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Corte di giustizia europea_anche una società semplice puo’ partecipare agli appalti

Il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica 

Giunge nuovamente alla decisione del Collegio la questione in esame concernente la possibilità di ammettere la società ricorrente, imprenditore agricolo ai sensi dell’articolo 2135 cod. civ. il quale opera nella forma della società semplice (art. 2251 e segg. cod. civ.), alle pubbliche gare. 

Questo Consiglio di Stato, con l’ordinanza 21 settembre 2011, n. 5290, ha ritenuto che per la definizione della presente controversia fosse necessario disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (art. 267 del TFUE) al fine di ottenere indicazioni circa la corretta interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario derivato rilevanti nella fattispecie. 

In sede di ordinanza di rimessione si era in particolare osservato che nessuna disposizione del diritto nazionale sembrasse ammettere la società ricorrente, per la sua natura giuridica di società semplice, alla partecipazione alle pubbliche gare (sul punto, si rinvia al contenuto della medesima ordinanza di rimessione). 

In data 4 ottobre 2012 la Corte di Giustizia delle CE, Sez. VII si è pronunciata sui quesiti formulati da questo Consiglio con l’ordinanza in causa C-502/2011. 

Ebbene, i Giudici comunitari hanno invece ritenuto che, in base alla normativa comunitaria, si debba pervenire a conclusioni affatto diverse. 

La disciplina di riferimento ai fini della decisione del caso in esame è rappresentata dalla previgente direttiva 93/37/CEE (pur dovendosi anche qui ritenere che il contenuto sostanziale della nuova direttiva – per la parte che nella presente sede rileva – sia in larga parte coincidente con quello della previgente direttiva). 

La direttiva 93/37/CEE stabilisce in più punti che la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto sia consentita alla indifferenziata categoria degli ‘imprenditori’ (es.: articolo 1, primo comma, lettere a), e, f), g), h); articolo 6, paragrafi 5 e 6, ma anche articoli 24, 25, 26 e 27), pur senza fornire una definizione normativa della nozione di ‘imprenditore’. 

La giurisprudenza nazionale ha tuttavia ritenuto che la nozione di ‘imprenditore’ trasfusa nella richiamata direttiva debba essere fatta coincidere con quella esistente nell’ordinamento italiano, il quale fa riferimento a un soggetto il quale svolge “un’attività economica per la produzione e lo scambio di beni o servizi” – articolo 2082 del codice civile – (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 3638/2010). 

Il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, sembra tuttavia differire dalla normativa nazionale di cui sopra: se quest’ultima sembra in via di principio ostare alla partecipazione alle gare di appalto da parte di una società semplice (a cagione esclusiva della sua forma giuridica) all’opposto, il diritto comunitario consente a una siffatta società di prendere parte alle gare pubbliche, stante la sua qualificazione come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37/CEE. 

La Corte di Giustizia ha dunque dato risposta ai quesiti sollevati dal Consiglio di Stato, giungendo alla conclusione che «il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica». 

La statuizione della Corte dinanzi richiamata vincola il Giudice nazionale a disporre la disapplicazione della normativa primaria nazionale ostativa alla partecipazione delle società semplici alle pubbliche gare, in quanto riconosciuta in contrasto con la pertinente normativa comunitaria. 

Ne consegue: 

– per un verso, l’illegittimità del comunicato dell’Autorità n. 42/04, per la parte in cui richiama i tradizionali argomenti di diritto interno ostativi alla richiamata partecipazione e 

– per altro verso, l’illegittimità del provvedimento in data 9 maggio 2005 con cui la SOA C.Q.O.P. ha disposto la revoca dell’attestazione SOA a suo tempo rilasciata in favore dell’odierna appellante 

Pertanto, in riforma della sentenza in epigrafe, gli atti in questione devono essere annullati 

a cura di Sonia Lazzini 

passaggio tratto dalla  decisione numero 3891 del 17  luglio  2013  pronunciata dal Consiglio di Stato

Sentenza integrale

 

N. 03891/2013REG.PROV.COLL.

N. 05683/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5683 del 2006, proposto dalla società Ricorrente Azienda Agricola Ricorrente S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Pallottino e Oberdan Epicoco, con domicilio eletto presso Alessandro Pallottino in Roma, via Oslavia, 14

contro

Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

nei confronti di

S.O.A. C.Q.O.P. Costruttori Qualificati Opere Pubbliche s.p.a.;
Unione Provinciale Agricoltori di Brescia

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione III, n. 1206/2006

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2013 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Pallottino per la società appellante e l’avvocato dello Stato Varone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

FATTO

La società appellante riferisce di essere un imprenditore agricolo ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile costituito nella forma della società semplice di cui agli articoli 2251 e seguenti dello stesso.

