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Danno ingiusto ex art 2043 cc_ risarcibile anche interesse positivo ovvero perdita del guadagno

La violazione delle regole che presiedono alla corretta conduzione delle procedure ad evidenza pubblica viene ascritta allo schema astratto dell’illecito aquiliano, da valersi quale conclusione più plausibile e maggiormente coerente con le pregnanti esigenze di tutela postulate dall’ordinamento comunitario in tema di competizioni concorrenziali per l’accesso agli appalti pubblici.
Si deve conseguentemente ritenere risarcibile anche l’interesse positivo e, cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la perdita del guadagno (o della sua occasione) connesso all’esecuzione del contratto (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666).
L’accesso a quest’ultima opzione, condivisa dalla Sezione, implica la necessità di provvedere alla determinazione di criteri valutativi astratti e presuntivi della misura del pregiudizio risarcibile, nella configurazione sopra tratteggiata.
È innanzi tutto conclusione giurisprudenziale condivisibile quella secondo cui nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante, inteso come mancato profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto, non deve essere calcolato utilizzando il criterio forfetario di una percentuale del prezzo a base d’asta, ma sulla base dell’utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2009, n. 357).
La misura del 10% invocata, infatti, non è più considerata come parametro automatico dalla giurisprudenza in applicazione analogica del criterio del 10% del prezzo a base d’asta ai sensi dell’art. 345 della l. n. 2248/1865, All. F, (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 aprile 12, n. 2317).
Ciò sia perché tale criterio di liquidazione si richiama a disposizione in tema di lavori pubblici che riguarda un istituto specifico, quale l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’Amministrazione committente, sia perché, quando impiegato al mero fine risarcitorio residuale in una logica equitativa, può condurre all’abnorme risultato che il risarcimento dei danni finisca per essere, per l’imprenditore, più favorevole dell’impiego del capitale (il che comporterebbe la mancanza di interesse del ricorrente a provare in modo puntuale il danno subìto quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe).
Il richiamato criterio del 10% non può quindi essere oggetto di applicazione automatica ma è sempre necessaria la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria, anche ai sensi dell’art. 124 del c.p.a., che prevede, in assenza di dichiarazione di inefficacia del contratto, il risarcimento del danno per equivalente subìto, a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato “provato” (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2317/12 cit.).
Occorre, inoltre, distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamente escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fondi su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente venga operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta (come nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa).
Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento pari ad una percentuale dell’utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria, ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto.
Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una “chance” a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell’offerta presentata dall’impresa danneggiata.
La verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria in questione e la conseguente determinazione dell’entità del pregiudizio risarcibile devono essere, quindi, condotte in coerenza con i parametri valutativi sopra descritti.
Tanto premesso, nel caso di specie deve essere effettuata la verifica della spettanza dell’aggiudicazione al ricorrente, tenuto conto che la selezione del contraente era prevista in applicazione del criterio del massimo ribasso percentuale sull’importo dei lavori posti a base di gara al netto degli oneri di sicurezza.
La misura presunta del lucro cessante (commisurata percentualmente all’importo dell’utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria) può, ai fini della liquidazione di tale danno, essere stabilita mediante lo strumento previsto dall’art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della l. n. 205 del 2000, che, appunto, consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento della somma entro un congruo termine, prevedendo che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per la determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza.
Si dispone, pertanto, che l’IACP della Provincia di Lecce provveda a liquidare una somma a favore dell’ATI appellante a titolo di lucro cessante (mancato utile), secondo i criteri appresso indicati, entro il termine massimo di sessanta giorni dalla data di comunicazione, o, se anteriore, da quella di notifica, della presente decisione.
In particolare, il risarcimento del danno dovuto dovrà computarsi come segue:
Quanto al pregiudizio per la perdita di chance legata all’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, può nella specie procedersi in via equitativa alla liquidazione di tale voce del danno emergente nella misura del 2% del prezzo offerto dal Consorzio in sede di aggiudicazione.
Quanto al lucro cessante, vale a dire l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per illegittimità dell’azione amministrativa, la giurisprudenza riconosce la spettanza nella sua interezza dell’utile di impresa nella misura del 10% qualora l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre nel caso in cui tale dimostrazione non sia stata offerta – come nella specie è avvenuto – è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori (o servizi o forniture), così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via equitativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6666 del 2003 cit.; Sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5860; Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393).
In conclusione, considerato anche che la appellante principale non ha pienamente provato che l’aggiudicazione definitiva spettava sicuramente ad essa (Consiglio di Stato, Sezione VI, 15 ottobre 2012, n. 5279) e che, mentre la offerta, terza qualificata, dell’ATI Controinteressata 4 ing. Paolo s.r.l. è stata qualificata dall’Amministrazione come prima non anomala, identico riconoscimento non ha ottenuto l’ATI RICORRENTE Appalti s.r.l., il risarcimento in questione può essere riconosciuto in misura pari al 5% dell’utile che effettivamente essa avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria.
Sulle somme sopra liquidate, che riguardano tutte il risarcimento del danno e che consistono, perciò, in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione monetaria, secondo gli indici Istat, da computarsi dalla data della stipula del contratto da parte dell’impresa che è rimasta illegittimamente aggiudicataria e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta).
Sulle somme progressivamente e via via rivalutate, sono altresì dovuti gli interessi nella misura legale secondo il tasso vigente all’epoca della stipulazione del contratto, a decorrere dalla data della stipulazione medesima e fino a quella di deposito della presente decisione; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.
Su tutte le somme dovute ai sensi delle precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.
La condanna al risarcimento deve essere pronunciata esclusivamente nei confronti dell’Amministrazione soccombente, IACP della Provincia di Lecce, in considerazione del comportamento che ha dato causa all’illecito.
Quanto alla richiesta subordinata di cumulare l’azione di risarcimento danni in forma specifica con quello per equivalente osserva la Sezione che l’art. 245-quater del d. lgs. n. 163/2006, è stato inserito dall’articolo 11 del d.lgs. 20 marzo 2010, n.53 e sostituito dall’ articolo 3, comma 19 dell’Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, e così recita “Le sanzioni alternative applicate dal giudice amministrativo alternativamente o cumulativamente sono disciplinate dal codice del processo amministrativo”.
Il Collegio osserva che non è stata provata la sussistenza nel caso di specie delle condizioni di cui all’art. 245 bis, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 (sostituito dall’art. 121, comma 1, del c.p.a.), presupposto per l’applicabilità del successivo comma 4 e dell’art. 123, comma 1, del c.p.a..
Infatti dalla normativa in materia di contratti pubblici, si ricava che l’applicazione delle sanzioni di cui al comma 1 dell’art. 123 del c.p.a. si ha qualora il contratto sia stato stipulato nei casi previsti dall’art. 121, comma 1, del c.p.a..
La richiesta deve quindi essere respinta
a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla  decisione numero 3397 del 21 giugno 2013  pronunciata dal Consiglio di Stato

 

Sentenza integrale

 

