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Quali sono le caratteristiche clausole escludenti che precludono alla partecipazione

Ribadito che l’individuazione delle clausole escludenti è sottoposta ad una esegesi rigorosa, si considerano tali le clausole che precludono la partecipazione alla gara, 

perché: 

a) prescrivono in modo univoco requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione alla gara, arbitrari e discriminatori; 

b) introducono situazioni di fatto la carenza delle quali determina in via immediata e diretta l’effetto escludente; 

c) dissimulano una fattispecie di abnorme restrizione all’accesso alla selezione e quindi alla conseguente tutela, precludendo a priori scelte economiche che l’operatore vorrebbe introdurre nella procedura di gara in chiave competitiva, ferma restando l’impossibilità che l’impresa assente miri, con la propria impugnativa, ad imporre all’amministrazione condizioni di maggiore convenienza (finanziaria, gestionale, ecc.). 

Tanto premesso sul piano dei principi, è sufficiente evidenziare che nella specie: 

a) non viene in discussione, in senso proprio, la legittimazione attiva o l’interesse ad agire degli originari ricorrenti, bensì la carenza, in capo a questi ultimi e relativamente alle censure in concreto mosse avverso i provvedimenti impugnati, di una posizione differenziata rispetto al quivis de populo, qualificabile in termini astratti come di interesse legittimo, in relazione sia alla data di proposizione del ricorso che a quella della odierna decisione; 

b) al momento della proposizione del ricorso di primo grado non era configurabile una concreta posizione differenziata dell’a.t.i. San Ricorrente rispetto al quivis de populo perché non era stata presentata domanda di partecipazione alla gara; 

c) non ricorre alcuna delle tassative eccezioni sopra illustrate che consenta di derogare all’onere di presentazione dell’offerta; in particolare la clausola del bando che individua l’entità dell’importo posto a base di gara non costituisce di per sé “clausola escludente” , a fortiori quando, in concreto, almeno una impresa abbia partecipato alla selezione e la sua offerta non sia stata esclusa ma ritenuta meritevole di aggiudicazione recando comunque un ribasso (ancorché minimo); 

d) è inconferente che il primo giudice abbia disposto una c.t.u. per valutare, nella sostanza, la presenza di una condizione dell’azione; tale scelta, pur se eccentrica rispetto ai principi dianzi illustrati relativamente alle modalità di delibazione delle condizioni dell’azione, non legittima alla proposizione di un mezzo di impugnazione; invero, la censura proposta contro la sentenza di primo grado, con cui si denuncia la carenza dei presupposti per la nomina di un c.t.u., oltre ad essere inammissibile se le parti nulla hanno obiettato (come verificatosi nel caso di specie), è anche infondata nel merito, atteso che la doglianza si sostanzia in una censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata che non rileva nel giudizio di appello, giacché l’effetto devolutivo di quest’ultimo consente al giudice di secondo grado di provvedere sulle domande, eventualmente integrando o rettificando la motivazione; del resto l’erroneità della motivazione della sentenza in parte qua, può assimilarsi ad un error in iudicando, senza con ciò integrare una delle tassative ipotesi di vizio di forma o di procedura che, ai sensi della norma sancita dall’art. 105. co. 1, c.p.a., conducono alla regressione del processo in primo grado (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, n. 3777 del 2012; sez. IV, n. 4244 del 2010; sez. V, n. 3480 del 2008); 

e) in ogni caso le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., espresse in forma sostanzialmente dubitativa e improntate a valutazioni prudenziali e cautelative, non dimostrano l’oggettiva impossibilità di presentazione di un’offerta; tale adempimento, inoltre, non può considerarsi, alla luce dei principi e delle norme comunitarie e costituzionali, esorbitante, abnorme, discriminatorio ovvero ingiustamente lesivo della libertà di impresa e di concorrenza, risolvendosi nella normale attività di progettazione (finanziaria, gestionale, contabile, informatica ecc.), che tutte le imprese di settore devono essere in grado di svolgere se intendono competere sul mercato degli appalti pubblici, specie in un momento di acuta crisi finanziaria che rende certo più difficoltose, ma non impossibili, scelte economiche e gestionali fortemente innovative (ragguagliate anche al valore complessivo dell’appalto), da porre a base delle offerte tecniche ed economiche 

a cura di Sonia Lazzini 

passaggio tratto dalla  decisione numero 3404 del 21 giugno 2013  pronunciata dal Consiglio di Stato

