passaggio tratto dalla decisione numero 4422 del 4 settembre 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
Sentenza integrale
N. 04422/2013REG.PROV.COLL.
N. 01192/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1192 del 2012, proposto da:
Ricorrente s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Tiziana Colelli, con domicilio eletto presso la Delegazione romana della Regione, in Roma, via Barberini n. 36;
Comune di Taranto, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Moretti, con domicilio eletto presso Massimo Malena in Roma, via dei Gracchi, 81;
Arpa Puglia, Arpa Puglia Dipartimento Provinciale di Taranto, Provincia di Taranto, Associazione di Volontariato Attivalizzano, Comune di Lizzano, Comune di Faggiano, Comune di Monteparano;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 01201/2011, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per illegittima chiusura discarica
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Puglia e di Comune di Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Quinto, Colelli e Misserini, per delega dell’Avvocato Moretti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Ricorrente s.p.a., società che gestisce una discarica in località Palombara, ha impugnato davanti al TAR Puglia – sez. staccata di Lecce il provvedimento di sospensione dell’attività svolta nel sito, di cui alla determinazione dirigenziale della Regione Puglia n. 508 del 20 gennaio 2011, contestualmente proponendo domanda di risarcimento dei danni.
2. Il TAR adito ha accolto la domanda di annullamento, ma ha respinto la consequenziale richiesta risarcitoria, con la quale la società ricorrente ha chiesto di essere reintegrata delle perdite patrimoniali subite nei tre giorni di interruzione forzata dell’attività (21, 24 e 25 gennaio) e di essere ristorata del danno all’immagine patito a causa delle notizie sulla vicenda pubblicate sui quotidiani locali.
Il giudice di primo grado ha infatti ritenuto la domanda genericamente formulata nel ricorso introduttivo, quindi irritualmente specificata con memoria anziché con atto notificato alle controparti ed inoltre sfornita di prova in ordine ai pregiudizi subiti.
3. Nel presente appello, la Ricorrente critica tale statuizione, evidenziando che sin dal ricorso introduttivo sono specificati i danni subiti per effetto dell’illegittima chiusura per l’impianto, di cui sopra, e sono parimenti enucleati i criteri di commisurazione degli stessi, precisando sul punto che il danno all’immagine non può che essere liquidato equitativamente, mentre per i danni patrimoniali si era indicato nel margine di utile sul fatturato medio giornaliero, moltiplicato per i tre giorni di chiusura, il ristoro per equivalente invocato, oltre ai costi fissi aziendali, il tutto come risultante dall’attestazione del dott. Giancarlo Sanesi, prodotta in primo grado. Sostiene inoltre che per le poste risarcitorie in questione sono anche stati offerti elementi di prova, consistenti negli articoli di giornale per i danni all’immagine e nella documentazione contabile e di bilancio per i danni patrimoniali.
4. La regione Puglia si è costituita in resistenza.
Ricorda innanzitutto che il tra accertamento dell’illegittimità provvedimentale e risarcimento del danno non sussiste alcun automatismo, occorrendo accertare, giusto il disposto dell’art. 2043 cod. civ., la colpa dell’amministrazione. Tanto premesso, sottolinea che la temporanea sospensione della discarica si è resa necessaria in seguito alle complesse rilevazioni dell’ARPA.
Ribadisce inoltre che la domanda è stata genericamente formulata nel ricorso introduttivo, ed in ammissibilmente integrata con successiva memoria non notificata e dunque senza assicurare il necessario contraddittorio.
5. Si è costituito anche il Comune di Taranto, il quale ha formulato conclusioni adesive a quelle della società appellante.
6. Così riassunte le opposte prospettazioni delle parti, l’appello è fondato nei termini di seguito precisati.
7. Si conviene innanzitutto con la regione Puglia circa il fatto che la responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale richiede, sulla base dell’insuperato insegnamento della Cassazione nella nota sentenza delle Sezioni unite 22 luglio 1999, n. 500, ancora valevole al di fuori del settore dei contratti pubblici, l’accertamento della colpa dell’apparato.
7.1 La stessa regione Puglia non ignora peraltro che in questa peculiare figura di illecito extracontrattuale discendente da illegittimità provvedimentali, l’accertamento di quest’ultimo elemento fonda una presunzione di carattere semplice della sussistenza della colpa, sulla cui base si è ricavata la regola per cui il privato danneggiato può limitarsi ad allegare e provare tale circostanza, assolvendo in tal modo l’onere probatorio su di esso gravante ai sensi dell’art. 2697, comma 1, cod. civ., spettando poi all’amministrazione fornire la prova liberatoria, consistente in sostanza nella scusabilità dell’errore commesso in sede di emanazione del provvedimento (il principio è pacifico presso la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato: sez. V, 2 ottobre 2012, n. 5173 e sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 755, solo per citare le ultime pronunce espressive di questo indirizzo).