N. 03397/2013REG.PROV.COLL.

N. 03969/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3969 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
RICORRENTE Appalti s.r.l. in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Caiano, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandro Trani in Roma, p.zza Dante, n. 12;

contro

Controinteressata S.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con CONTROINTERESSATA 2. s.r.l. e Controinteressata 3 Elevatori s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Flascassovitti, con domicilio eletto presso il sig. Marco Gardin, in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24;
Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Lecce, in persona del Presidente pro tempore, non costituito in giudizio;
Controinteressata 4 Ing. Paolo S.r.l., quale capogruppo mandataria della A.T.I. con Controinteressata 5 s.r.l. e CONTROINTERESSATA 6 s.r.l, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

del dispositivo di sentenza del T.A.R. Puglia – Sezione staccata di Lecce, Sezione n. III, n. 00801/2011, resa tra le parti, nonché della sentenza di detto T.A.R. n. 00887/2011, resa tra le parti, di reiezione del ricorso incidentale proposto dall’A.T.I. Controinteressata S.r.l. – CONTROINTERESSATA 2. S.r.l. – Controinteressata 3 Elevatori S.r.l., nonché del ricorso principale proposto dalla Ricorrente Appalti s.r.l., seconda in graduatoria (che aveva impugnato altresì l’ammissione alla gara della terza graduata), per l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva in favore di detta A.T.I. della procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria in Galatina – vie Vernaleone, Ugo Lisi e Tito Livio;

Inoltre per il risarcimento del danno, ex art. 34 del c.p.a e 35 del d. lgs. n. 80/1998, in forma specifica e per equivalente, con condanna al pagamento del lucro cessante, nonché del danno curriculare.

In subordine per il cumulo dell’azione di risarcimento danni in forma specifica con quello per equivalente, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 245 bis, ter e quater del d. lgs. n. 163/2006, e per la conseguente applicazione, ai sensi dell’art. 245 quater del d. lgs. n. 163/2006, come introdotto dall’art. 11 del d. lgs. n. 53/2010, delle sanzioni alternative ivi previste;

 

Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto dalla Controinteressata S.r.l., quale capogruppo mandataria della A.T.I. Atm S.r.l. e Controinteressata 3 Elevatori S.r.l.;

Visti i decreti cautelari 16 maggio 2011, n. 2125 e 1 giugno 2011, n. 2395;

Vista la propria ordinanza 18 luglio 2011 n. 3077;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Colagrande, per delega dell’Avvocato Caiano, e Vantaggiato, per delega dell’Avvocato Flascassovitti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

Con il ricorso in appello in esame la Ricorrente Appalti s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con RICORRENTE 2 A.M. S.r.l., ha chiesto l’annullamento o la riforma del dispositivo della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale sono stati respinti sia il ricorso incidentale proposto dall’A.T.I. Controinteressata S.r.l. – CONTROINTERESSATA 2. S.r.l. – Controinteressata 3 Elevatori S.r.l. che quello principale proposto da essa Ricorrente Appalti s.r.l. per l’annullamento:

– della determinazione dirigenziale n. 94 del 7 dicembre 2010, con la quale è stata disposta l’aggiudicazione definitiva della procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria in Galatina – vie Vernaleone, Ugo Lisi e Tito Livio in favore dell’A.T.I. Controinteressata s.r.l., nonché è stata dichiarata quale prima offerta non anomala quella presentata dall’A.T.I. Controinteressata 4 ing. Paolo s.r.l. – Controinteressata 5 s.r.l. – V.O.E.M. s.r.l.;

– del verbale di gara 22 aprile 2010, relativamente alla illegittima ammissione alla gara dell’A.T.I. Controinteressata s.r.l.;

– del verbale di gara 15 ottobre 2010, con il quale è stata ritenuta congrua l’offerta di ribasso presentata dall’A.T.I. Controinteressata s.r.l. nonché è stata effettuata la verifica di cui all’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006 sia nei confronti dell’A.T.I. aggiudicataria, sia nei confronti della società V.O.E.M. s.r.l. (mandante dell’A.T.I. Controinteressata 4 ing. Paolo s.r.l.);

– del verbale di gara del 18 ottobre 2010, nella parte in cui il Presidente di gara ha aggiudicato provvisoriamente la gara all’A.T.I. Controinteressata e dichiarato l’A.T.I. Controinteressata 4 ing. Paolo s.r.l. quale prima offerta non anomala;

– ove occorra, della nota prot. n. 11906 del 13 dicembre 2010, a firma del coordinatore del Servizio progettazione;

– di tutti i verbali di gara, ivi compresi tutti i verbali del sub-procedimento di verifica dell’anomalia nei confronti dell’A.T.I. aggiudicataria;

– dell’eventuale contratto di appalto eventualmente stipulato e di tutti gli atti esecutivi inerenti l’espletamento dei lavori;

– della nota n. 27, del 7 gennaio 2011, a firma del Coordinatore del Servizio Progettazione, con la quale è stata respinta la richiesta di revoca/annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva in favore dell’A.T.I. aggiudicataria.

Inoltre per l’aggiudicazione dell’appalto in favore della ricorrente quale seconda graduata nella gara de qua, ovvero per la declaratoria del suo diritto al subentro nel contratto ai sensi dell’art. 124 ss. c.p.a. per aver presentato il maggior ribasso; nonché per il riconoscimento in favore della ricorrente del risarcimento in forma specifica mediante l’aggiudicazione dei lavori, ovvero, in subordine, del risarcimento dei danni subiti e subendi in dipendenza dei provvedimenti impugnati.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Violazione di legge (art. 119, comma 5, del d. lgs. n. 104/2010). Error in judicando e procedendo. Nullità.

Il dispositivo è illegittimo ed inefficace perché è stato pubblicato 14 giorni dopo l’udienza pubblica, in violazione dell’epigrafato articolo che ne impone la pubblicazione non oltre sette giorni dalla decisione della causa.

2.- Sono stati riproposti i motivi di ricorso di primo grado di:

2.1.- Violazione di legge (art. 38, comma 1, lett. b), c), del d. lgs. n. 163/2006). Violazione della “lex specialis” di gara e del disciplinare, richiamato dal punto 9.3. del bando. Eccesso di potere (sviamento, difetto del presupposto, arbitrarietà, illogicità, ingiustizia manifesta, perplessità, travisamento e difetto di istruttoria). Violazione del principio comunitario di par condicio, violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa.

L’A.T.I aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa per non avere le società costituenti reso le dichiarazioni dei direttori tecnici circa la insussistenza di cause di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. b), c), del d. lgs. n. 163/2006.

2.2.- Violazione di legge (art. 38 del d. lgs. n. 163/2006). Violazione della “lex specialis” di gara e del punto G) del modello A. Eccesso di potere (sviamento, difetto del presupposto, arbitrarietà, illogicità, ingiustizia manifesta, perplessità, travisamento e difetto di istruttoria). Violazione del principio comunitario di par condicio, violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa.

La capogruppo dell’A.T.I aggiudicataria non ha indicato la sostituzione di un liquidatore, che non ha presentato la dichiarazione circa la insussistenza delle cause di esclusione ex art. 38 del d. lgs,. n. 163/2006; la mandante CONTROINTERESSATA 2. s.r.l. avrebbe dovuto presentare istanza di verifica triennale dell’attestato S.O.A. entro 60 giorni prima della scadenza.

2.3.- Violazione di legge (artt. 1 e 3 del d.P.R. n. 34/2000 in relazione al seguente art. 26). Violazione della “lex specialis” di gara (punto 13 del bando). Eccesso di potere (sviamento, difetto del presupposto, arbitrarietà, illogicità, ingiustizia manifesta, perplessità, travisamento e difetto di istruttoria). Violazione del principio comunitario di par condicio, violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa.

