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L’accesso agli atti compete a chiunque abbia un interesse diretto

E’ noto che il Regolamento in materia di accesso ai documenti (d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184), dopo avere confermato il principio di origine legislativa (art. 22, comma 1, legge n. 241/1990) per cui l’accesso compete a chiunque abbia un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto,
stabilisce che il richiedente l’ostensione debba dimostrare la propria identità e, “ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato” (art. 5, comma 2, d.P.R. cit.): il che comporta la conseguenza che, se già in caso di semplici dubbi sull’effettività dei poteri rappresentativi del richiedente non potrà avere luogo l’accoglimento della richiesta di ostensione presentata in via informale, ove il richiedente risulti, invece, del tutto carente di legittimazione anche la sua richiesta di accesso formale dovrà essere disattesa (cfr. gli artt. 6, commi 1 e 3, d.P.R. cit.).
Per quanto precede, non vi è dubbio che anche le richieste di accesso presentate, per conto di un interessato, dal suo legale, debbano in via di principio soddisfare la regola -appena vista- della necessità di una dimostrazione dei poteri di rappresentanza vantati dal richiedente.
In coerenza con i relativi principi, la giurisprudenza di questa Sezione ha del resto già osservato da tempo (sentenza 5 settembre 2006, n. 5116) quanto segue.
“La domanda di accesso deve essere avanzata dalla parte che vi ha interesse; può anche essere presentata da un suo legale, ma, in tal caso, deve essere accompagnata – per asseverare l’effettiva provenienza della richiesta da parte di soggetto interessato – da copia di apposito mandato o incarico professionale ovvero da sottoscrizione congiunta dell’interessato stesso.
La sottoscrizione diretta sulla nota inviata dal legale o copia del mandato da parte del diretto interessato a favore di legale stesso integrano, infatti, elementi di certezza essenziali ai fini della imputabilità della richiesta e assunzione delle eventuali relative responsabilità (sia da parte del richiedente che del funzionario chiamato all’estensione di quanto richiesto), nonché ai fini della verifica di sussistenza di un concreto interesse alla richiesta medesima; in mancanza di che, come nella specie, deve escludersi che il silenzio serbato dall’Amministrazione possa essere configurato come illegittimo e che possa, quindi, essersi consolidato il diritto all’accesso” (così la sentenza n. 5116/2006 cit.; nello stesso senso è orientata anche la giurisprudenza di primo grado : v. ad es. T.A.R. Lazio, III, 2 luglio 2008, n. 6365; T.A.R. Toscana, I, 15 luglio 2009, n. 1282; T.A.R. Campania, Napoli, V, 9 marzo 2009, n. 1331).
2 L’impostazione appena delineata vale anche, in linea di principio, per l’ipotesi in cui l’interessato abbia già precedentemente rilasciato al proprio legale un mandato professionale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale.
In tal caso, tuttavia, non sussiste la necessità, per il legale che debba richiedere l’accesso ad un documento connesso al contenzioso per il quale è stato officiato, di munirsi di un ulteriore ed apposito mandato, sufficiente essendo quello già ottenuto.
L’avvocato che sia già munito di mandato difensivo conferito con le forme d’uso (nella specie, attributivo di “ogni più ampio potere di legge”), invero, così come può senz’altro rivolgere al Giudice adìto un’istanza istruttoria diretta all’acquisizione di documenti, allo stesso modo deve reputarsi abilitato a perseguire tale risultato presentando direttamente, nella propria qualità, un’istanza di accesso all’Amministrazione controparte del giudizio già pendente. Questo, naturalmente, sempre che si tratti dell’acquisizione di atti che siano obiettivamente connessi all’oggetto dell’impugnativa precedentemente proposta, condizione che peraltro nella fattispecie ricorre con evidenza.
Risulta quindi corretta la tesi di fondo dell’odierna appellante che nel caso concreto il suo legale, già officiato mediante un pieno mandato difensivo, non abbisognava di ulteriori mandati a supporto della richiesta di accesso da lui presentata per conto della società.