 

Sentenza integrale

N. 03404/2013REG.PROV.COLL.

N. 08594/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8594 del 2012, proposto dalle società San Ricorrente s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e Luigi Ricorrente 2 s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Luigi Gili, Lucia Carrozza e Mario Sanino, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Parioli n. 180;

contro

Comune di Besana in Brianza, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maurizio Zoppolato e Fabio Baglivo, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via del Mascherino n. 72;

nei confronti di

Controinteressata Ambiente s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Ferrari e Anna Dassi, con domicilio eletto presso Alessandro Scarselli in Roma, piazza del Gesu’ n. 49;
F.I.S.E. – Federazione Imprese di Servizi, non costituita;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Lombardia – Milano – Sezione I, n. 2686 del 7 novembre 2012.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Besana in Brianza e della società Controinteressata Ambiente s.r.l.;

Viste le memorie difensive depositate dalla società Controinteressata Ambiente (in data 23 e 31 maggio 2013), dal comune di Besana in Brianza (in data 9 gennaio, 24 e 31 maggio 2013), nonché dalle società appellanti (in data 9 gennaio, 24 e 31 maggio 2013);

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2013 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Gili, Sanino, Zoppolato, Baglivo e Dassi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dagli atti della gara di appalto per l’affidamento del servizio di igiene urbana del comune di Besana in Brianza per gli anni 2011 – 2016, per un importo annuo pari ad euro 693.001,94 (oltre I.V.A.) da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

1.1. Andata deserta la procedura aperta, la gara, all’esito della procedura negoziata espletata ai sensi dell’art. 57 del codice dei contratti pubblici, è stata aggiudicata in via definitiva alla società Controinteressata Ambiente s.r.l. (in prosieguo Controinteressata) unica partecipante.

1.2. La legge di gara (bando e disciplinare) e tutti gli atti successivi (inclusi i verbali della Commissione incaricata della valutazione delle offerte e i dinieghi di autotutela), sono stati impugnati dall’associazione temporanea di imprese (a.t.i.) costituita dalle società San Ricorrente s.r.l. e Luigi Ricorrente 2 s.r.l. (in prosieguo a.t.i. San Ricorrente), gestore uscente del servizio, con due autonomi ricorsi corredati da motivi aggiunti.

1.3. Radicatosi il contraddittorio nei confronti del comune e della società aggiudicataria, il T.a.r. ha disposto consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.) allo scopo di assodare se l’importo posto a base della gara <<…fosse manifestamente insufficiente a coprire i relativi costi ed a garantire all’impresa appaltatrice un sia pur ridotto margine di utile, dimodochè nessun soggetto operante sul mercato con una logica imprenditoriale avrebbe potuto formulare un’offerta remunerativa>>.

1.4. Il c.t.u., dopo una elaborata attività di analisi (cfr. relazioni in data 12 e 31 luglio 2012), ha rassegnato le seguenti conclusioni: <<….secondo un giustificato approccio cautelativo in relazione a prevedibili e accettabili rischi d’impresa, nessun soggetto operante sul mercato sulla base dei numeri esposti nel bando, avrebbe potuto formulare un’offerta remunerativa se non con bassi margini di utile e con rischi d’impresa che, se proiettati su un periodo pari a 5 anni, determinerebbero un rischio cumulato inaccettabile. Pertanto …l’importo posto a base d’asta pone un’estrema difficoltà alla formulazione di un’offerta remunerativa, secondo una responsabile e non azzardata logica imprenditoriale e si manifesta insufficiente a garantire un ridotto margine d’utile per l’intera durata dell’appalto>>.