7.2 In questa prospettiva, la regione odierna appellata adduce in sostanza che gli accertamenti tecnici alla base del provvedimento di sospensione della discarica poi annullato dal TAR erano caratterizzati da notevole complessità.
7.3 In effetti, in base alla ricordata giurisprudenza la rilevante complessità dei fatti presupposti è idonea ad integrare l’errore scusabile.
Peraltro, nel caso di specie questa evenienza deve decisamente essere esclusa.
Sul punto sovvengono le considerazioni svolte dal TAR nel capo (non ex adverso impugnato) della sentenza appellata nel quale è stata accolta la domanda annullatoria.
Il giudice di primo grado ha censurato l’ordine regionale per la “superficialità” con la quale è stata condotta l’istruttoria in punto provenienza dalla discarica delle cattive esalazioni avvertite nel vicino centro abitato del Comune di Lizzano, concludendo nel senso che sia mancato “un preciso e serio accertamento” su un decisivo presupposto fattuale del provvedimento oggetto di giudizio.
Quanto ora riportato è dunque più che sufficiente per ritenere provata la colpa dell’apparato, perché denota una inescusabile approssimazione, a fronte della quale scolora ogni deduzione circa la complessità tecnica degli accertamenti.
7.4 Non essendo poi contestata la sussistenza del nesso causale tra l’illegittimità provvedimentale in questione ed il danno-evento consistente nella chisura temporanea della discarica, elemento costitutivo della fattispecie ex art. 2043 cod. civ., occorre dunque verificare se i pregiudizi lamentati dalla Ricorrente siano risarcibili.
7.4.1 A questo riguardo, non sono innanzitutto condivisibili i rilievi del TAR e dell’amministrazione resistente secondo cui la domanda è stata formulata genericamente e poi irritualmente integrata con memoria non notificata.
Come osserva l’appellante, infatti, nel proprio ricorso sono indicati tanto i danni risarcibili quanto i criteri per la loro commisurazione.
Nella narrativa dell’atto introduttivo si afferma che la sospensione della discarica ha procurato alla società un danno all’immagine commerciale, a causa del risalto giornalistico della vicenda, di cui agli articoli apparsi sui quotidiani locali contestualmente prodotti, nonché un danno patrimoniale, sotto forma di mancato utile per i tre giorni di chiusura.
Tanto è sufficiente per ritenere soddisfatto l’onere di allegazione e prova imposto al danneggiato, nell’ambito di una domanda per la quale opera con pienezza il principio dispositivo (artt. 40, comma 1, lett. b) e c), e 64 cod. proc. amm.).
7.4.2 Del pari, il ritenere inammissibile la produzione di documenti, quali quelli di bilancio offerti al fine di comprovare il danno patrimoniale dedotto, conduce a configurare una preclusione alle attività probatorie spettanti alla parte nel giudizio di primo grado che il codice del processo fissa, per il giudizio ordinario, nel termine di 40 giorni prima dell’udienza di discussione (art. 73), imponendo alla stessa la mera indicazione dei mezzi di prova di cui intende valersi nel ricorso introduttivo (art. 40, comma 1, lett. c), nella versione vigente all’epoca dell’instaurazione del giudizio).
Ebbene, detto termine risulta nel caso di specie ampiamente rispettato, visto che a fronte dell’udienza di discussione celebratasi il 26 maggio 2011, i documenti in questione sono stati depositati il 3 febbraio precedente.
7.4.3 Con ciò risulta inoltre pienamente assicurato il contraddittorio.
E’ infatti evidente, per rispondere ai rilievi della regione appellata, che con il deposito di documenti nel rispetto del suddetto termine la parte avversaria è in grado di controdedurre agli stessi attraverso le successive memorie conclusive, il tutto sulla base di una scansione delle attività difensive prefigurato dal codice proprio al fine di garantire il pieno contraddittorio tra le parti in causa.
7.5 Può dunque passarsi a verificare se i danni dedotti siano effettivamente stati provati.
Questi consistono, come sopra accennato:
– nel mancato utile per ciascuna giornata di chiusura forzata, desunto dal fatturato medio giornaliero e quantificato dalla Ricorrente in € 66.009 (€ 22.003 x 3);
– nei costi fissi (per personale, ammortamenti ed accantonamenti e di locazione del sito) per i medesimi tre giorni, stimati complessivamente in € 57.594 (€ 19.198 x 3);
e così per un totale di € 123.603.
