Passaggio tratto dalla decisone numero 324 dell’ 11 marzo 2013 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 518/2012 proposto da
Ricorrente., CONSORZIO RICORRENTE COOPERATIVE s.c.a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria del costituendo R.T.I. con la RICORRENTE 2 s.p.a. nonché per la stessa RICORRENTE 3 s.p.a. (già La Ricorrente 3 s.r.l.), rappresentate e difese dagli avv.ti Umberto Ilardo e Gaetano Tafuri, elettivamente domiciliate in Palermo, via Leonardo da Vinci n. 94 presso lo studio dell’avv. Nino Bullaro;
c o n t r o
l’AZIENDA OSPEDALIERA PER L’EMERGENZA CANNIZZARO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Michele Alì, elettivamente domiciliata in Palermo, via F. Cordova n. 76, presso la segreteria del CGA;
e nei confronti
della CONTROINTERESSATA 2000, Società cooperativa sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Carullo, Beatrice Belli e Salvatore Pensabene Lionti, ed elettivamente domiciliata in Palermo, via Giusti n. 45, presso lo studio dell’ultimo;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia – sezione staccata di Catania (sez. III) – n. 554/2012 del 28 febbraio 2012.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’avv. M. Alì per l’Azienda ospedaliera appellata e degli avv.ti A. Carullo, B. Belli e S. Pensabene Lionti per la società controinteressata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il Consigliere Vincenzo Neri;
Uditi, altresì, alla pubblica udienza del 22 novembre 2012, l’avv. U. Ilardo per le società appellanti, l’avv. G. Caruso, su delega dell’avv. M. Alì, per l’Azienda ospedaliera appellata e l’avv. B. Belli per la società controinteressata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso innanzi al TAR il Ricorrente., Consorzio Ricorrente Cooperative s.c. a r.l., in proprio e quale capogruppo del costituendo raggruppamento temporaneo d’imprese con la RICORRENTE 2 s.p.a., impugnava gli atti della gara d’appalto per l’affidamento del servizio ausiliario di supporto ai reparti ed alle strutture dell’azienda ospedaliera Cannizzaro.
Instaurato il ricorso, nel giudizio di primo grado venivano altresì proposti motivi aggiunti avverso gli ulteriori atti di gara mentre Controinteressata 2000, Società cooperativa sociale, controinteressata – aggiudica-taria dell’appalto, avanzava ricorso incidentale.
Il TAR, con la sentenza impugnata, respingeva il ricorso condannando la parte alla rifusione delle spese di primo grado.
Avverso la sentenza proponeva impugnazione Ricorrente. rassegnando questi motivi di appello.
Con il primo riteneva erronea la sentenza nella parte in cui, considerando legittima l’aggiudicazione a favore della controinteres-sata, aveva respinto la censura di illegittimità della delibera di aggiudicazione che aveva dichiarato l’offerta economica di Controinteressata 2000 con “IVA incorporata nel prezzo offerto con ogni onere differenziale a carico della medesima ditta, anche a prescindere dal titolo o meno all’esenzione dell’IVA, materia dibattuta in sede di primo parere” (pagina 16 dell’appello). Per l’appellante ciò avrebbe determinato una plateale violazione della legge di gara nonché dei principi di immutabilità dell’offerta e della par condicio tra i concorrenti (pagina 20 dell’appello) anche perché l’IVA dovrebbe essere sempre applicabile alle prestazioni di questo genere rimanendo escluso che chicchessia possa godere di esenzioni o agevolazioni (pagina 22 dell’appello).
Con il secondo motivo di appello deduceva l’erroneità della sentenza che non avrebbe rilevato la violazione della par condicio tra i concorrenti perpetrata dalla legge di gara nella parte in cui consentiva di considerare il regime di particolare favore in materia di IVA goduto da Controinteressata 2000. Per l’appellante, anche recenti pronunce del Consiglio di Stato, vietano di valorizzare all’interno delle procedure di evidenza pubblica il regime tributario di favore goduto da qualche concorrente e impongono di valutare le offerte prescindendo dall’IVA applicabile. Conseguentemente la stazione appaltante – confrontando i prezzi offerti – avrebbe dovuto considerare più vantaggiosa l’offerta proposta da Ricorrente. a prescindere dal fatto che quest’ultima, una volta maggiorata dell’IVA, sarebbe risultata più alta di quella proposta da Controinteressata 2000 che non richiedeva maggiorazione trattandosi di soggetto esente da IVA.