2. L’impugnata sentenza – T.a.r. per la Lombardia – Milano – Sezione I, n. 2686 del 7 novembre 2012-:

a) ha riunito i due ricorsi;

b) ricostruito il quadro delle norme e dei principi giurisprudenziali in merito alla carenza di legittimazione al ricorso dell’impresa che contesta una procedura di gara senza avervi preso parte, ha ritenuto di allargare il concetto di “clausole escludenti” fino a ricomprendervi anche quelle che individuano un importo a base d’asta del tutto irragionevole secondo una corretta logica di mercato;

c) sulla scorta dei rilievi formulati dalla c.t.u. e della presenza di almeno una impresa (che ha offerto comunque un ribasso sia pur assai modesto) ha considerato non manifestamente irrazionale l’entità dell’importo del corrispettivo e dunque incapace di precludere in via di fatto ad un operatore di settore la partecipazione alla gara;

d) pertanto, in accoglimento delle relative eccezioni formulate dalle parti intimate, ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dalle imprese costituite in a.t.i.;

e) ha compensato fra le parti le spese di lite, ponendo quelle relative alla c.t.u. a carico dell’a.t.i. San Ricorrente.

3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, l’a.t.i. San Ricorrente ha interposto appello, confutando analiticamente tutte le argomentazioni poste a sostegno dell’impugnata sentenza.

In particolare:

a) con il primo motivo (pagine 11 – 15 dell’atto di appello), ha dedotto la violazione, da parte dell’impugnata sentenza, degli artt. 76 c.p.a. e 276 c.p.c. avendo il T.a.r. definito in rito entrambi i ricorsi previa approfondita valutazione del merito delle doglianze; si contesta il metodo di accertamento della legittimazione (in concreto e non astratto) sganciato dalle vincolanti prospettazioni della parte attrice, essendo sufficiente, a tal fine, la semplice affermazione della titolarità della situazione soggettiva protetta lesa dall’operato dell’amministrazione, la configurabilità di una posizione giuridica differenziata, in capo alle ricorrenti (imprese di settore), a fronte della sicura impossibilità di considerare remunerativo il contratto e dell’avere sollecitato la stazione appaltante ad agire in autotutela incrementando l’importo a base di gara;

b) con il secondo motivo (pagine 15 – 21), ha censurato l’intima contraddittorietà della sentenza e la sua intrinseca ingiustizia avuto riguardo alla violazione delle norme sancite dagli artt. 29, codice dei contratti pubblici, 24 e 41 Cost., 1, par. 3) della direttiva 89/665/CE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE, nonché dei principi comunitari in materia di accesso alla giustizia nel settore degli appalti pubblici (Corte giust. CE, 12 dicembre 2004, C-230/2; Corte giust. UE, sez. III, 30 settembre 2010, n. 314/09); si lamenta che il T.a.r. non ha percepito correttamente le conclusioni cui è giunto il c.t.u. in ordine alla non remuneratività del contratto, allo spirare del quinquennio di durata, in relazione alla obbiettiva impossibilità di coprire i costi del servizio; il carattere discriminatorio della clausola avente ad oggetto la determinazione dell’importo di gara, circostanza questa che avrebbe consentito di proporre direttamente il ricorso anche in assenza della preventiva presentazione di una offerta, altrimenti violandosi l’obbligo, gravante sui singoli Stati membri dell’UE, di apprestare procedure di ricorso efficaci e rapide nel delicato settore degli appalti pubblici;

c) con il terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono motivo (pagine 21 – 36), ha riproposto le censure non esaminate in primo grado, insistendo, altresì per la declaratoria di inefficacia del contratto stipulato fra la stazione appaltante e l’aggiudicataria e la condanna al risarcimento dei danni (pagine 36 – 38).