Vi è poi la domanda di risarcimento del danno all’immagine, per la cui quantificazione la Ricorrente si è giustamente rimessa al prudente apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 1226, cod. civ., in combinato con l’art. 2056 cod. civ., in coerenza del resto con la natura non patrimoniale e cioè non suscettibile di quantificazione dell’equivalente monetario del pregiudizio lamentato.
7.6 Ciò precisato, si può innanzitutto sgomberare il campo dai costi fissi.
Questi non possono evidentemente essere addossati all’amministrazione odierna appellata a titolo risarcitorio, trattandosi onere economico d’esercizio che la Ricorrente avrebbe dovuto comunque sostenere, anche in mancanza di una chiusura forzata della discarica.
Il riconoscimento di tale voce si tradurrebbe infatti in una duplicazione del danno patrimoniale azionato in questo giudizio, visto che – come ampiamente noto – l’utile netto costituisce la risultante della somma algebrica tra gli elementi attivi e gli elementi passivi del conto economico, tra i quali ultimi vanno annoverati anche quelli dedotti dall’appellante.
La considerazione ora esposta rende evidente come nel caso di specie difetti qualsiasi rapporto di causalità tra la condotta colpevole ed il pregiudizio lamentato, cosicché lo stesso non può essere ristorato ex art. 2043 cod. civ., pena altrimenti il conseguimento di un’ingiusta locupletazione a favore del soggetto danneggiato, in contrasto con la funzione reintegratrice della sfera patrimoniale del rimedio del risarcimento del danno per fatto ingiusto altrui.
Ancora sul punto, giova ricordare che su analoghe conclusioni si è formata una ormai consolidata giurisprudenza in relazione a pretese risarcitorie concernenti il danno da mancata aggiudicazione di appalti, nei quali si esclude che le spese sostenute per la redazione dell’offerta presentata in gara possano essere ristorate (da ultimo si è espressa questa Sezione, con sentenza 6 luglio 2012, n. 3966).
7.7 Le considerazioni che precedono rendono invece evidente la fondatezza della pretesa di ristoro del mancato utile.
Questo è infatti il danno effettivamente patito per effetto della sospensione della discarica e ristorabile per equivalente.
Si tratta più precisamente del lucro non conseguito (il “mancato guadagno” ai sensi dell’art. 1223 cod. civ.) nelle tre giornate di chiusura imposte dalla regione.
Anche in questo caso è utile alla comprensione fare un parallelismo con il predetto danno da mancata aggiudicazione, il quale viene ormai costantemente quantificato dalla giurisprudenza amministrativa, una volta abbandonato il criterio residuale e forfetario del 10% dell’offerta, proprio sulla base dell’utile dichiarato in tale offerta dalla concorrente danneggiata (cfr., tra le tante, C.d.S., sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317).
7.8 Scendendo quindi alla quantificazione di tale posta, non si reputa di condividere i calcoli effettuati dal dott. Sanesi, di cui alla citata produzione documentale in primo grado.
Questi ha infatti calcolato l’utile partendo dalla fatturato medio giornaliero dell’anno precedente a quello cui si riferiscono i fatti e cioè il 2010, desunto dal registro Iva vendite, corretto tenendo conto della stagionalità dei flussi di rifiuti conferiti.
Non è tuttavia chiaro come dal (corretto) dato di partenza costituito dal fatturato si pervenga a quantificare l’utile. Non è nemmeno condivisibile – come visto sopra – scorporare i costi fissi, dovendo invece l’utile risultare tenendo anche conto di questi ultimi. Infine, la correzione per la stagionalità appare arbitraria, perché non vi è la ridotta attività nei mesi di ottobre e novembre 2010 costituisca o meno evento eccezionale nella vita dell’azienda.
L’unico dato che può essere impiegato è quello relativo ai giorni annui lavorati, quantificati in 242 e quindi impiegabili come divisore rispetto al dividendo, il quale va individuato nell’utile d’esercizio risultante dal bilancio del 2010, prodotto nel giudizio di primo grado, ed ammontante ad € 3.501.322. L’utile giornaliero risultante da tale divisione risulta essere pari ad € 14.468, importo che moltiplicato per i 3 giorni di chiusura conduce a quantificare in € 43.404 il risarcimento dovuto dalla regione per il titolo qui in discussione.
