricorrente che dimostri, in modo chiaro e univoco, la sua volontà di accettare spontaneamente ed incondizionatamente le determinazioni ad essa sfavorevoli e non può certo desumersi dal compimento di atti che, come nel caso di specie, erano invero interpretabili come inidonei ad accettare gli sviluppi procedurali intervenuti nel corso della procedura.

Di certo a dimostrare l’intervenuta acquiescenza è inidonea la sola circostanza che l’ATI appellante aveva proposto un canone forfetario secondo la richiesta effettuata dal Comune, in assenza, come condivisibilmente evidenziato nella impugnata sentenza, di provvedimenti diretti ad aprire una nuova fase procedimentale idonei a rendere chiaramente edotte le imprese che le offerte già presentate erano ormai irrilevanti e che sarebbero state invece considerate solo quelle “rimodulate”, ed alla luce della circostanza che la ricorrente aveva mantenuto ferma la sua originaria offerta economica, dichiarandosi in seguito unicamente disponibile ad assumersi a costi invariati le ulteriori prestazioni che il Comune sollecitava, nonché aveva espresso riserve e ribadito la palese ed economicità della propria proposta.

6.- Con il quinto motivo di gravame è stato asserito che erroneamente il primo Giudice ha ritenuto fondata la richiesta di risarcimento danni.

Il risarcimento era stato chiesto nel presupposto che l’ATI Controinteressata avrebbe avuto senz’altro diritto a conseguire l’affidamento del servizio, ma essa avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara e il danno non si sarebbe quindi verificato.

Il risarcimento è pur sempre vincolato all’accertamento in concreto della colpa.

Non può farsi ricorso per l’accertamento e la determinazione del quantum a criteri presuntivi agganciati ad una percentuale dell’importo dell’appalto.

Non solo non è stata fornita la prova rigorosa della percentuale di utile effettivo, ma mancava anche la prova del danno curriculare.

Erroneamente è stato condannato il Comune al risarcimento del danno nella misura del 5% della offerta presentata, senza considerare che il calcolo andava effettuato sull’offerta calcolata su base semestrale e non annuale; solo per comodità essa era stata presentata su base annuale.

6.1.- Osserva la Sezione che oggetto del giudizio di primo grado è stato il mancato rispetto delle regole del procedimento, consentendo dapprima la partecipazione tardiva della controinteressata ed in seguito affidandole il servizio all’esito di trattative informali svoltesi dopo l’apertura dei plichi contenenti le offerte; la domanda risarcitoria era basata sulla violazione da parte del Comune dei principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 1337 del c.c., relativo alle trattative e alla responsabilità precontrattuale, in violazione del divieto di ingenerare nella controparte affidamenti ingiustificati o tradire quelli legittimamente ingenerati.

E’ quindi irrilevante, come già in precedenza osservato, la circostanza che, dopo la emanazione della sentenza, l’Amministrazione ha accertato che l’ATI Controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura.

Correttamente poi il Giudice di primo grado ha affermato che comunque la responsabilità del Comune era evidente e discendeva dalla manifesta illegittimità della confusa fase innestata in coda all’individuazione dell’offerta più conveniente, in assenza di chiarimenti in ordine alle finalità e senza comunque garantire un equo confronto concorrenziale attraverso il confronto di proposte segrete.

6.2.- Quanto alla quantificazione del danno il T.A.R. ha asserito che il danno lamentato deve peraltro essere “subito e provato”, con impossibilità di applicazione dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il pregiudizio economico può essere liquidato in via equitativa secondo il cd. utile di impresa previsto dall’art. 134 comma 2, d.lgs. n. 163/2006 e quantificato dal legislatore nel 10% del prezzo a base d’asta depurato del ribasso offerto dal ricorrente.

Tenuto conto che il fatto lesivo è in grado di produrre il pregiudizio lamentato e che ex art 2056, comma 2, del c.c. “il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso”, il T.A.R., considerata anche la possibilità, di cui la ricorrente non ha fornito prova negativa, di conseguire (sia pure in parte) un utile alternativo dirigendo altrove le risorse aziendali, ha quantificato tale danno nella misura del 5% sul corrispettivo offerto dalla ricorrente.

Non ha quindi il T.A.R. fatto ricorso per l’accertamento e la determinazione del quantum a criteri presuntivi agganciati ad una percentuale dell’importo dell’appalto disponendo il risarcimento del mancato utile di impresa, ma ha effettuato una quantificazione equitativa del lucro cessante, rapportata al corrispettivo offerto dal ricorrente, senza alcun raffronto tra la percentuale di danno riconosciuta e la durata dell’affidamento del servizio.

Anche l’interesse legittimo al corretto e regolare svolgimento del procedimento di aggiudicazione, seppur non scaturente nell’aggiudicazione della gara, va risarcito in caso di danno ingiusto, nel quale vanno computati, secondo la regola generale dell’articolo 1223 del c.c., non solo le perdite subite ma anche il mancato guadagno.

Il lucro cessante può, quindi, essere risarcito anche in favore del partecipante che, per effetto della sentenza di accoglimento, non abbia avuto riconosciuto un diritto all’aggiudicazione (Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2010, n. 6485).

Esso è anche correttamente quantificabile secondo un criterio di riduzione in via equitativa sovente applicato nella giurisprudenza (Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2010, n. 6485; sez. VI, 9 marzo 2007 , n. 1114).