Nessuna delle imprese partecipanti all’A.T.I. aggiudicataria hanno esibito o prodotto l’attestazione S.O.A. per le categorie dei lavori di cui all’appalto.

2.4.- Violazione di legge (d.P.R. n. 34/2000 e art. 48 del d. lgs. n. 163/2006). Violazione della lex specialis di gara e del disciplinare, richiamato dal punto 9.3. del bando. Eccesso di potere (sviamento, difetto del presupposto, arbitrarietà, illogicità, ingiustizia manifesta, perplessità, travisamento e difetto di istruttoria). Violazione del principio comunitario di par condicio, violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa.

E’ stata effettuata una falsa e distorta applicazione dell’art. 48 del d. lgs. n. 163/2006.

Con decreto 16 maggio 2011, n. 2125 è stata respinta la richiesta di adozione di misure cautelari provvisorie.

Con motivi aggiunti notificati il 27.5.2011 e depositati il 31.5.2011 la appellante ha chiesto la riforma della sentenza n. 877/2011, nelle more pubblicata, nella parte in cui ha respinto il ricorso principale, deducendo i seguenti motivi:

1.- Error in judicando e procedendo. Violazione di legge (d.P.R. n. 34/2000). Violazione del bando di gara (punto 13). Erronea presupposizione di fatto e di diritto.

Il T.A.R., con riguardo alla censura di possesso da parte della mandante ATM s.r.l. di un attestato SOA scadente il 21.12.2010 e di mancata verifica da parte della stazione appaltante della intervenuta presentazione dell’istanza di cui all’art. 15 bis nel termine di sessanta giorni anteriore alla scadenza (il 21.10.2010), ha affermato che, in virtù della norma transitoria di cui all’art. 357 del d.P.R. n. 207/2010, doveva ritenersi intervenuta la proroga della scadenza all’8.6.2011, di sua entrata in vigore, e che comunque in data 3.12.2010 era stata presentata la domanda di verifica triennale, con la conseguenza che solo ad un esito negativo della stessa potevano connettersi effetti solutori decadenziali.

Il primo Giudice, pur ammettendo che detta istanza di verifica non era stata presentata in termini, ha ritenuto sufficiente la presentazione della stessa in data 3.12.2010, facendo impropriamente leva sull’esito positivo della verifica, senza considerare che non è stata garantita l’efficacia dell’attestato SOA senza soluzione di continuità e andando di contrario avviso all’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato al riguardo.

Quanto al richiamo all’art. 357 del d.P.R. n. 207/2010, non è stato considerato che esso è stato pubblicato il 10.12.2010, mentre per i capi relativi all’attestato SOA è entrato in vigore il 25.10.2010, con la conseguenza della sua inapplicabilità alla fattispecie in esame, atteso che la verifica triennale di detto attestato scadeva il 21.12.2010, prima della entrata in vigore del regolamento (con applicabilità della disciplina di cui al d.P.R. n. 34/2000, che richiedeva la verifica triennale nel termine di 60 giorni prima della scadenza).

L’ATI controinteressata avrebbe dunque dovuto essere esclusa per difetto del requisito essenziale e soggettivo della qualificazione SOA.

2.- Error in judicando ed in procedendo. Violazione di legge (d.P.R. n. 34/2000). Violazione del bando di gara (punto 13). Erronea presupposizione di fatto e di diritto. Omessa pronuncia (art. 361 n. 3 del c.p.c.).

In ordine alle censure che nessuna delle tre imprese costituenti l’ATI aggiudicataria aveva esibito l’attestazione SOA per le categorie dei lavori di cui all’appalto (limitandosi ad una generica dichiarazione di possesso di essa) e che l’art. 48, comma 2, del d. lgs. n. 163/2006 era stato erroneamente applicato per sanare gravi omissioni dell’ATM aggiudicataria e non per la verifica a campione dei requisiti dichiarati, il T.A.R. ha asserito che le attestazioni SOA hanno carattere vincolato e rilievo pubblicistico, con possibilità di produrre le relative certificazioni mediante autocertificazione.

Ma l’allegazione dell’attestato SOA costituisce requisito volto a comprovare il possesso di requisiti di ordine generale, la cui carenza comporta la esclusione e la impossibilità del ricorso all’art. 46 del d.lgs. n. 163/2006.

L’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006 è stato quindi surrettiziamente applicato per sanare dette omissioni dell’ATI aggiudicataria ed il T.A.R. ha erroneamente avallato tale comportamento consentendo la regolarizzazione non di carenze formali o inerenti ad errori materiali, ma della mancata produzione di documentazione prescritta dal bando di gara a pena di esclusione.

3.- Error in judicando ed in procedendo. Violazione della “lex specialis” di gara e del punto G del modello A. Omessa pronuncia (art. 361, n. 3, del c.p.c.).

Il T.A.R. ha respinto la censura di mancata dichiarazione da parte della mandataria Controinteressata s.r.l. della cessazione dalla carica nel triennio antecedente la gara del liquidatore, sig. Roberto Fatano (dell’Esposito Costruzioni, impresa cedente un ramo d’azienda), nell’erroneo assunto che la omissione non rileva in mancanza di una espressa disposizione che imponga detta dichiarazione.

4.- Error in judicando e procedendo. Violazione dell’art. 395, comma 4, del c.p.c.. Erronea presupposizione di fatto e diritto.

Il T.A.R. ha respinto la censura di omessa dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, lett. b) e c) del d. lgs. n. 163/2006, prescritta a pena di esclusione dal disciplinare di gara, in capo ai direttori tecnici, nell’assunto che tali dichiarazioni erano regolarmente allegate alle domande di partecipazione alla gara presentate dalla mandataria e dalle mandanti dell’aggiudicataria.

Ma detta documentazione non era stata reperita in sede di accesso agli atti e sono stati prospettati cinque indizi assuntamente forti, precisi e concordanti nel senso della inesistenza in atti di detta documentazione.

5.- Violazione dell’art. 2043 del c.c.. Riconoscimento del risarcimento danni in forma specifica e, in via subordinata, del riconoscimento del risarcimento in forma equivalente ex art. 34 del c.p.a e 35 del d. lgs. n. 80/1998.

Spetta il risarcimento del danno derivante dalla conclusione della procedura di gara con la illegittima aggiudicazione in favore della contro interessata, che è indice presuntivo della colpa della stazione appaltante, che ha prodotto una lesione all’interesse legittimo dell’appellante.

Con decreto 1 giugno 2011, n. 2395 è stata respinta la richiesta di adozione misure cautelari provvisorie.

Con memoria di costituzione e ricorso incidentale, notificato alle controparti e poi depositato l’1.6.2011, la Controinteressata s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con CONTROINTERESSATA 2. S.r.l. e Controinteressata 3 Elevatori s.r.l., ha dedotto la infondatezza dell’appello della RICORRENTE Appalti s.r.l. ed ha a sua volta proposto appello incidentale contro la parte del dispositivo che ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale da essa proposto in primo grado, deducendo i seguenti motivi:

1.- Violazione del d.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34, dell’articolo 40 del d.lgs n. 163 del 2006, dell’articolo 13 del Bando e dell’articolo 8 del Disciplinare di gara. Carenza dei presupposti e difetto di istruttoria.