7.9 E’ inoltre fondata la domanda di risarcimento del danno all’immagine.
La Cassazione ha infatti riconosciuto la ristorabilità di tale pregiudizio anche nei confronti della persona giuridica (sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929), precisando che esso si sostanzia nella diminuita considerazione di tale soggetto, lesiva sia dell’agire delle persone fisiche preposte ai suoi organi sia dell’azione dell’ente stesso, nei settori di sua competenza.
Nella citata pronuncia si è anche specificato che tale danno va liquidato in via equitativa e non si vede come potrebbe essere diversamente, afferendo lo stesso ad un bene di carattere personale e dunque ristorabile ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., per quanto astrattamente idoneo a ripercuotersi negativamente sulla capacità di penetrazione commerciale dell’ente a causa della perdita di fiducia presso terzi.
7.9.1 Tutto ciò precisato, non vi è dubbio nemmeno che tale danno sia stato provato dall’odierna appellante sulla base degli articoli di stampa prodotti.
E’ infatti incontestabile che essi forniscano la prova del risalto che la chiusura della discarica ha avuto presso le comunità locali direttamente interessate (è appena il caso di ricordare che in materia di danno all’immagine della pubblica amministrazione la giurisprudenza contabile afferma che lo strepitus fori del fatto del funzionario infedele possa essere provato anche sulla base delle cronache giornalistiche: ex multis, C. conti, sez. II app. 28 settembre 2011, n. ; 443; sez. III app., 14 marzo 2012, n. 228; sez. app. Sicilia, 9 marzo 2005, n. 61; sez. Sicilia 23 febbraio 2012 n. 609; sez. Friuli, 26 aprile 2005, n. 285; sez. Piemonte, 13 novembre 2003, n. 1856).
Nell’articolo apparso su “La gazzetta del mezzogiorno” del 21 gennaio 2011, intitolato “Ricorrente, stop per dieci giorni”, si riferisce: “Il gestore della discarica non ha mai ottemperato ad eliminare i cattivi odori anche in merito agli esiti fatti dall’Arpa circa il superamento della soglia della concentrazione in aria dell’acido solfidrico. Inoltre, anche su alcuni controlli fatti dall’Arpa di Taranto e dalla Polizia provinciale, si è evidenziata la difformità”.
Nell’articolo sulla versione on-line de “La Repubblica”, cronaca di Bari, del 20 gennaio 2011, intitolato “Rifiuti, sospesa la licenza alla discarica del tarantino” si riporta una nota della regione nella quale la Ricorrente è tacciata di “cattiva gestione dei rifiuti, con la mancata copertura giornaliera per evitare odori”, nonché le risultanze dell’Arpa: “ha evidenziato la presenza di odorigeni in agro di Lizzano, associati ad una non corretta gestione della discarica”.
Di analogo tenore è l’articolo edito il 21 gennaio 2011 da “Taranto cronaca” intitolato “La Regione sospende la discarica Ricorrente”.
7.9.2 Risulta conseguentemente provato il discredito patito dalla società odierna appellante, per addebiti poi smentiti in questo giudizio.
Per tale voce di danno si reputa equa ex artt. 2056 e 1226 cod. civ. la somma di € 10.000,00.
Sul capitale come sopra liquidato spettano gli accessori di legge, consistenti negli interessi compensativi e nella rivalutazione monetaria.
La decorrenza di entrambe tale voci va individuata nell’epoca in cui il fatto ingiusto è avvenuto e si è consumato, vale a dire al 25 gennaio 2011, ultimo giorno di chiusura.
Il saggio al quale vanno computate le medesime voci, tenuto conto della mancata allegazioni di impieghi maggiormente remunerativi del capitale da parte della danneggiata, è:
– per gli interessi, quello legale;
– per la rivalutazione monetaria, quello dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
I ridetti accessori devono essere computati nel seguente modo: sulla capitale iniziale, pari complessivamente ad € 54.404,00, va annualmente rivalutato secondo il citato indice e su tale capitale così via via attualizzato devono essere computati gli interessi. Ciò sino alla data della presente sentenza, nella quale il debito di valore si è convertito in debito di valuta e sul quale, quindi, spettano unicamente gli interessi legali sino all’effettivo pagamento.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono dunque poste a carico della sola Regione, nella misura liquidata in dispositivo, mentre possono essere compensate nei confronti del Comune di Taranto.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione.
Condanna la Regione Puglia a rimborsare all’appellante Ricorrente s.p.a. le spese del presente giudizio, liquidate in € 4.000,00, oltre al contributo unificato ex art. 9 d.p.r. n. 115/2002 ed agli altri accessori di legge.
