passaggio tratto dalla decisione numero 5200 del 28 ottobre 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
Sentenza integrale
N. 05200/2013REG.PROV.COLL.
N. 09335/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9335 del 2008, proposto da:
De Ricorrente Aniello, rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Lisi, con domicilio eletto presso Carolina Valensise in Roma, via Monte delle Gioie 13;
contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE – TORINO: SEZIONE I n. 03412/2007, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per mancata convocazione arruolamento corpo polizia penit.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 aprile 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Carolina Valensise su delega dell’avv. Pietro Lisi e l’Avvocato dello Stato Giovanni Palatiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al TAR del Piemonte, il sig. Aniello De Ricorrente esponeva di aver chiesto, in precedenza, arruolamento presso il Corpo di Polizia penitenziaria, ricevendo un diniego che, tuttavia, su suo ricorso al TAR Campania veniva annullato (sent. 28.1.1999).
A seguito dell’accoglimento del suddetto gravame, il Ministero convenuto convocava il ricorrente ai fini dell’eventuale arruolamento nel settembre 1999. Sostenute e superate le prove psico-attitudinali, l’istante, in data 10/2/2001, veniva avviato al corso di formazione.
Quindi il De Ricorrente, frequentato e superato il corso di addestramento, veniva assunto (in data 13/9/2001 con decorrenza dal 10/2/2001) a prestare in servizio a Torino, con la qualifica di Agente.
Col prefato ricorso al TAR Piemonte, il De Ricorrente, rilevando come l’illegittimo operato della P.A. si fosse tradotto nella preclusione di ottenere impiego e retribuzione correlata fin dal 1989, ha proposto domanda per ottenere il risarcimento del danno a suo avviso patito ad opera dell’Amministrazione.
Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo ha respinto le argomentazioni formulate dal ricorrente a sostegno dell’azione proposta.
L’interessato, pertanto, ha impugnato la sentenza del TAR, chiedendone la riforma e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.
Si è costituito nel giudizio il Ministero della Giustizia, resistendo al gravame e svolgendo, in successiva memoria (14.4.2013), le proprie controdeduzioni, che si intendono qui riportate.
Parte appellante ha riepilogato in memoria (in data 25.3.2013) le proprie tesi e, alla pubblica udienza del 16 aprile 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La controversia sottoposta alla Sezione verte sulla spettanza di un risarcimento del danno (per lucro cessante e danno emergente, da rapportare alle retribuzioni non percepite medio tempore, ovvero in subordine il danno da perdita di “chance”), a seguito del tardivo arruolamento (nel Corpo di Polizia penitenziaria), avvenuto solo alcuni anni dopo un iniziale mancata convocazione, e comunque a seguito del riconoscimento giurisdizionale della illegittimità della stessa.
Quanto alla “perdita di occasione”, il ricorrente ritiene “evidente la lesione del diritto soggettivo dello stesso ad essere promosso ad un grado superiore, atteso che la disciplina contenuta nella l. 15/12/1990, n. 395 espressamente garantisce l’avanzamento come effetto immediato e diretto di determinati presupposti di fatto quali il decorso del tempo”.
Il TAR ha ritenuto che il ricorrente non abbia fornito una prova esaustiva degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, così come indicati fin dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 500 del 1999, in particolare per la carenza dell’elemento soggettivo della colpa.
Questa non sarebbe nella fattispecie riscontrabile, poiché l’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo, all’origine della vicenda (che come è noto non costituisce automaticamente fonte di responsabilità civile), è nella specie derivato da errori non gravi nella interpretazione ed applicazione di disposizioni di legge, la cui opinabilità, in sostanza, non permetterebbe di configurare la responsabilità civile nei confronti del soggetto tardivamente assunto.
L’orientamento testé riassunto è contestato dall’appellante, che, muovendo dal ricordato schema aquiliano, ascrive il pregiudizio ricevuto alla condotta colposa dell’amministrazione ed allega le altre componenti dell’illecito (ingiustizia del danno e nesso di causalità). Sulla stessa linea, la difesa ministeriale ravvisa in sintesi l’assenza di ogni colpa dell’amministrazione nell’aver disposto l’esclusione del candidato sulla base della mera interpretazione letterale delle norme venute in rilievo.
L’appello, ad avviso del Collegio, è meritevole di accoglimento.
Al riguardo va premesso che la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sent.n.500/1999), in materia di risarcibilità degli interessi legittimi, ha da tempo individuato i presupposti per il risarcimento del danno da responsabilità per illecito aquiliano (art. 2043 cod.civ.), che sono così riassumibili:
– a) accertamento dell’evento dannoso;
– b) carattere “contra ius” del danno;
– c) riferibilità dell’evento ad una condotta dell’amministrazione;
– d) violazione di regole cui l’amministrazione è tenuta ad uniformarsi.