Con il terzo motivo di appello veniva dedotta l’erroneità della sentenza nella parte in cui esclude ripercussioni economiche in capo alla stazione appaltante a causa dell’errato regime tributario applicato da Controinteressata 2000 alle prestazioni offerte all’amministrazione.
Con il quarto motivo d’appello il consorzio interessato riteneva erronea la sentenza nella parte in cui aveva considerato legittimo il regime di particolare favore tributario dichiarato dalla controinteressata aggiudicataria. Per l’appellante, invece, anche in ragione di un parere reso dall’Agenzia delle entrate – Direzione regionale della Lombardia in data 30 dicembre 2010, contrariamente a quanto affermato dal TAR, la natura delle prestazioni oggetto dell’appalto e il fatto che le stesse sono rivolte alla generalità degli utenti della struttura sanitaria rende impossibile l’applicazione del regime agevolato o del regime di esenzione dell’IVA.
Con il quinto motivo d’appello Ricorrente, in ragione dell’as-serita illegittimità del regime di esenzione dell’IVA, ritiene che erroneamente il TAR avrebbe disatteso il sesto motivo di ricorso principale tendente a contestare la congruità dell’offerta dell’aggiudicataria sotto l’aspetto del costo del personale.
Con il sesto motivo l’appellante riproponeva la richiesta di tutela in forma specifica e per equivalente già avanzata in primo grado.
Si costituiva l’Azienda ospedaliera Cannizzaro, chiedendo il rigetto dell’appello.
La controinteressata, dopo la costituzione avvenuta in data 27 giugno 2012, spiegava difese con la memoria del 6 novembre 2012 contestando ciascuno dei motivi di appello e riproponendo le censure incidentali già avanzate in primo grado; pur chiedendo a pagina 33 “la conferma dell’ordinanza cautelare” il Collegio reputa che la predetta richiesta debba essere intesa in termini di domanda di conferma della sentenza impugnata.
Quindi all’udienza pubblica del 22 novembre 2012 l’appello passava in decisione.
D I R I T T O
Preliminarmente è necessario esaminare l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso incidentale avanzati da Controinteressata 2000 Società cooperativa sociale con l’atto depositato il 6 novembre 2012.
L’eccezione proposta da Ricorrente è fondata. Ai sensi dell’articolo 101, comma 2, c.p.a. si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello o, per le parti diverse dall’appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio.
Dalla documentazione in atti emerge che, con memoria del 6 novembre 2012, l’appellata Controinteressata 2000 ha riproposto tre censure di tipo incidentale (già avanzate nel giudizio di primo grado) avverso l’ammissione alla gara dell’appellante. Tali censure incidentali, originariamente formulate nel giudizio di primo grado, non sono state esaminate dal TAR che, dopo aver respinto il ricorso principale e i ricorsi per motivi aggiunti, ha in ragione di tale decisione dichiarato improcedibile il ricorso incidentale (si veda pagina 16 della sentenza appellata).
Decorso il termine di trenta giorni (in considerazione del dimezzamento dei termini previsto dagli artt. 119-120 c.p.a: si veda al riguardo Cons. St., V, 8 ottobre 2011 n. 5496) dalla notificazione dell’atto di appello (nella specie avvenuto in data 30 maggio 2012) senza averle riproposte, per legge tali censure si intendono rinunciate con conseguente inammissibilità della loro tardiva riproposizione («Le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza appellata che non siano state, per le parti diverse dall’appellante, espressamente riproposte con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio, devono intendersi, ex art. 101, comma secondo, del c.p.a. rinunciate», Cons. St., V, 14 maggio 2012 n. 2746). Il Collegio, inoltre, rileva un ulteriore motivo di inammissibilità di tali censure incidentali perché, non essendo state esaminate dal giudice di primo grado in ragione di un’asserita improcedibilità delle stesse dovuta al rigetto del ricorso principale, in questa sede avrebbero dovuto essere oggetto di apposito appello incidentale ex articolo 96 c.p.a. e ciò non è avvenuto.
Passando al merito, a giudizio del Consiglio, il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente.