Compensa le spese tra la medesima appellante ed il Comune di Taranto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 04422/2013REG.PROV.COLL.
N. 01192/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1192 del 2012, proposto da:
Ricorrente s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Tiziana Colelli, con domicilio eletto presso la Delegazione romana della Regione, in Roma, via Barberini n. 36;
Comune di Taranto, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Moretti, con domicilio eletto presso Massimo Malena in Roma, via dei Gracchi, 81;
Arpa Puglia, Arpa Puglia Dipartimento Provinciale di Taranto, Provincia di Taranto, Associazione di Volontariato Attivalizzano, Comune di Lizzano, Comune di Faggiano, Comune di Monteparano;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 01201/2011, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per illegittima chiusura discarica
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Puglia e di Comune di Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Quinto, Colelli e Misserini, per delega dell’Avvocato Moretti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Ricorrente s.p.a., società che gestisce una discarica in località Palombara, ha impugnato davanti al TAR Puglia – sez. staccata di Lecce il provvedimento di sospensione dell’attività svolta nel sito, di cui alla determinazione dirigenziale della Regione Puglia n. 508 del 20 gennaio 2011, contestualmente proponendo domanda di risarcimento dei danni.
2. Il TAR adito ha accolto la domanda di annullamento, ma ha respinto la consequenziale richiesta risarcitoria, con la quale la società ricorrente ha chiesto di essere reintegrata delle perdite patrimoniali subite nei tre giorni di interruzione forzata dell’attività (21, 24 e 25 gennaio) e di essere ristorata del danno all’immagine patito a causa delle notizie sulla vicenda pubblicate sui quotidiani locali.
Il giudice di primo grado ha infatti ritenuto la domanda genericamente formulata nel ricorso introduttivo, quindi irritualmente specificata con memoria anziché con atto notificato alle controparti ed inoltre sfornita di prova in ordine ai pregiudizi subiti.
3. Nel presente appello, la Ricorrente critica tale statuizione, evidenziando che sin dal ricorso introduttivo sono specificati i danni subiti per effetto dell’illegittima chiusura per l’impianto, di cui sopra, e sono parimenti enucleati i criteri di commisurazione degli stessi, precisando sul punto che il danno all’immagine non può che essere liquidato equitativamente, mentre per i danni patrimoniali si era indicato nel margine di utile sul fatturato medio giornaliero, moltiplicato per i tre giorni di chiusura, il ristoro per equivalente invocato, oltre ai costi fissi aziendali, il tutto come risultante dall’attestazione del dott. Giancarlo Sanesi, prodotta in primo grado. Sostiene inoltre che per le poste risarcitorie in questione sono anche stati offerti elementi di prova, consistenti negli articoli di giornale per i danni all’immagine e nella documentazione contabile e di bilancio per i danni patrimoniali.
4. La regione Puglia si è costituita in resistenza.
Ricorda innanzitutto che il tra accertamento dell’illegittimità provvedimentale e risarcimento del danno non sussiste alcun automatismo, occorrendo accertare, giusto il disposto dell’art. 2043 cod. civ., la colpa dell’amministrazione. Tanto premesso, sottolinea che la temporanea sospensione della discarica si è resa necessaria in seguito alle complesse rilevazioni dell’ARPA.
Ribadisce inoltre che la domanda è stata genericamente formulata nel ricorso introduttivo, ed in ammissibilmente integrata con successiva memoria non notificata e dunque senza assicurare il necessario contraddittorio.
5. Si è costituito anche il Comune di Taranto, il quale ha formulato conclusioni adesive a quelle della società appellante.
6. Così riassunte le opposte prospettazioni delle parti, l’appello è fondato nei termini di seguito precisati.
7. Si conviene innanzitutto con la regione Puglia circa il fatto che la responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale richiede, sulla base dell’insuperato insegnamento della Cassazione nella nota sentenza delle Sezioni unite 22 luglio 1999, n. 500, ancora valevole al di fuori del settore dei contratti pubblici, l’accertamento della colpa dell’apparato.
7.1 La stessa regione Puglia non ignora peraltro che in questa peculiare figura di illecito extracontrattuale discendente da illegittimità provvedimentali, l’accertamento di quest’ultimo elemento fonda una presunzione di carattere semplice della sussistenza della colpa, sulla cui base si è ricavata la regola per cui il privato danneggiato può limitarsi ad allegare e provare tale circostanza, assolvendo in tal modo l’onere probatorio su di esso gravante ai sensi dell’art. 2697, comma 1, cod. civ., spettando poi all’amministrazione fornire la prova liberatoria, consistente in sostanza nella scusabilità dell’errore commesso in sede di emanazione del provvedimento (il principio è pacifico presso la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato: sez. V, 2 ottobre 2012, n. 5173 e sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 755, solo per citare le ultime pronunce espressive di questo indirizzo).