L’A.T.I. RICORRENTE Appalti s.r.l. avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per carenza del requisito soggettivo previsto dall’art. 40 del d. lgs. n. 163/2006, dal d.P.R. n. 3/2000 e dall’art. 13 del bando, in quanto l’attestazione SOA per la categoria OS4-Impianti elettromeccanici della società RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., mandataria della costituenda ATI con RICORRENTE Appalti s.r.l., non era in corso di validità né all’atto della presentazione della domanda di partecipazione, né alla data di scadenza del termine per la presentazione di detta domanda.

2. – Violazione del d.P.R. n. 34/2000 e dell’art. 5 del disciplinare di gara. Carenza dei presupposti e difetto di istruttoria.

L’A.T.I. ricorrente doveva essere esclusa dalla procedura di gara in quanto era privo di data e sottoscrizione il modello GAP, redatto dalla RICORRENTE 2 A.M. s.r.l..

Con memoria depositata il 24.6.2011 la Controinteressata s.r.l. ha dedotto la infondatezza dei motivi di appello principale, chiedendo la reiezione dello stesso e l’accoglimento del proprio appello incidentale.

Con atto notificato e poi depositato il 28.6.2011 la Controinteressata s.r.l. ha proposto motivi aggiunti all’appello incidentale, a seguito della pubblicazione della sentenza de qua, sostanzialmente reiterando i motivi di appello incidentale in precedenza proposti.

In particolare, quanto al primo motivo, ha aggiunto che è erronea la tesi del T.A.R. che fosse sufficiente la produzione di dichiarazione della Pegaso SOA, cui era stata inoltrata richiesta tre mesi prima della scadenza del 14.4.2010, attestante che, a seguito di contratto del 19.2.2010, era in corso la valutazione della sussistenza dei requisiti per il rilascio della SOA per la categoria OS4, classifica 5.

Quanto al secondo motivo ha affermato che il primo Giudice ha errato nel ritenere non determinante per l’esclusione della impresa la mancata sottoscrizione del modello GAP.

Con ordinanza 18 luglio 2011 n. 3077 la Sezione ha respinto la richiesta di sospensione della esecutività della sentenza impugnata.

Con note difensive depositate l’8.7.2011 e poi il 18.12.2012 la parte appellante principale ha dedotto la infondatezza di entrambi i motivi di appello incidentale, concludendo per la sua reiezione e per l’accoglimento dell’appello principale.

Alla pubblica udienza del 22.1.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla domanda, formulata dalla RICORRENTE Appalti s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con la RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., di riforma del dispositivo di sentenza del T.A.R. Puglia – Sezione staccata di Lecce, Sezione n. III, n. 00801/2011, resa tra le parti, nonché della sentenza di detto T.A.R. n. 00887/2011, di reiezione del ricorso incidentale proposto dall’A.T.I. Controinteressata S.r.l. – CONTROINTERESSATA 2. S.r.l. – Controinteressata 3 Elevatori s.r.l., nonché del ricorso principale proposto da detta Ricorrente Appalti s.r.l., seconda in graduatoria (che aveva impugnato altresì l’ammissione alla gara della terza graduata, la cui offerta era stata dichiarata la prima non anomala), per l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva in favore di detta A.T.I. della procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria in Galatina alle vie Vernaleone, Ugo Lisi e Tito Livio.

2.- Innanzi tutto la Sezione, quanto alla impugnazione del dispositivo da parte della appellante principale e di quella incidentale, osserva che con l’atto di appello principale ne è stata chiesta la sospensione della efficacia (in attesa della pubblicazione della sentenza integrale e completa delle motivazioni, con riserva dei motivi, ex art. 120, comma 11, del c.p.a., e ne è stata innanzi tutto eccepita la illegittimità e la inefficacia perché è stato pubblicato 14 giorni dopo l’udienza pubblica, in violazione dell’epigrafato articolo che impone la pubblicazione del dispositivo della sentenza non oltre sette giorni dalla decisione della causa; in secondo luogo sono stati riproposti i motivi di ricorso di primo grado, insistendo per il loro accoglimento. Con il ricorso in appello incidentale sono stati chiesti l’annullamento della parte del dispositivo con cui è stato “dichiarato inammissibile” (recte: respinto) il ricorso incidentale di primo grado e la reiezione dell’istanza di sospensiva di detto dispositivo e dell’appello principale con cui è stata formulata.

2.1.- Va considerato in proposito che l’appello proposto avverso il solo dispositivo di sentenza -che, già disciplinato dal secondo periodo del comma 7 dell’art. 23 bis della legge n. 1034/1971 ed oggi dal primo periodo del comma 6 dell’art. 119 c.p.a., assume, sulla base della stessa lettera della disposizione ed ex art. 120, comma 11, del c.p.a., una funzione essenzialmente cautelare, concernente la sola esecutività della statuizione del Giudice di primo grado, sì che esso esaurisce i propri effetti all’interno della fase cautelare (Consiglio di Stato, Sezione V, 23 gennaio 2000, n. 327; Sezione IV, 7 luglio 2000, n. 3842; Sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6523).

In merito allo stesso, che nel caso di specie è stato ritualmente seguito dai motivi aggiunti dopo la pubblicazione della sentenza, deve ritenersi quindi sopraggiunta carenza di interesse, anche perché con detta sentenza sono stati respinti tutti i motivi di primo grado riproposti all’atto della impugnazione del dispositivo e le relative motivazioni sono state tutte contestate con i motivi aggiunti all’appello principale e con quello incidentale.

3.- Premette ulteriormente il Collegio che l’ordine di esame delle questioni dipende dal loro oggettivo contenuto, per cui, qualora il ricorso incidentale, anche in appello, (nella sua equivalenza quanto alla riproposizione della tipologia di contestazioni incrociate svolte in prime cure), abbia la finalità di contestare la legittimazione al ricorso principale, il suo esame assume carattere necessariamente pregiudiziale. In altri termini, il ricorso incidentale, ove diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente (Consiglio di Stato, sez. V, 28 dicembre 2011, n. 6947).

4.- Vanno quindi esaminati con priorità i motivi posti a base dell’appello incidentale contro la sentenza di primo grado.

4.1.- Con il primo di essi è stato dedotto che l’A.T.I. RICORRENTE Appalti s.r.l. avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per carenza del requisito soggettivo previsto dall’art. 40 del d. lgs. n. 163/2006, dal d.P.R. n. 3/2000 e dall’art. 13 del bando, in quanto l’attestazione SOA per la categoria OS4-Impianti elettromeccanici della società Ricorrente 2.A.M. s.r.l., mandataria della costituenda ATI con la RICORRENTE Appalti s.r.l., non era in corso di validità né all’atto della presentazione della domanda di partecipazione (il 15.4.2010), né alla data di scadenza del termine per la presentazione di detta domanda (il 21.4.2010) perché scaduta il 14 aprile 2010.

Inapplicabile sarebbe stata alla fattispecie la giurisprudenza richiamata dal T.A.R., perché relativa alla scadenza del termine triennale di attestazione SOA anteriormente alla presentazione delle offerte, per la quale la formale attestazione aggiornata era stata rilasciata solo dopo la positiva verifica, effettuata prima della presentazione della offerta.

