passaggio tratto dalla decisione numero 5547 del 20 novembre 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
Sentenza integrale
N. 05547/2013REG.PROV.COLL.
N. 08419/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8419 del 2011, proposto da:
Ricorrente Srl, rappresentato e difeso dagli avv.ti Stefano Rosa, Pietro Musto, con domicilio eletto presso Vania Romano in Roma, viale Mazzini, 6;
contro
Comune di Avellino, rappresentato e difeso dagli avv.ti Berardina Manganiello, Gabriella Brigliadoro, Giovanni De Magistris Santucci, con domicilio eletto presso Raffaele Porpora in Roma, via Pavia, 28;
Provincia di Avellino, rappresentata e difesa dagli avv. Gennaro Galietta, Oscar Mercolino, con domicilio eletto presso Gianluigi Cassandra in Roma, via Gallia, 86;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE II n. 00363/2011, resa tra le parti, concernente diniego parziale proroga termine ultimazione lavori di ristrutturazione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Avellino e di Provincia di Avellino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Musto e Porpora, quest’ultimo per delega degli avvocati Brigliadoro, Manganiello e De Magistris Santucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso al TAR della Campania-sezione di Salerno, la società Ricorrente esponeva di essere proprietaria di un lotto di mq. 3.575, sito in Avellino, alla via Palombi, gravato da un fabbricato di circa mq. 1.000, suddiviso nei corpi A, B e C, per il quale aveva ottenuto dal Comune di Avellino un permesso (n.11157/2006) per ristrutturazione, manutenzione straordinaria ed adeguamento igienico–funzionale, da eseguirsi nel termine di tre anni, decorrenti dalla data d’inizio dei lavori. Premetteva inoltre la ricorrente che:
– detta area ricadeva nel comparto Rq 10 del P. U. C., contenente la previsione, da attuarsi su iniziativa privata, della creazione di un’arteria di viabilità pubblica, attraversante l’immobile denominato edificio C, di proprietà della medesima;
– in data 18.10.07, l’Amministrazione comunale aveva avviato un procedimento, volto alla verifica della legittimità del prefato p. di c., conclusosi con la conferma della stessa;
– approssimandosi la scadenza del termine per l’esecuzione dei lavori (14.09.09), la ricorrente aveva chiesto al Comune, in data 16.07.09, una proroga di ventiquattro mesi dello stesso termine, la quale, tuttavia, era stata concessa, soltanto per i corpi A e B, con esclusione del corpo C, la cui ristrutturazione non avrebbe garantito la realizzazione e la cessione delle aree a viabilità, previste nel P. U. C.;
2. – Pertanto, in tale parte, la società istante impugnava col predetto ricorso (n. 2200 del 2009):
a)- il provvedimento n. prot 36508/31375 del 2.10.2009, notificato mediante consegna, a mani, in pari data, con cui il Comune di Avellino ha, tra l’altro, concesso una proroga di dodici mesi del termine per l’ultimazione dei lavori di ristrutturazione edilizia del complesso di proprietà della ricorrente, sito alla via Palombi n. 10, assentiti originariamente, su richiesta della stessa ricorrente, con il permesso di costruire n. 11157 del 21.08.06, relativamente ai corpi di fabbrica A e B, nella parte in cui detta proroga non viene concessa anche per il corpo di fabbrica C;
b)- nonché, ove necessario, il P. U. C. adottato con delibera di C. C., n. 18 sub 13 del 23.01.06, ed approvato con d. P. G. P. n. 1 del 15.01.08, nella parte in cui, all’art. 16 delle N. T. A. ed alla scheda normativa, all. 1 b, delle stesse N. T. A., prevede, nella zona di riqualificazione urbana “Collina Liquorini” (Rq 10), la costruzione di una arteria di viabilità pubblica, che attraversa gli immobili di proprietà E. N. E. L. siti in Avellino alla via Palombi, e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.