Riferisce, altresì, di esercitare attività di coltura e vendita di piante ed essenze arboree da oltre 65 anni e di avere avuto già nel 1944 la prima autorizzazione al commercio delle piante vive.

Ancora, riferisce di avere diciannove dipendenti e di aver realizzato – in media – negli ultimi tre anni un fatturato pari a circa 1,6 milioni di euro, dei quali circa il 10-12 per cento riconducibile alla partecipazione ad appalti pubblici di lavori, secondo la definizione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera b) della direttiva 2004/18/CE (in particolare, le attività svolte riguardano la realizzazione o manutenzione del verde, la messa a dimora delle piante ed essenze prodotte nel vivaio, anche nell’ambito e ai fini del completamento di opere edili).

Conformemente al sistema anzitempo vigente nell’ordinamento italiano, l’appellante, ai fini della partecipazione alle pubbliche gare, aveva ottenuto l’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori, di cui alla legge 10 febbraio 1962, n. 57 nella categoria S1 (avente ad oggetto opere di “movimento terra, demolizioni, sterri, sistemazione agraria e forestale, verde pubblico e relativo arredo urbano”).

Anche a seguito della soppressione del precedente modello (il 1° gennaio 2000) e della istituzione ed entrata in vigore del nuovo sistema nazionale di qualificazione delle imprese partecipanti alle gare pubbliche, rimesso a società private (le SOA- Società Organismi di Attestazione), cui è demandato, tra l’altro, il compito di verificare ex ante la sussistenza per ciascun operatore dei requisiti per la partecipazione alle pubbliche gare, la società appellante otteneva inizialmente un’attestazione di qualificazione.

Nel luglio del 2001 la società ‘S.O.A. C.Q.O.P.’ s.p.a. rilasciava infatti all’odierna appellante un’attestazione di qualificazione per l’esecuzione di lavori pubblici per la categoria S24 (‘verde e arredo urbano’, comprendente attività di “sistemazioni paesaggistiche, verde attrezzato, recinzioni”).

In data 24 novembre 2004 l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici (in seguito Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture), con il comunicato n. 42/04, negava tuttavia in via di principio la possibilità per le S.O.A. di rilasciare l’attestazione per la partecipazione alle pubbliche gare in favore delle società semplici. Gli argomenti prodotti dall’Autorità a sostegno della soluzione negativa possono essere così sintetizzati:

– l’articolo 10 della legge 109 del 1994 (in larga parte corrispondente con l’attuale articolo 34 del ‘codice dei contratti’) limita la possibilità di partecipare alle pubbliche gare alle sole società commerciali (i.e.: a un novero di società che non comprende anche le società semplici);

– al contrario, le società semplici non svolgono ordinariamente attività commerciali, ma vengono costituite al fine di svolgere “ [attività] per lo più agricola o professionale ovvero economica occasionale, tale da non assumere il carattere di vera e propria impresa”;

– il decreto del Presidente della Repubblica 34 del 2000 (il quale disciplina i presupposti e le condizioni per conseguire la qualificazione ai fini della partecipazione alle pubbliche gare) deve necessariamente essere interpretato nel senso di riferirsi soltanto alle imprese che possono essere idonei concorrenti per le gare d’appalto (e questo non è il caso delle società semplici, che non possono svolgere attività commerciali);

– quindi, “si deve escludere la possibilità di attestare le società semplici, in quanto costituite per lo svolgimento di attività (non commerciali) nelle quali non possono ricomprendersi i lavori pubblici ed in quanto escluse dall’elenco di cui all’art. 10 della legge quadro sui lavori pubblici”.