7.2 In questa prospettiva, la regione odierna appellata adduce in sostanza che gli accertamenti tecnici alla base del provvedimento di sospensione della discarica poi annullato dal TAR erano caratterizzati da notevole complessità.
7.3 In effetti, in base alla ricordata giurisprudenza la rilevante complessità dei fatti presupposti è idonea ad integrare l’errore scusabile.
Peraltro, nel caso di specie questa evenienza deve decisamente essere esclusa.
Sul punto sovvengono le considerazioni svolte dal TAR nel capo (non ex adverso impugnato) della sentenza appellata nel quale è stata accolta la domanda annullatoria.
Il giudice di primo grado ha censurato l’ordine regionale per la “superficialità” con la quale è stata condotta l’istruttoria in punto provenienza dalla discarica delle cattive esalazioni avvertite nel vicino centro abitato del Comune di Lizzano, concludendo nel senso che sia mancato “un preciso e serio accertamento” su un decisivo presupposto fattuale del provvedimento oggetto di giudizio.
Quanto ora riportato è dunque più che sufficiente per ritenere provata la colpa dell’apparato, perché denota una inescusabile approssimazione, a fronte della quale scolora ogni deduzione circa la complessità tecnica degli accertamenti.
7.4 Non essendo poi contestata la sussistenza del nesso causale tra l’illegittimità provvedimentale in questione ed il danno-evento consistente nella chisura temporanea della discarica, elemento costitutivo della fattispecie ex art. 2043 cod. civ., occorre dunque verificare se i pregiudizi lamentati dalla Ricorrente siano risarcibili.
7.4.1 A questo riguardo, non sono innanzitutto condivisibili i rilievi del TAR e dell’amministrazione resistente secondo cui la domanda è stata formulata genericamente e poi irritualmente integrata con memoria non notificata.
Come osserva l’appellante, infatti, nel proprio ricorso sono indicati tanto i danni risarcibili quanto i criteri per la loro commisurazione.
Nella narrativa dell’atto introduttivo si afferma che la sospensione della discarica ha procurato alla società un danno all’immagine commerciale, a causa del risalto giornalistico della vicenda, di cui agli articoli apparsi sui quotidiani locali contestualmente prodotti, nonché un danno patrimoniale, sotto forma di mancato utile per i tre giorni di chiusura.
Tanto è sufficiente per ritenere soddisfatto l’onere di allegazione e prova imposto al danneggiato, nell’ambito di una domanda per la quale opera con pienezza il principio dispositivo (artt. 40, comma 1, lett. b) e c), e 64 cod. proc. amm.).
7.4.2 Del pari, il ritenere inammissibile la produzione di documenti, quali quelli di bilancio offerti al fine di comprovare il danno patrimoniale dedotto, conduce a configurare una preclusione alle attività probatorie spettanti alla parte nel giudizio di primo grado che il codice del processo fissa, per il giudizio ordinario, nel termine di 40 giorni prima dell’udienza di discussione (art. 73), imponendo alla stessa la mera indicazione dei mezzi di prova di cui intende valersi nel ricorso introduttivo (art. 40, comma 1, lett. c), nella versione vigente all’epoca dell’instaurazione del giudizio).
Ebbene, detto termine risulta nel caso di specie ampiamente rispettato, visto che a fronte dell’udienza di discussione celebratasi il 26 maggio 2011, i documenti in questione sono stati depositati il 3 febbraio precedente.
7.4.3 Con ciò risulta inoltre pienamente assicurato il contraddittorio.
E’ infatti evidente, per rispondere ai rilievi della regione appellata, che con il deposito di documenti nel rispetto del suddetto termine la parte avversaria è in grado di controdedurre agli stessi attraverso le successive memorie conclusive, il tutto sulla base di una scansione delle attività difensive prefigurato dal codice proprio al fine di garantire il pieno contraddittorio tra le parti in causa.
7.5 Può dunque passarsi a verificare se i danni dedotti siano effettivamente stati provati.
Questi consistono, come sopra accennato:
– nel mancato utile per ciascuna giornata di chiusura forzata, desunto dal fatturato medio giornaliero e quantificato dalla Ricorrente in € 66.009 (€ 22.003 x 3);
– nei costi fissi (per personale, ammortamenti ed accantonamenti e di locazione del sito) per i medesimi tre giorni, stimati complessivamente in € 57.594 (€ 19.198 x 3);
e così per un totale di € 123.603.