Tale soluzione tanto più si impone se si considera che un ulteriore mandato professionale non occorrerebbe neppure ai fini della proposizione dell’impugnazione mediante motivi aggiunti del provvedimento sopravvenuto che nella specie si tratterebbe di acquisire. Come la Sezione ha recentemente avuto già modo di puntualizzare (decisione n. 1219 del 28 febbraio 2013), infatti, “… benché si tratti di motivi aggiunti proposti avverso un provvedimento sopravvenuto, e non contro gli stessi atti gravati con il ricorso introduttivo, la relativa iniziativa impugnatoria non richiede(va) il rilascio di un nuovo ed apposito mandato difensivo. Come ha ricordato l’appellata, l’art. 24 C.P.A. stabilisce che la procura rilasciata per il ricorso sia valida anche per i motivi aggiunti: e questo senza che l’articolo contempli distinzioni a seconda che si profilino motivi aggiunti c.d. propri o impropri.”
a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione numero 4839  del 30 settembre  2013 pronunci

Sentenza integrale

N. 04839/2013REG.PROV.COLL.
N. 02006/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2006 del 2013, proposto da RICORRENTE. Costruzioni & Servizi S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv. Corrado De Simone, con domicilio eletto presso Roberta Carta in Roma, piazza Antonio Mancini 4;
contro
Comune di Terracina;
nei confronti di
Gedis Società Consortile a R.L.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – SEZ. STACCATA DI LATINA, SEZIONE I, n. 957/2012, resa tra le parti, concernente silenzio formatosi su istanza di accesso ad ordinanza di affidamento del servizio di pulizia dei locali comunali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella Camera di consiglio del giorno 30 luglio 2013 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la parte appellante l’avv. C. De Simone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
La RICORRENTE. Costruzioni e Servizi S.r.l., avendo preso parte alla procedura indetta dal Comune di Terracina con bando del dicembre del 2011 per l’affidamento del servizio di pulizia dei locali comunali per mesi 36, impugnava dinanzi al T.A.R. per il Lazio – Sezione di Latina l’esito di tale gara, conclusasi con la propria esclusione e l’aggiudicazione della commessa alla concorrente Ge.Di.S. S.r.l..
Nelle more del giudizio, il legale dell’Avvocatura dell’Amministrazione comunicava al difensore della società ricorrente, con nota del 17 luglio 2012, che con ordinanza contingibile ed urgente esso Comune aveva da ultimo affidato il servizio in questione all’aggiudicataria provvedendo ai sensi dell’articolo 50 del T.U.E.L.; nella stessa nota veniva soggiunto che il deposito in giudizio di tale nuovo provvedimento non sarebbe stato onere del Comune, “anche in considerazione del fatto che l’atto menzionato non è stato impugnato”.
Lo stesso giorno 17 luglio seguiva l’immediata richiesta di accesso al Comune da parte del medesimo professionista, che nella dichiarata qualità di difensore della società nell’ambito del predetto giudizio (ove anche il Comune era costituito) domandava di poter acquisire copia del provvedimento sopravvenuto.
Poiché, tuttavia, sulla richiesta l’Amministrazione era rimasta inerte, la RICORRENTE. Costruzioni e Servizi S.r.l. (di seguito, la CSF) proponeva ricorso contro il conseguente silenzio dinanzi allo stesso T.A.R., domandando l’annullamento del silenzio così formatosi, nonché l’accertamento del proprio diritto ad acquisire l’ordinanza sindacale dagli estremi ancora ignoti.
Il Comune di Terracina ometteva di costituirsi in giudizio.
All’esito di quest’ultimo il Tribunale adìto, con la sentenza n. 957/2012 in epigrafe, dichiarava inammissibile il ricorso per l’accesso, sul rilievo che la richiesta di ostensione era stata presentata dal difensore della società senza giustificare il proprio potere rappresentativo.