2.1.- A sostegno dell’impugnativa venivano articolati i seguenti motivi di censura:
– 1) Violazione del principio del legittimo affidamento; degli artt. 12 e 15 d. P. R. 380/01; dell’art. 10 l. r. Campania 16/04; dell’art. 4.5 del R. E. del Comune di Avellino; del giusto procedimento; Eccesso di potere (contraddittorietà con precedenti determinazioni, illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti, erronea valutazione dei presupposti): non era applicabile l’art. 15 co. 4 d. P. R. 380/01, prevedente la decadenza del p. di c., per sopravvenienze urbanistiche, perché relativamente al corpo C, trattandosi di ristrutturazione edilizia, non ne era prevista la demolizione e ricostruzione; del resto, al momento del rilascio del titolo edilizio, il P. U. C. era già stato adottato; se il ragionamento del Comune fosse stato valido, lo stesso ente avrebbe dovuto sospendere ogni determinazione in merito alla domanda, come prescritto dall’art. 12, co. 3, del d. P. R. 380/01 e dall’art. 10 della l. r. Campania n. 16/04; inoltre, il provvedimento impugnato si poneva in palese contraddizione con l’atto, emanato dal Comune in data 22.11.07, con il quale era stata ribadita la legittimità del p. di c. in questione;
2) Violazione dell’art. 3 l. 241/90; Eccesso di potere (sviamento, difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): la motivazione del provvedimento gravato era assolutamente incongrua ed insufficiente, tanto più in considerazione del fatto che la previsione di piano doveva essere attuata, per mezzo di iniziativa privata;
3) Violazione dell’art. 42 Cost.; dei principi del giusto procedimento, di proporzionalità, di ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa; degli artt. 7 e 11 d. P. R. 327/01; degli artt. 3, 7 e ss. l. 241/90; Eccesso di potere (illogicità e contraddittorietà): qualora il vincolo, insistente sul corpo di fabbrica C, fosse stato ritenuto di natura espropriativa, sarebbero stati allora violati i parametri normativi di riferimento, non avendo il Comune attivato, al riguardo, alcun contraddittorio con la società ricorrente.
La stessa società proponeva, infine, due distinte domande di risarcimento danni, la prima, per il caso dell’accoglimento del ricorso e del conseguente annullamento del provvedimento gravato, relativa alle conseguenze dannose patrimoniali (lucro cessante, danno all’immagine, danno da perdita di chance) che si sarebbero prodotte, nella sfera giuridica della stessa società, per effetto dell’adozione del medesimo (relativamente alla quantificazione delle quali, era chiesto l’espletamento di c. t. u.); la seconda, per il caso di mancato accoglimento del ricorso e, quindi, di mancato annullamento dello stesso provvedimento, relativa comunque ai danni, derivati alla società, per effetto della violazione dell’affidamento ingenerato, dal Comune di Avellino, circa la legittimità del p. di c. di cui sopra.
3.- Con un secondo ricorso (n.2201/2009), la società Ricorrente censurava, inoltre, il provvedimento n. prot. 48754 – 42926/Urb del 29.10.09, notificato in data 6.11.09, del Comune di Avellino, recante chiusura del procedimento, avviato per valutare l’annullamento del silenzio–assenso formatosi sulla d. i. a., presentata dalla ricorrente in data 24.04.09, in variante al permesso di costruire n. 11157/2006, confermando la validità della predetta d. i. a., relativamente alle opere di consolidamento strutturale, ma negando il chiesto mutamento di destinazione d’uso del piano terra.
La ricorrente segnalava che:
– negli allegati all’istanza di permesso, era chiaramente prevista la destinazione ad uffici del piano terra del corpo A (da allestire in “open–space”), la quale rifletteva, del resto, quella dell’intero blocco A;
– con d. i. a. del 29.04.09, cui aveva fatto seguito il silenzio–assenso dell’Amministrazione comunale, la ricorrente aveva chiesto l’autorizzazione ad effettuare opere di consolidamento strutturale del medesimo blocco, ed aveva ribadito, altresì, al fine di fugare ogni dubbio, il cambio di destinazione d’uso del piano terra ad uffici, rispetto allo stato di fatto esistente.
