passaggio tratto dalla decisione numero 2442 del 6 maggio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
Sentenza integrale
N. 02442/2013REG.PROV.COLL.
N. 08229/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8229 del 2012, proposto da:
Ricorrente Impresa Costruzioni Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Graziano Dal Molin e Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, corso del Rinascimento, 11;
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Rita Surano, Antonello Mandarano, Raffaele Izzo, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
nei confronti di
Condominio di via Cola di Rienzo 12 Milano;
Riccardo Preti, rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Zoppolato, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, via del Mascherino 72;
Antonella L_ e Gianluca C_ rappresentati e difesi dagli avv. Umberto Pillitteri, Lorella Fumarola, Diego Vaiano, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, Lungotevere Marzio N. 3;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE II n. 01155/2012, resa tra le parti, concernente titolo edilizio a seguito di d.i.a.- ris.danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Milano e di Riccardo Preti e di Antonella L_ e di Gianluca C_;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Gianluigi Pellegrino, Maria Rita Surano e Umberto Pillitteri (anche su delega dell’avv. Maurizio Zoppolato);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Società B.G.T. Impresa Costruzioni ( di seguito RICORRENTE ) espone di essere proprietaria in Comune di Milano di alcune aree acquistate dalla Società Moca e dall’Agenzia del Demanio tra cui un’area avente la superficie complessiva di mq 947 , ricompresa in zona edificabile residenziale del PRG del predetto Comune per la quale ebbe a presentare in data 23 marzo 2010 una Denuncia di inizio attività ( D.I.A: ) per la realizzazione in via Cola di Rienzo, 12 di un edificio per civili abitazioni composto da un piano terra parzialmente adibito ad ufficio e residenza ed altri sei piani fuori terra destinati a residenza, della consistenza di mq 946,43 corrispondenti a mc 2839, 29 cui faceva altresì seguito la denuncia di inizio dei lavori datata 9/6/2010.
Il Comune dopo aver in data 15/6/2010 emesso ordinanza di non dar corso ai lavori di che trattasi a seguito di parere contrario della Commissione per il Paesaggio, in data 28/9/2010 ordinava la sospensione immediata delle opere e comunicava l’avvio del procedimento finalizzato all’annullamento del titolo abilitativo formatosi a seguito della presentazione della D.I.A.
Quindi con provvedimento del 19 maggio 2011 prot. N. 432146/2011, dopo aver richiamato l’approfondimento istruttorio comprensivo della documentazione integrativa pervenuta agli uffici il Dirigente del Servizio Interventi Edilizi Maggiori disponeva la chiusura dell’attivato procedimento e l’annullamento del titolo abilitativo formatosi a seguito della presentazione della denuncia di inizio attività in questione e tanto sul rilievo dell’erronea indicazione della superficie fondiaria residua , sì da evincersi una capacità edificatoria insufficiente per la realizzazione del progettato intervento.
RICORRENTE impugnava innanzi al Tar della Lombardia tale provvedimento unitamente al pregresso atto di sospensione dei lavori e comunicazione di avvio del procedimento , con richiesta di risarcimento dei danni ingiustamente subiti.
L’adito Tribunale con sentenza n.1155/2012 rigettava il ricorso, giudicandolo infondato e dichiarava altresì inammissibile i ricorsi incidentali presentati dal vicino Condominio di via Cola di Rienzo 12 e da alcuni condomini.
Avverso tale decisum, ritenuto errato ed ingiusto, insorge l’interessata RICORRENTE, deducendo a sostegno del proposto gravame i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art.19 delle NTA del PRG di Milano del 1980 nonché dell’art. 7 delle NTA del PRG del Comune di Milano del 1953 e dell’art.47 del Regolamento d’igiene vigente negli anni 60: erronea applicazione dei principi in materia di asservimento delle aree. Eccesso di potere per difetto di istruttoria . Errato criterio di determinazione della superficie residua edificabile;
2) Violazione e falsa applicazione degli artt.3,10, 19 3 21- nonies della legge n.241/90 per assoluto difetto di motivazione del provvedimento impugnato sia per mancata valutazione delle memorie e dei documenti depositati dalla società ricorrente sia dell’interesse pubblico e per mancata comparazione degli interessi delle parti;
3) Erroneità della sentenza in reazione alla richiesta di risarcimento danni .