In particolare, il Giudice di prime cure osservava “ … che non essendo stata detta istanza di accesso sottoscritta dal legale rappresentante della RICORRENTE. Costruzioni e Servizi Srl e non essendo stati depositati, in allegato al ricorso, i “mandati in atti” ivi citati, deve nella vicenda farsi applicazione dell’orientamento per il quale, essendo stata la domanda “ … proposta da soggetto che non ha fornito giustificazione del proprio potere rappresentativo – come invece prescrive la normativa regolamentare vigente (si vedano gli articoli 5 e 6 del D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 da cui si desume che, allorché l’accesso è chiesto da un rappresentante, questi deve daregiustificazione del proprio potere) – cosicché il comune non aveva alcun obbligo di consentirgli l’accesso.” (T.a.r. Latina Lazio sez. I 13 novembre 2007, n. 1197; cfr anche T.a.r. Palermo Sicilia sez. III 25 settembre 2006, n. 1950, con riferimento al previgente articolo 4, comma 6, del d.P.R. 27 giugno 1992 n. 352) … ” (così la sentenza in epigrafe).
Da qui la proposizione avverso tale decisione del presente appello da parte della stessa CSF.
La società appellante muoveva alla pronuncia del primo Giudice la critica di fondo che il proprio legale, nel richiedere l’accesso, non avrebbe avuto bisogno di un ulteriore mandato, sufficiente allo scopo essendo quello già conferitogli per il giudizio impugnatorio nel quale l’ordinanza sopravvenuta si era innestata, sovrapponendosi al provvedimento ivi impugnato. Ciò in quanto l’istanza di accesso, per quanto proposta separatamente dal precedente ricorso, afferiva pur sempre al relativo giudizio.
L’appellante deduceva inoltre che la specifica qualità del professionista richiedente era ben nota al Comune.
Alla pubblica udienza del 30 luglio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è fondato.
1 E’ noto che il Regolamento in materia di accesso ai documenti (d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184), dopo avere confermato il principio di origine legislativa (art. 22, comma 1, legge n. 241/1990) per cui l’accesso compete a chiunque abbia un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto, stabilisce che il richiedente l’ostensione debba dimostrare la propria identità e, “ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato” (art. 5, comma 2, d.P.R. cit.): il che comporta la conseguenza che, se già in caso di semplici dubbi sull’effettività dei poteri rappresentativi del richiedente non potrà avere luogo l’accoglimento della richiesta di ostensione presentata in via informale, ove il richiedente risulti, invece, del tutto carente di legittimazione anche la sua richiesta di accesso formale dovrà essere disattesa (cfr. gli artt. 6, commi 1 e 3, d.P.R. cit.).
Per quanto precede, non vi è dubbio che anche le richieste di accesso presentate, per conto di un interessato, dal suo legale, debbano in via di principio soddisfare la regola -appena vista- della necessità di una dimostrazione dei poteri di rappresentanza vantati dal richiedente.
In coerenza con i relativi principi, la giurisprudenza di questa Sezione ha del resto già osservato da tempo (sentenza 5 settembre 2006, n. 5116) quanto segue.
“La domanda di accesso deve essere avanzata dalla parte che vi ha interesse; può anche essere presentata da un suo legale, ma, in tal caso, deve essere accompagnata – per asseverare l’effettiva provenienza della richiesta da parte di soggetto interessato – da copia di apposito mandato o incarico professionale ovvero da sottoscrizione congiunta dell’interessato stesso.
La sottoscrizione diretta sulla nota inviata dal legale o copia del mandato da parte del diretto interessato a favore di legale stesso integrano, infatti, elementi di certezza essenziali ai fini della imputabilità della richiesta e assunzione delle eventuali relative responsabilità (sia da parte del richiedente che del funzionario chiamato all’estensione di quanto richiesto), nonché ai fini della verifica di sussistenza di un concreto interesse alla richiesta medesima; in mancanza di che, come nella specie, deve escludersi che il silenzio serbato dall’Amministrazione possa essere configurato come illegittimo e che possa, quindi, essersi consolidato il diritto all’accesso” (così la sentenza n. 5116/2006 cit.; nello stesso senso è orientata anche la giurisprudenza di primo grado : v. ad es. T.A.R. Lazio, III, 2 luglio 2008, n. 6365; T.A.R. Toscana, I, 15 luglio 2009, n. 1282; T.A.R. Campania, Napoli, V, 9 marzo 2009, n. 1331).