Premesso che, sulla base del semplice riepilogo dei fatti accaduti, non v’è dubbio che tutti i predetti elementi siano presenti nella fattispecie in esame, la controversia che occupa il Collegio si concentra sulla sussistenza della colpa nell’applicare due disposizioni che, come sancito nella sentenza del TAR Campania fondante la pretesa in esame (n.189/1999), regolavano sul punto l’arruolamento del sig. Ricorrente:
– l’art. 4 del Regolamento del Corpo degli Agenti di Custodia di cui al R.D. n. 2584/1937 (mantenuto in vigore dall’art. 29, comma 2, della legge n. 395/1990), dove si prevede testualmente che “gli agenti sono reclutati per arruolamento volontario tra gli aspiranti che abbiano i requisiti seguenti: “età non maggiore di 28 e non minore di 20 anni”; ai sensi di tale norma veniva respinta la domanda di arruolamento dell’interessato;
– l’art. 1 della legge 15.12.1990, n. 395/1990, posto dalla sentenza a base dell’accoglimento del ricorso, che dispone l’applicazione, in quanto compatibili, delle norme relative agli impiegati civili dello Stato anche agli agenti dì custodia. Tra i principi generali per l’accesso al pubblico impiego va, in effetti, annoverato quello per cui i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del bando concorsuale.
Sulla scorta peraltro di altro precedente in materia, ritiene la Sezione che nel caso in esame l’erroneità dell’applicazione normativa, accertata dal TAR nella precedente sentenza, presenti carattere di sufficiente gravità. Ciò in considerazione sia del carattere basilare e generalizzato del principio dell’ordinamento amministrativo per cui i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del bando concorsuale, sia del rilievo che l’applicabilità al reclutamento degli agenti di custodia delle disposizioni dettate per gli impiegati civili, è previsto del tutto espressamente dalla norma rinviante. Peraltro l’Amministrazione, oltre ad aver ignorato ben due elementi normativi, che da sempre presiedono il reclutamento pubblico, ha optato per una interpretazione restrittiva (ed escludendo il candidato Ricorrente) che avrebbe poi potuto sempre adottare al termine della procedura concorsuale, in sede approvativa delle sue risultanze, senza precludere “ab initio” e definitivamente la partecipazione dell’interessato alla selezione. L’interpretazione accolta dal TAR, invece, non convince poiché sostanzialmente nega la responsabilità aquiliana, non riconoscendo alcuna gravità in un’attività ermeneutica errata che tuttavia (per le ragioni sopra evidenziate) si presentava alquanto elementare, sia alla luce della esperienza amministrativa acquisita nella reiterazione delle procedure concorsuali precedenti, sia considerando che il quadro normativo in questione non presentava comunque caratteri di grande complessità, sia infine valutata la qualificazione professionale richiesta ai responsabili del procedimento. Al contrario, la tesi accolta dal primo giudice fonda espressamente e unicamente la esclusione di colpa sul fatto che l’amministrazione si è limitata all’applicazione letterale della norma, che è comportamento certamente ammissibile e scusabile, ma nel soggetto non chiamato ad un determinato livello di professionalità amministrativa. Ed invero la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l’esclusione di responsabilità, in caso di colpa lieve, è affermabile solo in presenza di problemi interpretativi di speciale difficoltà, e non può riferirsi alla mera attività di interpretazione di norme giuridiche (CGA, n.731/2008).
Al di fuori di tali ipotesi speciali, infine, è da considerare che l’esclusione della responsabilità preclude l’effetto ripristinatorio del giudicato di annullamento, vanificando ogni tutela dalla estromissione da quella procedura alla quale non è più possibile partecipare nonostante il suo annullamento.
Il conseguente riconoscimento dei danni comporta la precisazione di titoli ed importo. Deve anzitutto escludersi il lucro cessante (non risulta che dall’atto illegittimo sia derivata la perdita di un guadagno in atto) ed anche il danno emergente, poiché anche in caso di ammissione non era assolutamente certo il superamento delle prove; per la stessa ragione, risiedente nella mancata prestazione del servizio, il danno non può consistere nella corresponsione della retribuzione prevista.
Questi ultimi rilievi, tuttavia, non impediscono il riconoscimento della c.d. perdita di “chance”, dovendosi ammettere che ove avesse partecipato alle prove il candidato avrebbe avuto comunque probabilità di superarle (cfr. Cons. di Stato, sez. IV,n.2678/2008) e quindi di essere arruolato prima di quanto poi avvenuto solo in esecuzione della sentenza (sulla necessità di un adeguato grado di certezza a fondamento della domanda di risarcimento v., fra le altre, Cons. di Stato, sez. V, n.6797/n.2010).
Il danno in questione può essere riconosciuto equitativamente nella somma complessiva (inclusiva di accessori ed interessi moratori di 20.000,00 (ventimila/00) euro, tenuto conto del tempo trascorso dalla mancata convocazione al successivo arruolamento disposto in esecuzione della pronuncia del giudice amministrativo periferico.
– Conclusivamente l’appello deve essere accolto, nei termini sopra esposti.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e, per l’ulteriore effetto, condanna il Ministero della difesa al pagamento, in favore dell’appellante ed a titolo di risarcimento del danno, della somma complessiva come indicata in motivazione.
Condanna il Ministero della difesa al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida complessivamente in euro 3.000,00 (tremila,00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 aprile 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con l’intervento dei signori:
Paolo Numerico, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)