Con motivi aggiunti è stato ulteriormente dedotto che sarebbe erronea la tesi del T.A.R. che fosse sufficiente la produzione di dichiarazione della Pegaso SOA, cui era stata inoltrata richiesta tre mesi prima della scadenza del 14.4.2010, attestante che, a seguito di contratto del 19.2.2010, era in corso la valutazione della sussistenza dei requisiti ai fini del rilascio della SOA per la categoria OS4, classifica 5.

Essa dichiarazione sarebbe stata sufficiente se avesse riguardato la scadenza triennale dell’attestazione in questione, mentre nel caso di specie era già scaduto il periodo di validità quinquennale della stessa.

4.1.1.- Osserva in proposito la Sezione che è pacifico che la RICORRENTE 2 A.M. s.r.l. ha prodotto in allegato all’offerta una dichiarazione della Pegaso SOA attestante che, a seguito di contratto di adesione sottoscritto il 19 febbraio 2010, prot. n. 329, essa aveva in corso la valutazione della sussistenza dei requisiti economici, finanziari e tecnico-organizzativi ai fini del rilascio dell’attestazione ex d.P.R. n. 34/2000 per la categoria OS4 classifica V; inoltre che era all’epoca in possesso dell’attestato SOA per detta categoria, rilasciato il 17.5.2010 con scadenza al 16.5.2015.

Tanto comporta la infondatezza della censura, a prescindere dalla sua ammissibilità (negata dalla appellante principale con memoria depositata il 18.12.2012).

L’art. 15, comma 5, del d.P.R. n. 34/2000 stabilisce che “La durata dell’efficacia dell’attestazione è pari a cinque anni con verifica triennale del mantenimento dei requisiti di ordine generale, nonché dei requisiti di capacità strutturale di cui all’articolo 15-bis. ….. Almeno tre mesi prima della scadenza del termine, l’impresa che intende conseguire il rinnovo dell’attestazione deve stipulare un nuovo contratto con la medesima SOA o con un’altra autorizzata”.

Secondo il Consiglio di Stato, A.P. n. 27/2012, nella vigenza della normativa di cui al d.P.R. n. 34 del 2000, come modificata con il d.P.R. n. 93 del 2004, è corretta la interpretazione dell’art. 15 bis di detto d.P.R. nel senso che le imprese che abbiano richiesto la verifica entro il termine possono partecipare alle gare esibendo alla stazione appaltante anche soltanto la domanda di richiesta della verifica, e perciò, in pendenza della stessa, restano in gara in caso di verifica positiva, anche se compiuta dopo il triennio, “cioè è come a dire che, in tale caso, ai fini della validità della domanda di partecipazione alla gara, la scadenza del triennio o del quinquennio, si ha come non avvenuta” (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3878; 8 settembre 2010, n. 6506). E’ stato altresì ritenuto che l’impresa possa sottoporsi alla verifica anche dopo la scadenza del termine, ma in tal caso, qualora la verifica sia effettuata dopo la scadenza del triennio di validità dell’attestazione, essa non può partecipare alle gare nel periodo decorrente dalla data di scadenza del triennio alla data di effettuazione positiva della verifica.

Non vi è infatti ragione di penalizzare l’impresa che pure ha adempiuto all’onere di provvedere alla presentazione in termini della domanda di verifica: l’impresa verrebbe così esclusa pur in mancanza del dichiarato esito negativo della verifica, in contrasto con il principio del favore verso la più ampia partecipazione alle gare.

Queste conclusioni appaiono, secondo detta sentenza della A.P. del Consiglio di Stato avvalorate dalla normativa vigente posta con il d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207.

Identiche argomentazioni, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, possono essere effettuate, secondo il Collegio, anche con riguardo alla scadenza quinquennale di cui all’art. 15, comma 5, del ridetto d.P.R..

Pertanto ove l’impresa richieda, nei termini di cui sopra, la verifica quinquennale, non vi è soluzione di continuità nella propria qualificazione, per cui essa può, nelle more, partecipare alle pubbliche gare.

Invero la valenza costitutiva della certificazione rilasciata da una SOA va correlata con lo scopo che la funzione di certificazione persegue, cioè l’attestazione che l’impresa possiede determinati requisiti soggettivi per eseguire opere pubbliche di un certo importo e che li mantiene nel corso di validità del periodo di vigenza della relativa certificazione. Pertanto, il rinnovo, così come la verifica, di una SOA hanno effetti solutori della validità della stessa solo nel caso in cui venga accertata la perdita dei requisiti di qualificazione posseduti dall’impresa al momento del rilascio della prima attestazione; ciò vale anche per il periodo intertemporale tra due certificazioni SOA: il rilascio di un nuovo attestato SOA, in fatto, certifica non solo la sussistenza dei requisiti di capacità da un data ad un’altra, ma anche che l’impresa non solo non ha mai perso quei requisiti in passato già valutati e certificati positivamente ma che, indubitabilmente, li ha mantenuti anche nel periodo di rilascio della nuova certificazione.

Va soggiunto che l’interesse pubblico ad evitare l’affidamento in favore di imprese che non diano adeguate garanzie di affidabilità è perseguito, in modo più equilibrato e pienamente efficiente, nel rispetto del “favor partecipationis” piuttosto che con la drastica esclusione di imprese che abbiano in corso una procedura tempestivamente attivata, con la subordinazione dell’eventuale aggiudicazione all’esito positivo della verifica.

Infine, la caratterizzazione retroattiva della verifica tempestivamente richiesta consente di ritenere la procedura adeguata al principio generale che impone il possesso dei requisiti di ammissione a partire dall’atto della presentazione delle domande di partecipazione.

Pertanto detta RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., che aveva esibito alla stazione appaltante, insieme con la domanda di partecipazione alla gara, quella proposta in termini per il rinnovo quinquennale, poteva legittimamente concorrere nella procedura di affidamento de qua.

4.2. – Con il secondo motivo di appello incidentale è stato dedotto che l’A.T.I. ricorrente principale di primo grado avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura di gara in quanto sarebbe stato privo di data e sottoscrizione il modello G.A.P., da compilare ex art. 2 della l. n. 726/1982 e l. n. 410/1991, redatto dalla RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., pur stabilendo espressamente il disciplinare, al punto 5), che nella busta A contenente la documentazione doveva essere inserito, a pena di esclusione, detto modello compilato in ogni sua parte, datato e sottoscritto.

Con motivi aggiunti è stato affermato che il primo Giudice ha errato nel ritenere non determinante per l’esclusione di detta impresa la mancata sottoscrizione del citato modello in base ad una interpretazione, coerente con i principi normativi e giurisprudenziali, dell’art. 5 del disciplinare; infatti, in base alla normativa antimafia e a detto articolo del disciplinare, la busta A della documentazione di gara doveva necessariamente contenere a pena di esclusione detto modello compilato in ogni sua parte, datato e sottoscritto.

4.2.1.- Va osservato in proposito che il T.A.R. ha ritenuto, in base ad una interpretazione coerente con i principi normativi e giurisprudenziali dell’articolo 5 del Disciplinare, che la mancata sottoscrizione del modello G.A.P. non fosse determinante per l’esclusione dell’impresa dalla gara, perché (posto che la sottoscrizione di un documento è lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nello stesso, consentendo così di risalire alla paternità dell’atto e di renderlo vincolante verso i terzi destinatari di quella manifestazione) nel caso di specie la compilazione e l’imputabilità alla parte delle dichiarazioni rese era desumibile dall’inclusione dell’atto nella documentazione, con allegazione di copia del documento di identità e del codice fiscale, il che comportava, stante la impossibilità di una interpretazione meramente formalistica della “lex specialis”, la salvaguardia del sotteso interesse dell’Amministrazione.