2 L’impostazione appena delineata vale anche, in linea di principio, per l’ipotesi in cui l’interessato abbia già precedentemente rilasciato al proprio legale un mandato professionale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale.
In tal caso, tuttavia, non sussiste la necessità, per il legale che debba richiedere l’accesso ad un documento connesso al contenzioso per il quale è stato officiato, di munirsi di un ulteriore ed apposito mandato, sufficiente essendo quello già ottenuto.
L’avvocato che sia già munito di mandato difensivo conferito con le forme d’uso (nella specie, attributivo di “ogni più ampio potere di legge”), invero, così come può senz’altro rivolgere al Giudice adìto un’istanza istruttoria diretta all’acquisizione di documenti, allo stesso modo deve reputarsi abilitato a perseguire tale risultato presentando direttamente, nella propria qualità, un’istanza di accesso all’Amministrazione controparte del giudizio già pendente. Questo, naturalmente, sempre che si tratti dell’acquisizione di atti che siano obiettivamente connessi all’oggetto dell’impugnativa precedentemente proposta, condizione che peraltro nella fattispecie ricorre con evidenza.
Risulta quindi corretta la tesi di fondo dell’odierna appellante che nel caso concreto il suo legale, già officiato mediante un pieno mandato difensivo, non abbisognava di ulteriori mandati a supporto della richiesta di accesso da lui presentata per conto della società.
Tale soluzione tanto più si impone se si considera che un ulteriore mandato professionale non occorrerebbe neppure ai fini della proposizione dell’impugnazione mediante motivi aggiunti del provvedimento sopravvenuto che nella specie si tratterebbe di acquisire. Come la Sezione ha recentemente avuto già modo di puntualizzare (decisione n. 1219 del 28 febbraio 2013), infatti, “… benché si tratti di motivi aggiunti proposti avverso un provvedimento sopravvenuto, e non contro gli stessi atti gravati con il ricorso introduttivo, la relativa iniziativa impugnatoria non richiede(va) il rilascio di un nuovo ed apposito mandato difensivo. Come ha ricordato l’appellata, l’art. 24 C.P.A. stabilisce che la procura rilasciata per il ricorso sia valida anche per i motivi aggiunti: e questo senza che l’articolo contempli distinzioni a seconda che si profilino motivi aggiunti c.d. propri o impropri.”
3 Rimane da osservare che nel caso di specie il legale dell’appellante non poteva ritenersi tenuto, all’atto della propria domanda ostensiva, ad allegare una copia del mandato impugnatorio ricevuto, atteso che l’esistenza del suo titolo d’investitura era già ampiamente nota all’Amministrazione interessata. Come si è premesso, infatti, il difensore della società era stato reso edotto dell’avvento del provvedimento sopravvenuto proprio con una comunicazione che il legale dell’Avvocatura del Comune suo avversario in giudizio gli aveva indirizzato, nella sua specifica qualità professionale, nello stesso giorno della domanda di accesso.
Da qui la mancanza di giustificazione dell’inerzia successivamente tenuta dall’Ente.
4 Per le ragioni esposte l’appello va dunque accolto, e conseguentemente ordinata al Comune di Terracina l’ostensione del documento più volte citato.
Le spese processuali del doppio grado di giudizio sono liquidate secondo soccombenza dal seguente dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e, di conseguenza, ordina al Comune di Terracina di dare l’accesso al documento richiesto nel termine di gg. 10 dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione.
Condanna la suddetta Amministrazione al rimborso alla società appellante delle spese processuali del doppio grado di giudizio, che liquida nella complessiva misura di euro quattromila, oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 30 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
Carlo Schilardi, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

ata dal Consiglio di Stato

 

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