4. Si sono costituiti in giudizio per resistere il comune di Besana in Brianza e la società Controinteressata, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.

4.1. Con decreto n. 4771 del 5 dicembre 2012 è stata respinta la domanda di misure cautelari monocratiche.

5. Previo scambio fra le parti di numerose (e lunghe) memorie difensive e note di replica, la causa è passata in decisione all’udienza pubblica dell’11 giugno 2013.

6. L’appello è infondato e deve essere respinto.

7. I primi due mezzi di gravame, attesa la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente.

7.1. I mezzi di gravame sono inaccoglibili alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio che di seguito si sintetizzano (cfr., Cons. Stato, ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10; ad. plen. 7 aprile 2011, n. 4, ad. plen. 27 gennaio 2003, n. 1, e la giurisprudenza successiva che si è adeguata, fra cui, ex plurimis e da ultimo, sez. V, 27 marzo 2013, n. 1824; sez. III, 27 settembre 2012, n. 5111; sez. III, 11 giugno 2012, n. 3402; sez. III, 8 giugno 2012, n. 3391; sez. V, 29 febbraio 2012, n. 1187; sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084; sez. V, 1 aprile 2011, n. 2033, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74 e 120, co. 10, c.p.a.).

7.2. La necessità di definire il giudizio muovendo dall’esame delle questioni preliminari apprezzate secondo il loro oggettivo contenuto, costituisce, ora, un’espressa regola positiva, stabilita dal codice del processo amministrativo; in virtù dell’art. 76, co. 4: « Si applicano l’articolo 276, secondo, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile e l’articolo 118, quarto comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile.».

Il richiamato art. 276, co. 2, prevede che «il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa». Si tratta, del resto, di una regola di giudizio ritenuta pacificamente applicabile al processo amministrativo anche prima dell’entrata in vigore del codice.

In ordine logico, seguendo la tassonomia indicata dalle menzionate adunanze plenarie (non venendo in rilievo presupposti del processo, quali la giurisdizione, la competenza, la ricevibilità, il difetto dello ius postulandi e l’integrazione del contraddittorio), le uniche questioni processuali da esaminare attengono alla sussistenza delle condizioni dell’azione.

7.3. L’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta – sulla falsariga del processo civile – a tre condizioni fondamentali che, valutate in astratto con riferimento alla causa petendi della domanda e non secundum eventum litis, devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione; tali condizioni sono:

a) il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione (cioè la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma come di interesse legittimo, ovvero, come altri dice, la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo);

b) l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (o interesse al ricorso, nel linguaggio corrente del processo amministrativo);

c) la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo).

7.4. In materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione; chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita; a tale regola generale si può fare eccezione solamente in tre tassative ipotesi e cioè quando:

a) si contesti in radice l’indizione della gara;

b) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto;

c) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.

7.5. Ribadito che l’individuazione delle clausole escludenti è sottoposta ad una esegesi rigorosa, si considerano tali le clausole che precludono la partecipazione alla gara, perché:

a) prescrivono in modo univoco requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione alla gara, arbitrari e discriminatori;

b) introducono situazioni di fatto la carenza delle quali determina in via immediata e diretta l’effetto escludente;

c) dissimulano una fattispecie di abnorme restrizione all’accesso alla selezione e quindi alla conseguente tutela, precludendo a priori scelte economiche che l’operatore vorrebbe introdurre nella procedura di gara in chiave competitiva, ferma restando l’impossibilità che l’impresa assente miri, con la propria impugnativa, ad imporre all’amministrazione condizioni di maggiore convenienza (finanziaria, gestionale, ecc.).