Si costituiti in giudizio il Comune di Milano nonché i sigg.ri Antonella L_, Gianluca C_ e Riccardo Preti, questi ultimi in qualità di proprietari di unità immobiliari siti nel condominio di via Cola di Rienzo, 12 che hanno contestato la fondatezza del proposto gravame, chiedendone la reiezione.
Tutte le parti in causa hanno poi prodotto ad ulteriore illustrazioni delle loro tesi apposite memorie difensive.
All’odierna udienza pubblica la causa è stata introitata per essere decisa.
DIRITTO
L’appello è infondato con riferimento ai tutti i tre mezzi d’impugnazione che riproducono sostanzialmente i motivi di doglianza già formulati in prime cure dalla RICORRENTE.
La questione fondamentale che la Sezione è chiamata a dirimere e che rappresenta poi la ragione -principe dell’avvenuto esercizio da parte del Comune di Milano dello jus poenitendi di cui qui si controverte, consiste nello stabilire la fondatezza o meno della pretesa edificatoria rivendicata dalla Società appellante sulla sua asserita esistenza di una volumetria ancora disponibile e sfruttabile ai fini dell’assentibilità dell’intervento edilizio descritto in fatto su un’area di sua proprietà della superficie complessiva indicata in progetto di 947 mq .
Al quesito va data risposta negativa, nel senso che il provvedimento comunale di annullamento del titolo abilitativo in contestazione risulta legittimamente adottato sulla scorta dell’accertata l’assenza di una volumetria residua del suolo sufficiente a consentire la costruzione di nuovi volumi edificabili.
Col primo motivo parte appellante assume sostanzialmente che l’area interessata alla D.I.A. non è stata in parte asservita a precedente volumetria utilizzata per le aree contermini negli anni 1965-1968 giacchè l’edificazione a suo tempo assentita era contenuta nei limiti della densità edilizia secondo la disciplina delle aree bianche a suo tempo applicabile e che perciò ben è possibile che detta area possa ora giovarsi, in una sorta di “trascinamento” dell’indice fondiario di 3 mc/mq previsto dalla NTA del PRG del Comune di Milano del 1980.
L’assunto difensivo è privo di giuridico fondamento.
Premesso, in primo luogo che l’area de qua è inserita , al momento di presentazione della D.I..A., quanto alla destinazione urbanistica, in zona omogenea B1/R-I , occorre dare atto, ai fini dell’individuazione del regime giuridico urbanistico di riferimento che il certificato di destinazione urbanistica relativo all’area in questione ha cura di riportare che ai fini dell’applicazione dell’indice fondiario 3mc/mq ( art.19 NTA ) “si dovrà tener conto delle aree e dei volumi o s.l.p. oggetto delle seguenti licenze per opere edilizie rilasciate dal Comune di Milano Ripartizione Edilizia privata n. 2816 in data 29/12/1965; n.203 in data 2/2/1967; n. 109 in data 15/1/1968…” .