Al riguardo il TAR ha esaminato “l’offerta della controinteressata Controinteressata 2000 scarl- Onlus e quella della ditta ricorrente” (odierna appellante) rilevando che la “prima ha offerto il canone mensile comprensivo di tutti gli oneri per lo svolgimento del servizio per la durata di cinque anni, nella misura di Euro 570.400,00, specificando di andare esente da IVA” e che l’appellante “invece, ha offerto il canone mensile esclusa IVA di euro 515.372,50, corrispondente al canone mensile di Euro 618.447,00 compresa IVA (calcolata nella misura del 20%)”. Per il giudice di primo grado “l’offerta della ricorrente è ammissibile in quanto, scorporata l’IVA, è inferiore alla soglia massima di 575.000,00, che costituisce il tetto di ammissibilità delle offerte posto dalle disposizioni di cui all’art. 13 CSP, ultimo capoverso, mentre l’offerta della contro interessata aggiudicataria, di Euro 570.400,00, costituisce sicuramente l’offerta economicamente più vantaggiosa per l’amministrazione che ha pertanto attribuito ad essa maggior punteggio, nella corretta applicazione delle disposizioni della lex specialis di gara”.
A giudizio del Consiglio, giova innanzitutto osservare che esaminando l’offerta presentata dall’odierna appellata emerge inequivocabilmente che il prezzo proposto, pur essendo omnicomprensivo, non considera l’IVA, perché Controinteressata ritiene di essere IVA esente. Dall’esame della copia dell’offerta economica (allegato n. 8 della documentazione depositata dall’amministrazione il 12 gennaio 2010 presso il TAR) emerge infatti che Controinteressata ha proposto un ribasso dello 0,80% aggiungendo che doveva considerarsi “Canone mensile omnicomprensivo di tutti gli oneri per lo svolgimento del servizio per la durata di anni cinque:€ 570.400,00” e precisando “IVA esente ai sensi dell’art. 10 n° 27-Ter – DPR 633/72”.
La mancata considerazione (rectius: inclusione) dell’IVA, per un verso, è conforme a quanto stabilito dalla legge di gara, ed in particolare dall’articolo 13 del capitolato speciale di appalto, e, per altro verso, risulta coerente con il fatto che l’offerente riteneva che si trattasse di prestazione esente da IVA ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 27 ter d.P.R. 633/1972.
Conseguentemente va escluso che l’offerta di Controinteressata 2000 possa essere interpretata come prezzo comprensivo di IVA al 4% o al 20%; a giudizio del Consiglio il chiaro tenore dell’offerta e il significato letterale delle parole portano a concludere che Controinteressata ha proposto il prezzo di € 570.400,00 sul presupposto dell’esenzione dall’IVA e che dunque non intendesse quella cifra come comprensiva dell’IVA al 4% o al 20%. Sotto altro aspetto non può, pena la violazione delle più elementari regole dell’appalto, reinterpretarsi l’offerta ritenendo che, qualora il regime di esenzione non fosse spettato a Controinteressata, sarebbe stata quest’ultima a sopportare il costo del relativo peso fiscale.
Emerge altresì inequivocabilmente che l’appellante, altrettanto correttamente, nell’indicare la sua offerta aveva fatto riferimento al prezzo senza includere l’IVA.
Ciò precisato, occorre considerare che
a) il prezzo proposto dall’appellante al netto dell’IVA è inferiore a quello proposto dall’appellato al netto dell’IVA;
b) applicando l’IVA al prezzo proposto dall’appellante si ottiene una cifra superiore a quella proposta dall’appellato perché sull’offerta di quest’ultimo non deve asseritamente applicarsi l’IVA.
La questione centrale sottoposta all’esame del Collegio con il primo e secondo motivo di appello riguarda, dunque, il problema relativo all’individuazione dell’offerta più vantaggiosa sotto il profilo del prezzo quando alcune offerte sono assoggettate all’IVA e altre – per ragioni inerenti alla natura giuridica di chi le propone – risultano essere esenti. In altri termini occorre capire se, partendo dal presupposto (per il vero contestato nell’odierno giudizio) che l’appellata eroga prestazioni esenti da IVA ai sensi dell’articolo 10 prima citato, la stazione appaltante nel valutare la convenienza dell’offerta debba considerare i prezzi proposti al netto dell’IVA a prescindere che poi su questi si applichi o meno l’IVA oppure se debba considerare anche l’incidenza che l’IVA ha sul prezzo finale. Nel caso di specie, infatti, considerando i prezzi al netto dell’IVA non v’è dubbio che l’offerta migliore sotto il profilo del prezzo è quella dell’appellante, laddove applicando all’offerta dell’appellante l’IVA (anche perché poi è questo il prezzo finale che l’amministrazione dovrà pagare) diviene più vantaggiosa l’offerta dell’appellata che, sempre in tesi, è esente da IVA.