L’ammontare del risarcimento nella componente del lucro cessante può essere determinato in via equitativa nella misura del 10% dell’importo dell’offerta, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare in quanto apprestati ed approntati in previsione dell’appalto da aggiudicare mezzi e maestranze per l’esecuzione di altri contratti; al contrario, quando tale dimostrazione non sia stata offerta, dovendosi peraltro ragionevolmente ritenere che l’impresa possa avere riutilizzato, come detto sopra, mezzi e manodopera per lo svolgimento di altre attività imprenditoriali, così limitando la perdita di utilità, il danno va liquidato riducendo detta percentuale in via equitativa (Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2010, n. 6485).

Non sono quindi condivisibili le censure controinteressata 3te dall’appellante circa la quantificazione del lucro cessante effettuata dal Giudice di primo grado.

6.3.- Quanto al danno curriculare, di per sé di non esatta quantificazione, esso è stato equitativamente liquidato dal T.A.R. nella misura dell’1% del predetto corrispettivo.

Va al riguardo osservato che la società originariamente ricorrente non ha fornito la prova di specifici danni di tale natura conseguenti alla mancata aggiudicazione dell’appalto in questione, derivanti, ad esempio, dal mancato conseguimento di una categoria superiore a causa della mancata esecuzione dei lavori in questione ed alla conseguente impossibilità della partecipazione ad ulteriori gare d’appalto, cui invece avrebbe potuto partecipare qualora avesse conseguito la categoria superiore grazie all’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto illegittimamente non aggiudicato alla ricorrente medesima (Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2010 n. 7004).

Il risarcimento del danno curricolare era quindi riconoscibile esclusivamente avuto riguardo alla generica “deminutio” di peso imprenditoriale della società per omessa acquisizione dell’appalto in questione, come ristoro del danno conseguente alla perdita della possibilità di arricchire il proprio “curriculum” e al mancato incremento dell’esperienza ed immagine professionale dell’impresa.

Il pregiudizio in questione, che può essere quantificato esclusivamente in via equitativa, non potendo esso essere determinato in un ammontare preciso (art. 1226 c.c.), è stato quindi per i limitati aspetti e profili di lesione dell’esperienza ed immagine professionale dell’impresa, correttamente non quantificato in una percentuale ragguagliata all’importo complessivo dell’appalto, ma in una percentuale dell’importo indicato come corrispettivo (Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144) ed in misura che, nel caso di specie, appare equa e ragionevole come fissata dal primo Giudice.

6.4.- Le censure in esame non possono quindi essere condivise.

7.- Con il sesto motivo di appello è stata dedotta in via subordinata la erroneità della sentenza per aver posto il danno lamentato interamente a carico del Comune e non anche della ditta aggiudicataria, come consentito perché gli artt. 30 e 124 del c.p.a. non stabiliscono il destinatario della condanna.

7.1.- Premette la Sezione che l’eventuale annullamento o accertamento di illegittimità dell’aggiudicazione è potenzialmente idoneo a produrre effetti caducanti sul contratto stipulato, anche “ex tunc” (come stabilito dagli artt. 121 e 122 del c.p.a.) o a rendere comunque “sine titulo” il rapporto intercorso tra stazione appaltante e impresa.

L’art. 41, comma 2, del c.p.a. ha stabilito che l’eventuale beneficiario dell’atto illegittimo sia parte necessaria del giudizio anche di solo risarcimento.

L’introduzione di tale previsione è stata giustificata con l’esigenza di provocare la formazione del giudicato sull’illegittimità dell’atto anche nei confronti dei suoi eventuali beneficiari, potendo sorgere obblighi restitutori dallo svolgimento di un rapporto reso senza titolo a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione.

La possibilità di obblighi restitutori si evince anche dal considerando 21 della direttiva 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007, per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici. E’, infatti, ivi affermato, in relazione alle conseguenze che derivano dalla privazione di effetti di un contratto, che “Il diritto nazionale dovrà determinare inoltre le conseguenze riguardanti il possibile recupero delle somme eventualmente versate nonché ogni altra forma di possibile restituzione, compresa la restituzione in valore qualora la restituzione in natura non sia possibile”, così ipotizzando che la declaratoria di inefficacia del contratto con effetti “ex tunc” possa comportare il recupero delle somme versate all’illegittimo aggiudicatario, nei limiti dell’arricchimento.

La giurisprudenza, proprio per giustificare l’interesse di un’impresa alla decisione, non esclude che il soggetto che ha svolto “sine titulo” un appalto pubblico possa essere chiamato a restituire l’utile di impresa, o all’amministrazione ovvero direttamente alla controparte che, all’esito del giudizio definitivo, sia risultata legittima aggiudicataria, avente come tale titolo a svolgere il lavoro o il servizio (Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2008 n. 1750).

Tuttavia la Sezione nel caso di specie non può apprezzare in senso positivo la censura, considerato che la responsabilità ex art. 1337 c.c. sussiste solo ove risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede e (Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 115/2012) alla responsabilità civile da illegittima aggiudicazione può riconoscersi natura solidale solo se l’errore (anche se inescusabile) della stazione appaltante è stato indotto dal comportamento della impresa aggiudicataria, il che nel caso di specie non risulta essere avvenuto.

8.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione. Tanto esclude la necessità di esame dei motivi di ricorso dichiarati assorbiti in primo grado riproposti dalle società resistenti.

9.- Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.

Pone a carico dell’appellante Comune di Roseto degli Abruzzi le spese e gli onorari del presente grado, liquidate a favore delle parti resistenti nella complessiva misura di € 4.000,00 (quattromila/00), di cui € 1.000,00 (mille/00) per esborsi, oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

Manfredo Atzeni, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Doris Durante, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

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