I dati contenuti nel predetto documento sono inequivocabili nell’ affermare una preesistente, a suo tempo assentita edificazione cui vanno connessi dal punto di vista “ontologico” i parametri edilizi previsti dal vigente PRG per un suolo certamente riconducibile al medesimo ambito edificatorio già contrassegnato da costruzioni a suo tempo autorizzate, lì dove i dati riportati per tabulas quanto alla loro “fisiologica” esistenza non risultano sconfessati
In disparte le attestazioni ufficiali sopra evidenziate, il fatto è che l’area di proprietà della RICORRENTE va ricompresa in un comparto di più vasta estensione e che si identifica, dal punto di vista geografico nell’isolato costituito dalle vie Foppa , Moisè Loria e Cola di Rienzo, già interessato da attività edificatoria assentita, appunto, nel 1965 e nel 1968 con le licenze edilizie rilasciate in base alla normativa del PRG del !953 alla Società dante causa dell’attuale appellante che provvide a realizzare altre costruzioni ancora esistenti, dovendosi ragionevolmente ritenere che il suolo ora interessato dalla DIA costituisce in realtà porzione di territorio facente parte di un lotto urbanistico unitariamente inteso in parte già sfruttato, quanto alla sua capacità edificatoria.
Invero, tutti gli elementi di giudizio costituiti dai dati contenuti in documenti ufficiali provenienti dal Comune, dalle cartografie illustrative dello stato dei luoghi e da altre notizie e circostanze provenienti dalla stessa parte privata inducono pressoché univocamente a ritenere che l’area oggetto di contestazione, se non come area di sedime di altri fabbricati o come opera di urbanizzazione ha concorso a costituire la superficie utilizzabile per l’edificazione dell’intero comparto in base alla progettazione che ha permesso il rilascio dei titoli edilizi negli anni 1965-1988.
Ora la normativa recata dal PRG del 980 recata quanto agli indici dall’art.19 non può che interessare nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico le sole aree libere , con esclusione di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio , ancorchè le stesse si presentino fisicamente “libere” da immobili, e l’area de qua non può considerarsi libera nei sensi sopra descritti.
Questo Consiglio di Stato ha avuto già modo di affermare che un’area edificabile , già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia , agli effetti della volumetria realizzabile , non può più essere tenuta in considerazione come area libera , neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nelle perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà de terreni ( Cons. Stato Sez.V 10 febbraio 2000 n.749).
Più specificatamente , si è precisato che in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata , ai fini edificatori deve essere considerata l’intera estensione interessata ( nella specie il comparto edificatorio unitariamente considerato ) con l’effetto che anche l’area accorpata non è più edificabile anche se è oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti ( Cons. Stato Sez. V 7 novembre 2002 n. 6128; ; idem 10 febbraio 2000 n. 749 già citata; Sez. IV 6 agosto 2012 n. 4482).
Parte ricorrente fonda la legittimità della sua pretesa edificatoria con riferimento alla disciplina urbanistica esistente negli anni “60, ma la verifica della esistenza o meno di sufficiente capacità edificatoria dell’area sulla quale si chiede il rilascio del titolo ad aedificandum va fatta, sulla base del nuovo strumento urbanistico vigente al momento della richiesta dell’assenso a costruire , non potendosi far valere situazioni di “ favore” sulla scorta della normativa edilizia esistente all’epoca dell’edificazione di preesistenti edifici ( Cons. Stato Sez. V 7 novembre 2002 n. 6128 ).
D’altra parte RICORRENTE ( e questo dato di per sé appare esaustivo) non fornisce dati tecnici precisi al riguardo nel senso che non sono evidenziate in concreto calcoli esatti circa la quantità di volumetria a suo tempo utilizzata e che va scomputata in riferimento alla volumetria indicata e quindi neppure si dimostra in via concreta la possibilità “matematica” di una volumetria in misura sufficiente ai fini per cui è causa.
Tutto ciò sta a significare che dovendosi detrarre i volumi già usufruiti in passato per i fabbricati a suo tempo realizzati, la volumetria indicata per l’area oggetto di DIA non può ritenersi coincidere, quanto a superficie residua edificabile con quella realmente richiesta come sufficiente ai fini del rispetto dell’indice di capacità fondiaria di cui all’art.19 delle NTA del PRG del Comune di Milano e ciò giustifica l’intervento di tipo repressivo volto a porre in non cale il titolo ad aedificandum derivante dalla presentazione della denuncia di inizio attività.