8. Tanto premesso sul piano dei principi, è sufficiente evidenziare che nella specie:

a) non viene in discussione, in senso proprio, la legittimazione attiva o l’interesse ad agire degli originari ricorrenti, bensì la carenza, in capo a questi ultimi e relativamente alle censure in concreto mosse avverso i provvedimenti impugnati, di una posizione differenziata rispetto al quivis de populo, qualificabile in termini astratti come di interesse legittimo, in relazione sia alla data di proposizione del ricorso che a quella della odierna decisione;

b) al momento della proposizione del ricorso di primo grado non era configurabile una concreta posizione differenziata dell’a.t.i. San Ricorrente rispetto al quivis de populo perché non era stata presentata domanda di partecipazione alla gara;

c) non ricorre alcuna delle tassative eccezioni sopra illustrate che consenta di derogare all’onere di presentazione dell’offerta; in particolare la clausola del bando che individua l’entità dell’importo posto a base di gara non costituisce di per sé “clausola escludente” , a fortiori quando, in concreto, almeno una impresa abbia partecipato alla selezione e la sua offerta non sia stata esclusa ma ritenuta meritevole di aggiudicazione recando comunque un ribasso (ancorché minimo);

d) è inconferente che il primo giudice abbia disposto una c.t.u. per valutare, nella sostanza, la presenza di una condizione dell’azione; tale scelta, pur se eccentrica rispetto ai principi dianzi illustrati relativamente alle modalità di delibazione delle condizioni dell’azione, non legittima alla proposizione di un mezzo di impugnazione; invero, la censura proposta contro la sentenza di primo grado, con cui si denuncia la carenza dei presupposti per la nomina di un c.t.u., oltre ad essere inammissibile se le parti nulla hanno obiettato (come verificatosi nel caso di specie), è anche infondata nel merito, atteso che la doglianza si sostanzia in una censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata che non rileva nel giudizio di appello, giacché l’effetto devolutivo di quest’ultimo consente al giudice di secondo grado di provvedere sulle domande, eventualmente integrando o rettificando la motivazione; del resto l’erroneità della motivazione della sentenza in parte qua, può assimilarsi ad un error in iudicando, senza con ciò integrare una delle tassative ipotesi di vizio di forma o di procedura che, ai sensi della norma sancita dall’art. 105. co. 1, c.p.a., conducono alla regressione del processo in primo grado (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, n. 3777 del 2012; sez. IV, n. 4244 del 2010; sez. V, n. 3480 del 2008);

e) in ogni caso le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., espresse in forma sostanzialmente dubitativa e improntate a valutazioni prudenziali e cautelative, non dimostrano l’oggettiva impossibilità di presentazione di un’offerta; tale adempimento, inoltre, non può considerarsi, alla luce dei principi e delle norme comunitarie e costituzionali, esorbitante, abnorme, discriminatorio ovvero ingiustamente lesivo della libertà di impresa e di concorrenza, risolvendosi nella normale attività di progettazione (finanziaria, gestionale, contabile, informatica ecc.), che tutte le imprese di settore devono essere in grado di svolgere se intendono competere sul mercato degli appalti pubblici, specie in un momento di acuta crisi finanziaria che rende certo più difficoltose, ma non impossibili, scelte economiche e gestionali fortemente innovative (ragguagliate anche al valore complessivo dell’appalto), da porre a base delle offerte tecniche ed economiche.

9. La reiezione dei primi due motivi di appello – che conduce alla conferma della statuizione di inammissibilità degli originari ricorsi – esime il collegio dall’esame degli altri motivi e delle ulteriori domande proposte dall’a.t.i. San Ricorrente.

10. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello e confermare l’impugnata sentenza sia pure con una motivazione parzialmente diversa.

11. Le spese di giudizio (limitatamente agli onorari dei difensori, non essendo state dimostrate spese vive ai sensi del d.m. n. 140 del 2012), regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

a) respinge l’appello;

b) condanna le società appellanti, in solido fra loro, a rifondere in favore del comune di Bersana in Brianza e della Controinteressata Ambiente s.r.l., gli onorari del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 6.000 (seimila/00), oltre accessori come per legge (I.V.A. e C.P.A.), per ciascuna parte.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Vito Poli, Consigliere, Estensore

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

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