Per un primo orientamento, correttamente richiamato dal TAR, l’amministrazione – in qualità di consumatore finale – nel valutare la convenienza dell’offerta economica deve considerare il costo complessivo da sopportare per ottenere il servizio. In questa ottica tale costo finale comprende il prezzo maggiorato dall’IVA eventualmente dovuta; conseguentemente se la cifra complessivamente dovuta è inferiore con riferimento ad un’offerta che, per ragioni inerenti alla natura giuridica del soggetto che la propone, non deve essere maggiorata dall’IVA, potrà aggiudicare a tale soggetto a prescindere dal fatto che altri abbiano formulato offerte che, al netto dell’IVA, erano più basse.
Nell’aggiudicare a soggetto che ha proposto un’offerta più bassa rispetto agli altri concorrenti solo perché sull’offerta non deve essere applicata l’IVA, inoltre, non vi sarebbe una violazione della par condicio «… in quanto per coloro i quali sono soggetti all’IVA non costituisce costo l’IVA dei beni o dei servizi dagli stessi acquistati (ricadendo l’IVA, secondo la partita di giro, sul consumatore finale che è il soggetto non titolare della partita IVA) …» (Cons. St., VI, 25 gennaio 2008 n. 185).
Sempre per questo indirizzo, una volta che l’offerente ha dichiarato che le prestazioni da lui erogate sono esenti da IVA, «… per essere una Onlus, all’amministrazione non competeva accertare il fondamento della dichiarazione. Essendo sufficiente la previsione dell’esenzione da parte della legge per diverse prestazioni svolte da Onlus e oggetto di contratto …» (ancora Cons. St., VI, 25 gennaio 2008 n. 185).
In una decisione di questo Consiglio, infine, è stato affermato che «nelle procedure usuali l’IVA non è calcolata nella base d’asta appunto perché è una partita di giro» mentre quando né è esclusa la «detraibilità, l’IVA costituisce un costo e quindi deve essere valutata nella offerta economica globale» (C.G.A., 23 luglio 2007 n. 666).
Per altro orientamento, invece, nelle procedure di evidenza pubblica il valore degli appalti e, quindi, i prezzi proposti dalle imprese partecipanti alle gare devono essere sempre considerati al netto dell’i.v.a. (Cons. St., V, 22 novembre 2005 n. 6487).
Tale regola servirebbe a soddisfare “esigenze di immediata percezione”. In primo luogo, infatti, «l’onere tributario correlato ad una qualunque prestazione, sebbene integri una componente di costo sensibilmente incidente, dal punto di vista microeconomico, sulla formazione dei prezzi dello specifico mercato, tuttavia rappresenta una variabile esogena della funzione produttiva della singola impresa; la determinazione di essa sfugge cioè al controllo dell’imprenditore (potendo subire variazioni anche nel corso della successiva esecuzione del contratto aggiudicato) e non interferisce – pur alterando il prezzo finale di vendita – con i fattori determinanti l’efficienza produttiva aziendale.
Inoltre è fin troppo evidente che l’ipotetica valutazione degli oneri tributari, ai fini dell’individuazione dell’offerta più conveniente per la stazione appaltante (seguendo la tesi adombrata dalla Cir), innescherebbe ed incentiverebbe perversi meccanismi collusivi tra le amministrazioni e le imprese concorrenti, questi sì, veramente finalizzati all’elusione della normativa fiscale (a tutto danno degli interessi dell’ente impositore, nella specie lo Stato) e negativamente riverberatisi sull’efficienza allocativa delle risorse nei vari settori merceologici» (ancora Cons. St., V, 22 novembre 2005 n. 6487).