Vi è poi la domanda di risarcimento del danno all’immagine, per la cui quantificazione la Ricorrente si è giustamente rimessa al prudente apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 1226, cod. civ., in combinato con l’art. 2056 cod. civ., in coerenza del resto con la natura non patrimoniale e cioè non suscettibile di quantificazione dell’equivalente monetario del pregiudizio lamentato.
7.6 Ciò precisato, si può innanzitutto sgomberare il campo dai costi fissi.
Questi non possono evidentemente essere addossati all’amministrazione odierna appellata a titolo risarcitorio, trattandosi onere economico d’esercizio che la Ricorrente avrebbe dovuto comunque sostenere, anche in mancanza di una chiusura forzata della discarica.
Il riconoscimento di tale voce si tradurrebbe infatti in una duplicazione del danno patrimoniale azionato in questo giudizio, visto che – come ampiamente noto – l’utile netto costituisce la risultante della somma algebrica tra gli elementi attivi e gli elementi passivi del conto economico, tra i quali ultimi vanno annoverati anche quelli dedotti dall’appellante.
La considerazione ora esposta rende evidente come nel caso di specie difetti qualsiasi rapporto di causalità tra la condotta colpevole ed il pregiudizio lamentato, cosicché lo stesso non può essere ristorato ex art. 2043 cod. civ., pena altrimenti il conseguimento di un’ingiusta locupletazione a favore del soggetto danneggiato, in contrasto con la funzione reintegratrice della sfera patrimoniale del rimedio del risarcimento del danno per fatto ingiusto altrui.
Ancora sul punto, giova ricordare che su analoghe conclusioni si è formata una ormai consolidata giurisprudenza in relazione a pretese risarcitorie concernenti il danno da mancata aggiudicazione di appalti, nei quali si esclude che le spese sostenute per la redazione dell’offerta presentata in gara possano essere ristorate (da ultimo si è espressa questa Sezione, con sentenza 6 luglio 2012, n. 3966).
7.7 Le considerazioni che precedono rendono invece evidente la fondatezza della pretesa di ristoro del mancato utile.
Questo è infatti il danno effettivamente patito per effetto della sospensione della discarica e ristorabile per equivalente.
Si tratta più precisamente del lucro non conseguito (il “mancato guadagno” ai sensi dell’art. 1223 cod. civ.) nelle tre giornate di chiusura imposte dalla regione.
Anche in questo caso è utile alla comprensione fare un parallelismo con il predetto danno da mancata aggiudicazione, il quale viene ormai costantemente quantificato dalla giurisprudenza amministrativa, una volta abbandonato il criterio residuale e forfetario del 10% dell’offerta, proprio sulla base dell’utile dichiarato in tale offerta dalla concorrente danneggiata (cfr., tra le tante, C.d.S., sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317).
7.8 Scendendo quindi alla quantificazione di tale posta, non si reputa di condividere i calcoli effettuati dal dott. Sanesi, di cui alla citata produzione documentale in primo grado.
Questi ha infatti calcolato l’utile partendo dalla fatturato medio giornaliero dell’anno precedente a quello cui si riferiscono i fatti e cioè il 2010, desunto dal registro Iva vendite, corretto tenendo conto della stagionalità dei flussi di rifiuti conferiti.
Non è tuttavia chiaro come dal (corretto) dato di partenza costituito dal fatturato si pervenga a quantificare l’utile. Non è nemmeno condivisibile – come visto sopra – scorporare i costi fissi, dovendo invece l’utile risultare tenendo anche conto di questi ultimi. Infine, la correzione per la stagionalità appare arbitraria, perché non vi è la ridotta attività nei mesi di ottobre e novembre 2010 costituisca o meno evento eccezionale nella vita dell’azienda.
L’unico dato che può essere impiegato è quello relativo ai giorni annui lavorati, quantificati in 242 e quindi impiegabili come divisore rispetto al dividendo, il quale va individuato nell’utile d’esercizio risultante dal bilancio del 2010, prodotto nel giudizio di primo grado, ed ammontante ad € 3.501.322. L’utile giornaliero risultante da tale divisione risulta essere pari ad € 14.468, importo che moltiplicato per i 3 giorni di chiusura conduce a quantificare in € 43.404 il risarcimento dovuto dalla regione per il titolo qui in discussione.