Col secondo mezzo d’impugnazione parte appellante denuncia in sostanza a carico degli atti gravati il vizio di difetto di motivazione e di istruttoria, imputando all’amministrazione di non aver consentito l’apporto partecipativo della Società al procedimento e di non aver sufficientemente spiegato le ragioni del disposto annullamento.
I dedotti profili di doglianza sono insussistenti.
Rileva il Collegio che dalla lettura della stessa parte narrativa del provvedimento impugnato e dall’esame di tutta la documentazione agli atti del giudizio si evincono in maniera chiara ed agevole dati e circostanze idonee ad evidenziare che l’amministrazione :
a) si è data carico di dare compiuta contezza delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento dell’adottata determinazione con un motivazione resa sia per relationem che in via diretta con l’esposizione di considerazioni e apprezzamenti tecnico- amministrativi del tutto idonei a giustificare l’operato in contestazione;
b) ha avuto cura di condurre un’accurata istruttoria, caratterizzata peraltro da opportuni approfondimenti, con acquisizioni ed esposizione di fatti e dati tecnici tali da supportare, con cognizione di causa , il provvedimento de quo, permettendo altresì come dimostra il carteggio intercorso tra il Comune e la società interessata, la partecipazione di RICORRENTE al procedimento culminato con l’atto de quo;
c) ha acclarato con puntualità una situazione di non conformità urbanistica che avuto riguardo alla natura e consistenza dell’impatto sul territorio derivante dal progettato intervento edilizio ben evidenzia , ancorchè non formalmente enunciati, sussistenti ragioni di un interesse pubblico concreto alla rimozione del titolo abilitativo .
Passando al terzo ed ultimo motivo di appello con cui viene formulata richiesta di risarcimento danni, anch’esso si appalesa infondato.
La pretesa risarcitoria, stante la causa petendi esposta nel mezzo d’impugnazione viene ancorata alla condotta “ dilatoria” che il Comune avrebbe avuto in epoca antecedente alla presentazione della DIA nei rapporti intercorsi tra l’Amministrazione e la dante causa dell’attuale appellante , la Società Moca, in ordine alla mancata conclusione della vendita di un terreno.
Ora, a ben vedere i fatti da cui deriverebbero per la RICORRENTE , incorporante della sua dante causa , pretesi danni,risalgono esattamente alla edificazione avvenuta nel 1965 in ragione della licenza edilizia n.2816 rilasciata in quell’anno, sicchè è evidente che avuto riguardo ad una pretesa risarcitoria avanzata nel 2011 sussistono non pochi dubbi in ordine all’ammissibilità di tale rivendicazione giustiziale intervenuta ben oltre i termini prescrizionali previsti ai fini della individuazione di una responsabilità della “controparte” pubblica ai sensi e per gli effetti dell’art.2043 del codice civile.
Inoltre ove poi si imputasse al Comune una responsabilità per danno da ritardo, anche qui mancano elementi di riprova in ordine ad un esito positivo del giudizio prognostico circa la probabile acquisizione del bene delle vita rivendicato, condicio iuris , quest’ultima indispensabile per farsi riconoscere il ristoro di danni .
Se poi ci si dovesse riferire ad una responsabilità risarcitoria collegata a fatti inerenti la vicenda della D.I.A, la richiesta è del tutto inconfigurabile atteso che non è ravvisabile nei confronti del Comune una condotta contra legem causativa di danno ingiusto risarcibile, senza che perciò vi siano margini per il riconoscimento, in base ai noti principi stabiliti dalla sentenza n.500/99 delle Sezioni Unite della Cassazione, di un diritto a quale che sia ristoro patrimoniale delle posizioni giuridiche soggettive in rilievo.
In forza delle su estese considerazioni, l’appello, in quanto infondato, va respinto.
Sussistono, peraltro, giusti motivi , attesa la peculiarità della vicenda alla’esame per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.
Compensa tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF
Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)