In altra decisione del Consiglio è stato affermato che « … il riconoscimento di vantaggi sotto il profilo fiscale e contributivo, nell’ottica di un favor legislativo per le cooperative sociali, e l’assenza di finalità di lucro non precludono ad un soggetto che sia cooperativa sociale di competere nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici … omissis … Tuttavia l’Amministrazione, all’atto di dettare la lex specialis della gara, deve innanzi tutto e comunque assicurare il rispetto della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi, consacrati dall’art. 97 della Costituzione, di buon andamento ed imparzialità cui deve uniformarsi l’azione amministrativa. La possibilità di cui possono usufruire le cooperative sociali di un regime fiscale e contributivo agevolato (al fine, secondo parte ricorrente in appello, di riequilibrare la competizione economica tra chi è libero di tendere al profitto e chi persegue anche finalità di carattere sociale) va infatti a sommarsi, all’atto della partecipazione a gare pubbliche indette con il criterio del massimo ribasso, alla circostanza che esse possono presentare offerte anche con utile ridotto, visto che lo scopo di lucro è estraneo alla attività delle cooperative stesse, sicché appare ragionevole l’intento dell’Amministrazione di tutelare la par condicio tra le imprese con scopo di lucro e le società cooperative partecipanti alla gara richiedendo la indicazione della offerta “IVA esclusa”, allo scopo di assicurare un sostanziale equilibrio tra dette società e le imprese con scopo di lucro, che altrimenti sarebbero oltremodo penalizzate …» (Cons. St., V, 16 giugno 2010 n. 3806).
Reputa il Collegio di aderire a questo secondo orientamento non condividendo gli argomenti avanzati dalla tesi contraria.
In primo luogo l’orientamento che impone di considerare l’IVA dovuta nella valutazione delle offerte proposte perché l’amministra-zione è un consumatore finale che non può ‘scaricare’ il tributo, attraverso il meccanismo della detrazione, non può essere condiviso. Tale argomento, infatti, a tutto concedere, può valere solo per alcune amministrazioni aggiudicatrici ma non è valido per tutte le amministrazioni aggiudicatrici contemplate dall’articolo 3, comma 25, Codice dei contratti (ad esempio per alcuni organismi di diritto pubblico) e per gli altri enti aggiudicatori tra i quali vi rientrano le imprese pubbliche (si veda articolo 3, comma 29, Cod. Contratti; per la distinzione si veda anche Cons. St., a.p., 10/2011). In altri termini non sempre i soggetti tenuti ad indire una procedura di evidenza pubblica non possono detrarre l’IVA pagata e conseguentemente, accogliendo l’orientamento qui non condiviso, dovrebbe ipotizzarsi una (non prevista) diversità di regole a seconda che il fruitore della prestazione oggetto dell’appalto possa o meno detrarre l’IVA: seguendo il ragionamento qui non condiviso, infatti, quando la stazione appaltante non può detrarre l’IVA l’aggiudicazione dovrebbe avvenire considerando anche l’incidenza dell’IVA mentre se la stazione appaltante può detrarre l’IVA l’aggiudi-cazione dovrebbe avvenire valutando le offerte al netto dell’IVA.
In secondo luogo, ritenere rilevante nella valutazione dell’of-ferta economica l’IVA da applicare, potrebbe determinare risultati economici aleatori per la stessa stazione appaltante. L’offerta ritenuta non conveniente in un dato momento storico potrebbe divenire conveniente in un momento successivo a seguito della riduzione (tramite novella legislativa) dell’aliquota IVA. All’uopo, pur non essendo questo il caso sottoposto all’attenzione del Collegio, si consideri ipoteticamente una gara nella quale un primo soggetto propone il prezzo di 100, oltre IVA al 21%, e dunque determina un esborso complessivo per l’amministra-zione per 121; si prenda in considerazione altresì l’offerta di un secondo operatore che prevede il prezzo complessivo di 119 senza applicare l’IVA perché esente con conseguente spesa finale per l’amministrazione per 119. Applicando al caso prospettato il principio non accolto da questo Consiglio dovrebbe essere dichiarata aggiudicataria l’offerta esente da IVA perché complessivamente più vantaggiosa per l’amministrazione. Tuttavia, qualora per effetto di una (possibile) modifica tributaria l’aliquota IVA su quelle determinate prestazioni dovesse essere ridotta di tre punti percentuali, l’offerta originariamente non aggiudicataria diventerebbe più conveniente e l’amministra-zione, ormai vincolata all’offerta pari a 119, si troverebbe a pagare un prezzo maggiore. Può prospettarsi anche l’ipotesi esattamente opposta, ossia quella di un’offerta conveniente in un dato momento storico che diventa non conveniente in un momento successivo a seguito della modifica, sempre tramite novella legislativa, dell’aliquota IVA. Potrebbe accadere infatti che dopo l’aggiudicazione ad un soggetto che ha proposto un prezzo finale migliore per il solo fatto che le sue prestazioni erano esenti da IVA, il legislatore decida di mutare il regime e di assoggettare tali prestazioni ad IVA, così alterando il riferimento economico che era stato preso in considerazione al momento dell’aggiu-dicazione.