7.9 E’ inoltre fondata la domanda di risarcimento del danno all’immagine.
La Cassazione ha infatti riconosciuto la ristorabilità di tale pregiudizio anche nei confronti della persona giuridica (sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929), precisando che esso si sostanzia nella diminuita considerazione di tale soggetto, lesiva sia dell’agire delle persone fisiche preposte ai suoi organi sia dell’azione dell’ente stesso, nei settori di sua competenza.
Nella citata pronuncia si è anche specificato che tale danno va liquidato in via equitativa e non si vede come potrebbe essere diversamente, afferendo lo stesso ad un bene di carattere personale e dunque ristorabile ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., per quanto astrattamente idoneo a ripercuotersi negativamente sulla capacità di penetrazione commerciale dell’ente a causa della perdita di fiducia presso terzi.
7.9.1 Tutto ciò precisato, non vi è dubbio nemmeno che tale danno sia stato provato dall’odierna appellante sulla base degli articoli di stampa prodotti.
E’ infatti incontestabile che essi forniscano la prova del risalto che la chiusura della discarica ha avuto presso le comunità locali direttamente interessate (è appena il caso di ricordare che in materia di danno all’immagine della pubblica amministrazione la giurisprudenza contabile afferma che lo strepitus fori del fatto del funzionario infedele possa essere provato anche sulla base delle cronache giornalistiche: ex multis, C. conti, sez. II app. 28 settembre 2011, n. ; 443; sez. III app., 14 marzo 2012, n. 228; sez. app. Sicilia, 9 marzo 2005, n. 61; sez. Sicilia 23 febbraio 2012 n. 609; sez. Friuli, 26 aprile 2005, n. 285; sez. Piemonte, 13 novembre 2003, n. 1856).
Nell’articolo apparso su “La gazzetta del mezzogiorno” del 21 gennaio 2011, intitolato “Ricorrente, stop per dieci giorni”, si riferisce: “Il gestore della discarica non ha mai ottemperato ad eliminare i cattivi odori anche in merito agli esiti fatti dall’Arpa circa il superamento della soglia della concentrazione in aria dell’acido solfidrico. Inoltre, anche su alcuni controlli fatti dall’Arpa di Taranto e dalla Polizia provinciale, si è evidenziata la difformità”.
Nell’articolo sulla versione on-line de “La Repubblica”, cronaca di Bari, del 20 gennaio 2011, intitolato “Rifiuti, sospesa la licenza alla discarica del tarantino” si riporta una nota della regione nella quale la Ricorrente è tacciata di “cattiva gestione dei rifiuti, con la mancata copertura giornaliera per evitare odori”, nonché le risultanze dell’Arpa: “ha evidenziato la presenza di odorigeni in agro di Lizzano, associati ad una non corretta gestione della discarica”.
Di analogo tenore è l’articolo edito il 21 gennaio 2011 da “Taranto cronaca” intitolato “La Regione sospende la discarica Ricorrente”.
7.9.2 Risulta conseguentemente provato il discredito patito dalla società odierna appellante, per addebiti poi smentiti in questo giudizio.
Per tale voce di danno si reputa equa ex artt. 2056 e 1226 cod. civ. la somma di € 10.000,00.
Sul capitale come sopra liquidato spettano gli accessori di legge, consistenti negli interessi compensativi e nella rivalutazione monetaria.
La decorrenza di entrambe tale voci va individuata nell’epoca in cui il fatto ingiusto è avvenuto e si è consumato, vale a dire al 25 gennaio 2011, ultimo giorno di chiusura.
Il saggio al quale vanno computate le medesime voci, tenuto conto della mancata allegazioni di impieghi maggiormente remunerativi del capitale da parte della danneggiata, è:
– per gli interessi, quello legale;
– per la rivalutazione monetaria, quello dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
I ridetti accessori devono essere computati nel seguente modo: sulla capitale iniziale, pari complessivamente ad € 54.404,00, va annualmente rivalutato secondo il citato indice e su tale capitale così via via attualizzato devono essere computati gli interessi. Ciò sino alla data della presente sentenza, nella quale il debito di valore si è convertito in debito di valuta e sul quale, quindi, spettano unicamente gli interessi legali sino all’effettivo pagamento.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono dunque poste a carico della sola Regione, nella misura liquidata in dispositivo, mentre possono essere compensate nei confronti del Comune di Taranto.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione.
Condanna la Regione Puglia a rimborsare all’appellante Ricorrente s.p.a. le spese del presente giudizio, liquidate in € 4.000,00, oltre al contributo unificato ex art. 9 d.p.r. n. 115/2002 ed agli altri accessori di legge.
Compensa le spese tra la medesima appellante ed il Comune di Taranto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
V