Rileva la Sezione che il disciplinare prevedeva che il plico contenente l’offerta e la documentazione, pena l’esclusione dalla gara, dovesse contenere “quanto segue: A) A) BUSTA A – Detta busta, pena l’esclusione, deve essere sigillata con ceralacca e controfirmata sui lembi di chiusura, deve recare l’intestazione del mittente e la dicitura “A – Documentazione” e deve contenere”, tra l’altro, “5) MOD GAP compilato in ogni sua parte, datato e sottoscritto”.

Secondo l’appellante principale, la richiesta di sottoscrizione non era richiesta, in base al tenore di dette disposizioni, a pena di esclusione, e il modello G.A.P. non recava alcuna indicazione circa la obbligatorietà della sottoscrizione, essendo in esso previste solo voci “asteriscate” da compilare obbligatoriamente.

Innanzi tutto, secondo il Collegio, la dicitura riportata dal disciplinare era comunque di dubbia interpretazione, non essendo espressamente comminata la esclusione per la mancata sottoscrizione del modello, e, per il principio del “favor partecipationis”, poteva ben essere interpretata nel senso che solo la mancata inclusione nel plico del modello fosse sanzionabile con la esclusione.

Inoltre va rilevato che il modello G.A.P. è stato istituito dalla l. n. 726/1982 al fine di consentire all’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa di avere immediato accesso a notizie di carattere organizzativo, finanziario e tecnico delle imprese partecipanti a gare pubbliche; in particolare, l’art. 1, comma 5, del d.l. n. 629/1982, convertito in l. n. 726/1982, dispone che “a richiesta dell’Alto commissario, le imprese, sia individuali che costituite in forma di società aggiudicatarie o partecipanti a gare pubbliche di appalto o a trattativa privata, sono tenute a fornire allo stesso notizie di carattere organizzativo, finanziario e tecnico sulla propria attività, nonché ogni indicazione ritenuta utile ad individuare gli effettivi titolari dell’impresa ovvero delle azioni o delle quote sociali”.

Pertanto l’obbligo di presentare detto modello sin dalla fase del concorso risponde ad una esigenza non formale ma sostanziale: consentire all’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro delinquenza mafiosa di avere accesso a notizie riguardanti le imprese che partecipano alle pubbliche gare, posto che anche la sola partecipazione può costituire utile dato per rilevare la ingerenza della criminalità organizzata nei rapporti economici con l’amministrazione pubblica.

La giurisprudenza amministrativa (C.Si., 11 maggio 2009 n. 400) ha condivisibilmente affermato al riguardo che la giurisprudenza si è allo stato consolidata nell’affermare che il modello va debitamente compilato, al fine di consentire agli organi preposti un immediato “screening” delle qualità soggettive delle imprese partecipanti, in chiave antimafia, e pertanto la firma di esso non è necessaria, sia perché non richiesta dalla grafica di detto modello (né è indispensabile, essendo volta la sua compilazione all’immediato riscontro dei dati dell’impresa) e risultando comunque surrogata da quella apposta in calce alla domanda di partecipazione da ogni partecipante; altrettanto è a dirsi in ordine alla data, tale essendo quella di presentazione della domanda. Con detta decisione è stato aggiunto che tutte le altre indicazioni sono necessarie, se e in quanto risultino tali dalla predisposizione del modello (che evidenzia con un asterisco le parti soggette a compilazione obbligatoria), del tutto a prescindere dal fatto che il dato omesso possa meno ricavarsi “aliunde” dalla documentazione prodotta in gara.

In definitiva la sottoscrizione del modello G.A.P., completo in ogni sua parte, non appare elemento essenziale e ciò sulla considerazione che nel fac-simile predisposto dal Ministero non è previsto alcun campo per la firma e che comunque lo stesso risponde all’interesse dell’Amministrazione di acquisire i dati idonei ad accertare che i concorrenti non abbiano precedenti in materia di criminalità organizzata, ed essendo desumibile dall’inclusione del documento, ovviamente completo in ogni sua parte, nella documentazione di gara.

Aggiungasi che dette carenze ben avrebbero potuto essere oggetto di una richiesta di integrazione della documentazione, apparendo sproporzionata e non rispondente agli specifici interessi pubblici perseguiti attraverso una corretta conduzione della gara la sanzione dell’esclusione dalla partecipazione alla gara in presenza di mere irregolarità suscettibili di essere sanate.

4.3.- L’appello incidentale deve quindi essere respinto.

5.- Può essere quindi esaminato, per motivi di economia processuale, il terzo dei motivi aggiunti all’appello principale, che, in quanto fondato, comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi di gravame.

5.1.- Il T.A.R. ha respinto la censura di mancata dichiarazione da parte della mandataria Controinteressata della cessazione dalla carica, nel triennio antecedente la gara, del liquidatore (sig. Roberto Fatano, dell’Esposito Costruzioni, impresa cedente un ramo d’azienda), nell’assunto che la omissione non rilevava in mancanza di una espressa disposizione che imponesse detta dichiarazione.

Ma, secondo l’appellante, non è stato tenuto conto che, pur essendo imposta, a pena di esclusione, detta dichiarazione dalla lettera g) del modello A utilizzato dalla contro interessata, l’A.T.I. aggiudicataria non risulta aver dichiarato la insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163/2006 da parte del suddetto liquidatore, a nulla valendo il richiamo al principio del c.d. falso innocuo, applicabile, peraltro, solo nelle ipotesi in cui la “lex specialis” di gara non abbia previsto la comminatoria di esclusione.

5.1.1.- Al riguardo la Controinteressata s.r.l. ha asserito che le clausole di esclusione poste dal bando sono di stretta interpretazione e, in assenza di obbligo normativo di specifica dichiarazione in ordine ai requisiti soggettivi anche da parte della cedente, non è consentita la interpretazione analogica degli artt. 51 e 49 del d. lgs. n. 163/2006, con impossibilità di esclusione della impresa cessionaria del ramo di azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione del cedente (anche perché la omissione sarebbe comunque irrilevante perché relativa ad un falso innocuo, essendo stato provato che il sig. Fatano non aveva alcun precedente penalmente rilevante).

5.1.2.- Osserva la Sezione che il Consiglio di Stato, con la A.P. n. 10/2012 ha stabilito che sussiste in capo al cessionario di azienda l’onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all’art. 38, comma 2, lett. c ), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la cedente nell’ultimo triennio anteriore alla data di indizione del bando, salva la possibilità per il cessionario di comprovare l’esistenza, nel caso concreto, di una completa cesura tra vecchia e nuova gestione, tale da escludere la rilevanza della condotta dei precedenti amministratori e direttori tecnici operanti nell’ultimo triennio presso il complesso aziendale ceduto; ciò con l’ulteriore precisazione – tenuto anche conto della non univocità delle norme circa l’onere del cessionario – che in caso di mancata presentazione della dichiarazione, e sempre che il bando non contenga al riguardo una espressa comminatoria di esclusione, quest’ultima potrà essere disposta soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito in questione.