In terzo luogo va rilevato che considerando il regime IVA al momento della valutazione dell’offerta si determinerebbe indirettamente un indubbio vantaggio nel campo degli appalti pubblici in favore di soggetti che godono, come potrebbe essere nell’odierna fattispecie, dell’esenzione dell’IVA. Tale privilegio, tuttavia, determinerebbe un’alterazione delle regole della concorrenza con conseguente danno per gli altri soggetti che operano in quel mercato senza godere dell’agevolazione. In altri termini il principio per cui la stazione appaltante può/deve valutare l’incidenza dell’IVA sul prezzo proposto comporterebbe “evidenti effetti distorsivi della concorrenzialità” perché si avvantaggerebbero alcuni operatori sottoposti a regime più favorevole rispetto ad altri assoggettati a regime meno favorevole senza alcun collegamento con il valore, sotto il profilo del prezzo o della qualità-prezzo, del bene o servizio offerto che, invece, deve fungere da esclusivo parametro per valutare la concorrenzialità dell’offerta a prescindere dall’esborso finale cui va incontro la stazione appaltante anche perché, come prima dimostrato, non sempre è esclusa la detraibilità dell’IVA versata.
Nel senso preferito dal Consiglio milita anche un’altra considerazione. Il Codice dei contratti ha previsto espressamente il riferimento al netto dell’IVA nello stabilire come determinare l’importo a base d’asta («Il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici è basato sull’importo totale pagabile al netto dell’IVA, valutato dalle stazioni appaltanti», articolo 29, comma 1, Cod. contratti). È vero che nell’odierna fattispecie questo aspetto non è controverso, essendo invece discusso (perché non oggetto di specifica indicazione normativa) se l’amministrazione debba valutare la convenienza del prezzo proposto al netto dell’IVA o includendo l’imposta in questione, ma, a giudizio del Collegio, l’indica-zione contenuta all’articolo 29 Cod. contratti, serve a far comprendere che per il legislatore in materia di appalti il riferimento di tipo economico è al netto dell’IVA.
Alla luce delle considerazioni sino a qui svolte, il primo e il secondo motivo di appello devono essere accolti con conseguente annullamento degli atti impugnati e, in particolare, dell’atto di aggiudicazione nonché, in parte qua, dell’articolo 14 CSA nella parte in cui per la valutazione del prezzo fa riferimento al “canone mensile offerto, comprensivo di IVA” (risultando censurata già in primo grado la legge di gara: si vedano in particolare pagg. 2, 26 e 31 del ricorso principale di primo grado), rimanendo assorbite le ulteriori censure relative ad altri profili di illegittimità degli atti.
Conseguentemente il Collegio deve pronunciarsi sulla domanda di tutela in forma specifica e per equivalente proposta in primo grado (con motivi aggiunti depositati il 19 gennaio 2011) e reiterata in appello.
A giudizio del Consiglio, in ragione del vizio riscontrato, non ricorre una delle ipotesi di cui all’articolo 121 c.p.a. mentre trova applicazione il successivo articolo 122 c.p.a che testualmente stabilisce:«Fuori dei casi indicati dall’articolo 121, comma 1, e dall’articolo 123, comma 3, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta».
Nel caso di specie dalla prospettazione operata dalle parti – nonché dall’atto di aggiudicazione che indica la graduatoria finale – emerge che l’odierno appellante, se la stazione appaltante non avesse considerato l’IVA sarebbe risultato aggiudicatario; conseguentemente, una volta annullata l’aggiudicazione in favore di Controinteressata (e non potendosi esaminare i motivi incidentali), al RTI appellante, previa riparametrazione del punteggio, sarebbe spettata l’aggiudicazione e la stipulazione del relativo contratto senza necessità di rinnovare la gara.