Seguiva, con atto del 3 agosto 2005, una richiesta di chiarimenti da parte dell’Autorità alla “S.O.A. C.Q.O.P.” s.p.a. delle ragioni per cui quest’ultima avesse ritenuto di poter rilasciare all’odierna ricorrente un’attestazione SOA, pur in presenza delle precedenti determinazioni dell’Autorità stessa.

In data 9 settembre 2005 la “S.O.A. C.Q.O.P.” s.p.a. adottava, conseguentemente, un provvedimento di revoca dell’attestazione SOA dapprima rilasciata alla società appellante, richiamando il contenuto delle precedenti decisioni dell’Autorità.

La società ‘Ricorrente Azienda Agricola Ricorrente’ impugnava così dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio:

a) il provvedimento di revoca dell’attestazione SOA;

b) i provvedimenti presupposti adottati dall’Autorità e, in particolare, il comunicato n. 42/04, censurandone sotto numerosi profili l’illegittimità sotto il versante nazionale e comunitario.

Con la sentenza n. 1206/06, il TAR respingeva il ricorso, ritenendo (in estrema sintesi) che:

– l’articolo 10 della l. 109 del 1994 (ratione temporis rilevante nel giudizio e in larga parte coincidente con l’attuale articolo 34 del decreto legislativo 163 del 2006) consente la partecipazione alle gare d’appalto alle sole società commerciali e non anche alle società semplici, le quali non svolgono in via generale attività commerciali;

– le società semplici di cui agli articoli 2251 e seguenti del codice civile non possono essere considerate ‘imprese’ in senso proprio, in quanto non svolgono ordinariamente le attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice civile;

– quindi, correttamente la normativa nazionale (e gli atti dell’Autorità) impediscono la possibilità di partecipare ad appalti di lavori pubblici a società che non possono svolgere attività commerciale.

La sentenza in questione veniva impugnata dinanzi al Consiglio di Stato dalla società ricorrente, la quale lamentava ancora una volta numerose violazioni del diritto nazionale e comunitario.

All’udienza pubblica del 17 maggio 2011, il ricorso veniva trattenuto in decisione e con l’ordinanza n. 5290 del 21 settembre 2011 questo Consiglio, disponendo la sospensione del giudizio, rimetteva alla Corte di Giustizia delle CE le seguenti questioni pregiudiziali:

1) Se l’ordinamento comunitario e, segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37/CEE (in seguito: articolo 4 della direttiva 2004/18/CE), osti in via di principio a una previsione normativa nazionale (quale l’art. 10, comma 1, lettera a) della legge 109 del 1994 – in seguito: articolo 34, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 163 del 2006), il quale limita alle sole società che esercitano attività commerciali la possibilità di partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, in tal modo escludendo taluni imprenditori (quali le società semplici) che non esercitano in via ordinaria e prevalente siffatta tipologia di attività; ovvero se il divieto in questione risulti ragionevole e non discriminatorio alla luce della particolare disciplina e del peculiare regime patrimoniale delle società semplici.

Qualora al primo quesito fosse fornita risposta negativa, articolava il seguente ulteriore quesito:

Se l’ordinamento comunitario e, segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37/CEE (in seguito: articolo 4 della direttiva 2004/18/CE), nonché il principio della libertà della forma giuridica dei soggetti ammessi a partecipare alle gare consenta al Legislatore nazionale di limitare la capacità giuridica di un imprenditore (ovvero, di un operatore economico, secondo la definizione della direttiva 2004/18/CE), in considerazione delle peculiarità che caratterizzano la disciplina nazionale di tale imprenditore, precludendo allo stesso di partecipare alle gare pubbliche di appalto, ovvero se una tale limitazione risulti violativa dei princìpi di ragionevolezza e non discriminazione.

In data 4 ottobre 2012 la Corte di Giustizia delle CE, Sez. VII si pronunciava sulle suddette questioni con l’ordinanza in causa C-502/2011, definendo la questione nel senso che meglio sarà descritto nella parte motiva.