Va quindi ritenuto che, come dedotto dalla appellante, nel caso di specie, pur essendo detta dichiarazione prevista dalla lettera g) del modello A utilizzato dalla contro interessata, l’A.T.I. aggiudicataria, cancellando la voce all’uopo predisposta, recante la indicazione delle generalità dei soggetti cessati dalle cariche in questione, non ha dichiarato la insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163/2006 con riguardo al suddetto liquidatore, sicché avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara a causa della omissione sopra evidenziata, atteso che il disciplinare di gara prevedeva, a pena di esclusione, che la busta A dovesse contenere, tra l’altro, le dichiarazioni sostitutive secondo quanto stabilito dall’art. 49 del d. lgs, n. 163/2006.

Aggiungasi che il c.d. falso innocuo è istituto insussistente nelle gare pubbliche indette per l’aggiudicazione di appalti atteso che, nelle procedure di evidenza pubblica, la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire perché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara; conseguentemente una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara (Consiglio di Stato, sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6223).

Tanto comporta l’accoglimento del motivo di appello in esame e, conseguentemente, del relativo ricorso di primo grado proposto dalla RICORRENTE Appalti s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., con annullamento della aggiudicazione della gara alla ATI La Controinteressata s.r.l..

6.- Deve a questo punto precisare la Sezione che la appellante principale con il ricorso di primo grado aveva impugnato anche l’ammissione alla gara della terza graduata, al fine di conseguire, in caso di annullamento dell’aggiudicazione definitiva, l’immediato subentro nel contratto stipulato con l’aggiudicataria senza attendere la verifica dell’offerta (ex art. 86, III comma), precisando tuttavia che, in caso di non esclusione della terza graduata, l’offerta della ricorrente sarebbe stata sempre la prima mentre quella dell’ATI ing. Controinteressata 4 s.r.l. sarebbe divenuta la seconda anomala e come tale soggetta a verifica.

Il T.A.R. avendo dichiarato l’impugnata aggiudicazione immune dai vizi dedotti, ha ritenuto superfluo l’esame delle censure dedotte avverso l’ ATI terza classificata.

Le censure contro l’ammissione alla gara di detta terza graduata non sono state riproposte con gli atti di appello e quindi devono ritenersi rinunciate ex art. 101, comma 2, del c.p.a.

Comunque l’ATI appellante era risultata seconda classificata nella graduatoria finale, con un ribasso del 25,173%, mentre l’ATI Controinteressata 4 ing. Paolo s.r.l. risultava solo terza, con un ribasso del 25,102% (pur venendo qualificata la sua offerta quale prima non anomala), sicché a seguito della sua esclusione e dell’annullamento dell’aggiudicazione della gara alla ATI La Controinteressata s.r.l., prima classificata, deve, essere esaminata la richiesta di risarcimento danni formulata con l’appello principale.

7.- Con esso è stato dedotto che spetta il risarcimento del danno derivante dalla illegittima aggiudicazione della gara in favore della controinteressata, che è indice presuntivo della colpa della stazione appaltante, che ha prodotto una lesione all’interesse legittimo dell’appellante.

E’ stato quindi chiesto il risarcimento del danno, ex art. 34 del c.p.a e 35 del d. lgs. n. 80/1998, in forma specifica e per equivalente, con condanna al pagamento del lucro cessante, calcolato nel 10% dell’importo a base d’asta o in subordine nel 5%, secondo i criteri previsti dall’art. 35 del d.lgs. n. 80/1998, nonché del danno curriculare, variabile dall’1 al 5 % sull’importo globale o sulla somma liquidata a detto titolo.

In subordine è stato chiesto di cumulare l’azione di risarcimento danni in forma specifica con quello per equivalente, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 245 bis, ter e quater del d.lgs. n. 163/2006, e la conseguente applicazione, ai sensi dell’art. 245 quater del d.lgs. n. 163/2006, come introdotto dall’art. 11 del d. lgs. n. 53/2010, delle sanzioni alternative ivi previste (in particolare ad una sanzione pecuniaria alternativa in favore dell’appellante del 5% del valore del contratto), sia in modo cumulativo tra di loro che con l’eventuale risarcimento danni in forma specifica.

7.1.- Innanzi tutto rilevato la Sezione che in materia in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto non è necessario provare la colpa dell’Amministrazione aggiudicatrice come ulteriore presupposto del risarcimento da adozione di provvedimento illegittimo, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria a condizione che la possibilità di riconoscere detto risarcimento non sia subordinata alla constatazione dell’esistenza di un comportamento “colpevole”, secondo quanto desumibile dai principi di cui alla giurisprudenza comunitaria ascrivibile alla Corte CE, Sez. III, 30 settembre 2010, C-314/2009 (per la quale, in tema di appalti pubblici, la direttiva Cons. C.E.E. 21 dicembre 1989 n. 665, modificata dalla direttiva Cons. C.E.E. 18 giugno 1992 n. 50, osta a una normativa nazionale che subordini il diritto a ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina di settore da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo alla P.A. stessa e sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali, e dunque, in difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata).

7.2.- Il Collegio, stante la sussistenza dell’elemento soggettivo, è quindi chiamato a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento in forma specifica e/o per equivalente e ritiene di potersi pronunciare sulla sorte del contratto applicando la disciplina introdotta dall’art. 122 del c.p.a., anche con riferimento allo stato di esecuzione del contratto, alla possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione e subentrare nel contratto, nonché agli interessi di tutte le parti.

Nel caso di specie, essendo la ricorrente seconda classificata, e non essendo stata dimostrata la non anomalia della sua offerta (non essendosi pronunciata la riguardo l’Amministrazione dopo la richiesta di chiarimenti in proposito alla rilevata anomalia), non sussiste la certezza che essa avrebbe titolo a conseguire l’aggiudicazione e il contratto in luogo del Consorzio, il che di per sé esclude la possibilità di disporre il risarcimento in forma specifica.

Comunque si tratta di contratto ad avanzato stato di esecuzione, come da memoria depositata il 18.12.2012 dalla appellante principale al punto IV, e il subentro nel contratto, per il quale era previsto un termine di esecuzione di 500 giorni naturali e consecutivi, non sarebbe comunque conforme all’interesse della stazione appaltante, né all’interesse generale a garantire la continuità del servizio in corso.

Pertanto appare corretto mantenere il contratto e accordare il risarcimento solo per equivalente, in termini di perdita di “chance”.

7.3.- Premette la Sezione che la violazione delle regole che presiedono alla corretta conduzione delle procedure ad evidenza pubblica viene ascritta allo schema astratto dell’illecito aquiliano, da valersi quale conclusione più plausibile e maggiormente coerente con le pregnanti esigenze di tutela postulate dall’ordinamento comunitario in tema di competizioni concorrenziali per l’accesso agli appalti pubblici.

Si deve conseguentemente ritenere risarcibile anche l’interesse positivo e, cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la perdita del guadagno (o della sua occasione) connesso all’esecuzione del contratto (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666).

L’accesso a quest’ultima opzione, condivisa dalla Sezione, implica la necessità di provvedere alla determinazione di criteri valutativi astratti e presuntivi della misura del pregiudizio risarcibile, nella configurazione sopra tratteggiata.

7.4.- È innanzi tutto conclusione giurisprudenziale condivisibile quella secondo cui nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante, inteso come mancato profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto, non deve essere calcolato utilizzando il criterio forfetario di una percentuale del prezzo a base d’asta, ma sulla base dell’utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2009, n. 357).