Risulta altresì che l’appellante ha proposto domanda di subentro nel contratto illegittimamente stipulato con la controinteressata-appellata, oltre che di ristoro pecuniario, sia in primo grado con i motivi aggiunti del 19 gennaio 2011 sia con il sesto motivo di appello.
Fatta tale premessa, il Collegio reputa che il contratto, ai sensi del prima richiamato articolo 122 c.p.a. – e, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto – debba essere dichiarato inefficace a far data dalla notifica della presente sentenza e che inoltre vada, a titolo di tutela in forma specifica ex articolo 124 c.p.a., disposto il subentro nel rapporto contrattuale instaurato con la parte appellata sempre a far data dalla notifica della presente sentenza.
Con riferimento alla frazione di contratto già eseguita, a giudizio del Collegio, ai sensi dell’articolo 30 c.p.a. – non trovando applicazione l’articolo 124 c.p.a. perché il Collegio condivide quella dottrina che distingue tra il risarcimento del danno da attività illegittima ex articolo 30 c.p.a. e tutela in forma specifica e per equivalente ex articolo 124 c.p.a. da inquadrare più correttamente tra le ipotesi di tipo indennitario – va riconosciuto il risarcimento del danno per la mancata esecuzione del contratto da parte dell’appellante.
Tale danno va liquidato, a prescindere dalla valutazione dell’elemento soggettivo (Cons. St., V, 16 gennaio 2013 n. 240) e in ragione degli elementi offerti dall’interessato, con equo apprezzamento delle circostanze del caso ex articolo 2056 c.c. Conseguentemente, tenuto conto della particolare tipologia di appalto nonché del raggiungimento della prova in ordine al danno sofferto ma non anche della sua prova nella misura richiesta (alcune circostanze sono solo labialmente affermate), reputa il Collegio di liquidarlo nella misura del 7% sull’importo, una volta detratto dall’importo a base d’asta il ribasso offerto, e non anche del 10% come usualmente stabilito in via generale, ma senza automatismi, dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., VI, 15 ottobre 2012 n. 5279).
A tale somma va aggiunto un ulteriore 2% a titolo di danno curriculare in considerazione del fatto che l’appellante non potrà vantare nelle altre gare alle quali parteciperà l’esecuzione di questo contratto per tutta la sua durata ma solo per una frazione. Il Collegio reputa infatti che il danno curriculare possa correttamente oscillare tra l’1% e il 4% e che in questo caso, tenuto conto del fatto che il contratto in parte è già stato eseguito dalla controinteressata (a pagina 7 della memoria dell’amministrazione si legge che “definita la fase cautelare è intervenuto il contratto”), può fissarsi la misura del 2% sull’importo, sempre una volta detratto dall’importo a base d’asta il ribasso offerto.
Per giurisprudenza consolidata non spetta, invece, all’odierna appellante la rifusione delle spese sostenute per la partecipazione alla gara trattandosi di somme che la parte avrebbe dovuto comunque sopportare anche se la procedura si fosse svolta legittimamente (Cons. St., VI, 16 settembre 2011 n. 5168).
Sulle somme così individuate occorre provvedere alla rivalutazione del credito, cioè alla trasformazione dell’importo del credito originario in valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale; e, in secondo luogo, occorre calcolare il c.d. danno da ritardo, utilizzando il metodo consistente nell’attribuzione degli interessi che vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno (Cons. St., V, 8 novembre 2012 n. 5686).
Ritiene il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
La particolare complessità della vicenda nonché l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti costituisce giusta ragione per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato,
– dichiara inammissibili le censure incidentali proposte dall’appellata;
– accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati nel giudizio di primo grado;
– dispone la tutela in forma specifica e il risarcimento del danno nei termini indicati in motivazione.
Compensa tra la parti costituite le spese dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Palermo il 22 novembre 2012 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Paolo Turco, Presidente, Vincenzo Neri, estensore, Marco Buricelli, Pietro Ciani, Alessandro Corbino.
F.to Paolo Turco, Presidente
F.to Vincenzo Neri, Estensore
Depositata in Segreteria
11 marzo 2013