All’udienza pubblica del 28/05/2013, presenti i procuratori delle parti costituite come da verbale di udienza, il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge nuovamente alla decisione del Collegio la questione in esame concernente la possibilità di ammettere la società ricorrente, imprenditore agricolo ai sensi dell’articolo 2135 cod. civ. il quale opera nella forma della società semplice (art. 2251 e segg. cod. civ.), alle pubbliche gare.

2. Questo Consiglio di Stato, con l’ordinanza 21 settembre 2011, n. 5290, ha ritenuto che per la definizione della presente controversia fosse necessario disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (art. 267 del TFUE) al fine di ottenere indicazioni circa la corretta interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario derivato rilevanti nella fattispecie.

In sede di ordinanza di rimessione si era in particolare osservato che nessuna disposizione del diritto nazionale sembrasse ammettere la società ricorrente, per la sua natura giuridica di società semplice, alla partecipazione alle pubbliche gare (sul punto, si rinvia al contenuto della medesima ordinanza di rimessione).

3. In data 4 ottobre 2012 la Corte di Giustizia delle CE, Sez. VII si è pronunciata sui quesiti formulati da questo Consiglio con l’ordinanza in causa C-502/2011.

Ebbene, i Giudici comunitari hanno invece ritenuto che, in base alla normativa comunitaria, si debba pervenire a conclusioni affatto diverse.

La disciplina di riferimento ai fini della decisione del caso in esame è rappresentata dalla previgente direttiva 93/37/CEE (pur dovendosi anche qui ritenere che il contenuto sostanziale della nuova direttiva – per la parte che nella presente sede rileva – sia in larga parte coincidente con quello della previgente direttiva).

La direttiva 93/37/CEE stabilisce in più punti che la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto sia consentita alla indifferenziata categoria degli ‘imprenditori’ (es.: articolo 1, primo comma, lettere a), e, f), g), h); articolo 6, paragrafi 5 e 6, ma anche articoli 24, 25, 26 e 27), pur senza fornire una definizione normativa della nozione di ‘imprenditore’.

La giurisprudenza nazionale ha tuttavia ritenuto che la nozione di ‘imprenditore’ trasfusa nella richiamata direttiva debba essere fatta coincidere con quella esistente nell’ordinamento italiano, il quale fa riferimento a un soggetto il quale svolge “un’attività economica per la produzione e lo scambio di beni o servizi” – articolo 2082 del codice civile – (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 3638/2010).

Il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, sembra tuttavia differire dalla normativa nazionale di cui sopra: se quest’ultima sembra in via di principio ostare alla partecipazione alle gare di appalto da parte di una società semplice (a cagione esclusiva della sua forma giuridica) all’opposto, il diritto comunitario consente a una siffatta società di prendere parte alle gare pubbliche, stante la sua qualificazione come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37/CEE.

4. La Corte di Giustizia ha dunque dato risposta ai quesiti sollevati dal Consiglio di Stato, giungendo alla conclusione che «il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica».

5. La statuizione della Corte dinanzi richiamata vincola il Giudice nazionale a disporre la disapplicazione della normativa primaria nazionale ostativa alla partecipazione delle società semplici alle pubbliche gare, in quanto riconosciuta in contrasto con la pertinente normativa comunitaria.

Ne consegue:

– per un verso, l’illegittimità del comunicato dell’Autorità n. 42/04, per la parte in cui richiama i tradizionali argomenti di diritto interno ostativi alla richiamata partecipazione e

– per altro verso, l’illegittimità del provvedimento in data 9 maggio 2005 con cui la SOA C.Q.O.P. ha disposto la revoca dell’attestazione SOA a suo tempo rilasciata in favore dell’odierna appellante

Pertanto, in riforma della sentenza in epigrafe, gli atti in questione devono essere annullati.

6. In base a quanto sin qui esposto l’appello in epigrafe deve essere accolto e pertanto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere disposto l’annullamento degli atti impugnati in primo grado.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti anche in considerazione della complessità della quaestio iuris oggetto della presente controversia, la cui risoluzione ha richiesto il ricorso allo strumento del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 del TFUE.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il primo ricorso e annulla gli atti in tale sede impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

 

 

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