La misura del 10% invocata, infatti, non è più considerata come parametro automatico dalla giurisprudenza in applicazione analogica del criterio del 10% del prezzo a base d’asta ai sensi dell’art. 345 della l. n. 2248/1865, All. F, (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 aprile 12, n. 2317).

Ciò sia perché tale criterio di liquidazione si richiama a disposizione in tema di lavori pubblici che riguarda un istituto specifico, quale l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’Amministrazione committente, sia perché, quando impiegato al mero fine risarcitorio residuale in una logica equitativa, può condurre all’abnorme risultato che il risarcimento dei danni finisca per essere, per l’imprenditore, più favorevole dell’impiego del capitale (il che comporterebbe la mancanza di interesse del ricorrente a provare in modo puntuale il danno subìto quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe).

Il richiamato criterio del 10% non può quindi essere oggetto di applicazione automatica ma è sempre necessaria la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria, anche ai sensi dell’art. 124 del c.p.a., che prevede, in assenza di dichiarazione di inefficacia del contratto, il risarcimento del danno per equivalente subìto, a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato “provato” (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2317/12 cit.).

7.5.- Occorre, inoltre, distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamente escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.

La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fondi su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente venga operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta (come nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa).

Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento pari ad una percentuale dell’utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria, ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto.

Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una “chance” a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.

Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell’offerta presentata dall’impresa danneggiata.

La verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria in questione e la conseguente determinazione dell’entità del pregiudizio risarcibile devono essere, quindi, condotte in coerenza con i parametri valutativi sopra descritti.

7.6.- Tanto premesso, nel caso di specie deve essere effettuata la verifica della spettanza dell’aggiudicazione al ricorrente, tenuto conto che la selezione del contraente era prevista in applicazione del criterio del massimo ribasso percentuale sull’importo dei lavori posti a base di gara al netto degli oneri di sicurezza.

La misura presunta del lucro cessante (commisurata percentualmente all’importo dell’utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria) può, ai fini della liquidazione di tale danno, essere stabilita mediante lo strumento previsto dall’art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della l. n. 205 del 2000, che, appunto, consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento della somma entro un congruo termine, prevedendo che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per la determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza.

Si dispone, pertanto, che l’IACP della Provincia di Lecce provveda a liquidare una somma a favore dell’ATI appellante a titolo di lucro cessante (mancato utile), secondo i criteri appresso indicati, entro il termine massimo di sessanta giorni dalla data di comunicazione, o, se anteriore, da quella di notifica, della presente decisione.

7.6.- In particolare, il risarcimento del danno dovuto dovrà computarsi come segue:

Quanto al pregiudizio per la perdita di chance legata all’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, può nella specie procedersi in via equitativa alla liquidazione di tale voce del danno emergente nella misura del 2% del prezzo offerto dal Consorzio in sede di aggiudicazione.

Quanto al lucro cessante, vale a dire l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per illegittimità dell’azione amministrativa, la giurisprudenza riconosce la spettanza nella sua interezza dell’utile di impresa nella misura del 10% qualora l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre nel caso in cui tale dimostrazione non sia stata offerta – come nella specie è avvenuto – è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori (o servizi o forniture), così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via equitativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6666 del 2003 cit.; Sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5860; Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393).

In conclusione, considerato anche che la appellante principale non ha pienamente provato che l’aggiudicazione definitiva spettava sicuramente ad essa (Consiglio di Stato, Sezione VI, 15 ottobre 2012, n. 5279) e che, mentre la offerta, terza qualificata, dell’ATI Controinteressata 4 ing. Paolo s.r.l. è stata qualificata dall’Amministrazione come prima non anomala, identico riconoscimento non ha ottenuto l’ATI RICORRENTE Appalti s.r.l., il risarcimento in questione può essere riconosciuto in misura pari al 5% dell’utile che effettivamente essa avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria.

7.7.- Sulle somme sopra liquidate, che riguardano tutte il risarcimento del danno e che consistono, perciò, in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione monetaria, secondo gli indici Istat, da computarsi dalla data della stipula del contratto da parte dell’impresa che è rimasta illegittimamente aggiudicataria e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta).

Sulle somme progressivamente e via via rivalutate, sono altresì dovuti gli interessi nella misura legale secondo il tasso vigente all’epoca della stipulazione del contratto, a decorrere dalla data della stipulazione medesima e fino a quella di deposito della presente decisione; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.

Su tutte le somme dovute ai sensi delle precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.

7.9.- La condanna al risarcimento deve essere pronunciata esclusivamente nei confronti dell’Amministrazione soccombente, IACP della Provincia di Lecce, in considerazione del comportamento che ha dato causa all’illecito.

8.- Quanto alla richiesta subordinata di cumulare l’azione di risarcimento danni in forma specifica con quello per equivalente osserva la Sezione che l’art. 245-quater del d. lgs. n. 163/2006, è stato inserito dall’articolo 11 del d.lgs. 20 marzo 2010, n.53 e sostituito dall’ articolo 3, comma 19 dell’Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, e così recita “Le sanzioni alternative applicate dal giudice amministrativo alternativamente o cumulativamente sono disciplinate dal codice del processo amministrativo”.

Il Collegio osserva che non è stata provata la sussistenza nel caso di specie delle condizioni di cui all’art. 245 bis, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 (sostituito dall’art. 121, comma 1, del c.p.a.), presupposto per l’applicabilità del successivo comma 4 e dell’art. 123, comma 1, del c.p.a..

Infatti dalla normativa in materia di contratti pubblici, si ricava che l’applicazione delle sanzioni di cui al comma 1 dell’art. 123 del c.p.a. si ha qualora il contratto sia stato stipulato nei casi previsti dall’art. 121, comma 1, del c.p.a..

La richiesta deve quindi essere respinta.

9.- In conclusione vanno dichiarati improcedibili l’appello principale e quello incidentale proposti contro il dispositivo impugnato; devono essere respinti i motivi aggiunti all’appello incidentale proposti dalla Controinteressata s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con CONTROINTERESSATA 2. s.r.l. e Controinteressata 3 Elevatori s.r.l.. I terzo dei motivi aggiunti all’appello principale della RICORRENTE Appalti s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., deve essere accolto e deve essere riformata la prima decisione, con conseguente annullamento dell’aggiudicazione della gara alla A.T.I. Controinteressata s.r.l.. Restano assorbiti gli ulteriori motivi aggiunti all’appello principale. Deve pure essere accolta la richiesta di risarcimento danni formulata dalla appellante principale nei sensi e nei termini di cui in motivazione.

10.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, previa declaratoria di improcedibilità delle impugnazioni del dispositivo della sentenza di primo grado e previa reiezione dell’appello incidentale della Controinteressata s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con CONTROINTERESSATA 2. s.r.l. e Controinteressata 3 Elevatori s.r.l., accoglie l’appello principale in esame, proposto dalla RICORRENTE Appalti s.r.l. in proprio e quale capogruppo mandataria della A.T.I. con RICORRENTE 2 A.M. s.r.l., e, per l’effetto, in riforma di detta sentenza, accoglie il ricorso originario da quest’ultima proposto dinanzi al T.A.R. ed annulla i provvedimenti con esso impugnati. Condanna l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Lecce al risarcimento del danno a favore della appellante principale nei sensi e nei termini di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Doris Durante, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

 

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