Tanto premesso, la società istante lamentava che:
– in data 2.10.09, il Comune le aveva comunicato l’avvio del procedimento volto all’annullamento del silenzio–assenso, formatosi sulla prefata d. i. a., contestando il cambio di destinazione d’uso, che, seppur compatibile con le previsioni del P. U. C., avrebbe posto la necessità d’individuare gli standards urbanistici, per parcheggi pubblici e privati, a norma delle N. T. A. del medesimo piano;
– nonostante la presentazione di osservazioni, il Comune aveva quindi chiuso il procedimento, confermando la validità della d. i. a., quanto alle opere di consolidamento strutturale, ma negando l’ammissibilità del cambio di destinazione d’uso da spogliatoi, servizi igienici e docce, ad uffici.
3.1.- Avverso detta determinazione, la ricorrente esponeva le seguenti doglianze:
1) Violazione dell’art. 3 del d. P. R. 300/92; dell’art. 19 co. 3 della l. 241/90; degli artt. 22 e 23 del d. P. R. 380/01; dell’art. 2 della l. r. Campania 19/01; del principio del giusto procedimento; Eccesso di potere (sviamento, illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): ove l’Amministrazione avesse ravvisato l’incompletezza o l’irregolarità della d. i. a., presentata dalla ricorrente, avrebbe dovuto, anziché annullare il provvedimento tacitamente formatosi al riguardo, richiedere un’integrazione documentale, e tanto ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 co. 3 della l. 241/90 e 3 co. 3 del d. P. R. 300/92;
2) Violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della l. 241/90; dei principi del legittimo affidamento e di proporzionalità; Eccesso di potere (illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): sarebbe mancato, nella specie, l’interesse pubblico, concreto ed attuale, all’annullamento del provvedimento tacitamente formatosi, laddove era stato violato il legittimo affidamento, ingeneratosi nel privato, per effetto del comportamento del Comune, circa la legittimità del cambio di destinazione d’uso;
3) Violazione dell’art. 3 l. 241/90; dei principi del legittimo affidamento, del giusto procedimento, di ragionevolezza e di buon andamento dell’azione amministrativa; Eccesso di potere (incompletezza e difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): il provvedimento impugnato non recava un’adeguata motivazione, tanto più se si teneva presente che, secondo la ricorrente, il mutamento di destinazione d’uso doveva ritenersi autorizzato, già con il permesso di costruire.
La ricorrente proponeva, altresì, domanda di risarcimento dei danni, cagionati alla medesima dalla condotta dell’Amministrazione, sotto i profili del danno emergente, del danno all’immagine e del danno da perdita di chance, chiedendo che fosse espletata una c. t. u., volta alla precisa quantificazione degli stessi.
4.- Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo, riuniti i gravami, ha respinto il ricorso contro il diniego di proroga ed il PUC ed ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse, il ricorso rivolto contro il diniego di DIA relativo al cambio di destinazione d’uso.
5.- Di qui l’appello proposto dalla RICORRENTE, cui resiste il Comune di Avellino , il quale ha specificato in memoria le proprie difese, riproponendo in primo luogo le eccezioni di irricevibilità rigettate in primo grado.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 2 luglio 2013.
DIRITTO
1.- Il gravame in trattazione controverte sulla legittimità di un diniego di proroga di permesso per lavori di ristrutturazione e di una repressione di DIA inerente di mutamento di destinazione d’uso relativi ad una porzione di fabbricato interessato da sopravvenuta previsione urbanistica di opera pubblica stradale. La controversia coinvolge lo strumento urbanistico (il PUC adottato ed approvato), nella parte recante la previsione di detta opera. La fattispecie “sub iudice” è caratterizzata dal fatto che il permesso della cui proroga si discute è stato rilasciato tra l’adozione del nuovo PUC e la sua approvazione, mentre il diniego di proroga dei lavori e la parziale repressione della dia sono stati emessi successivamente alla definitiva approvazione del citato strumento.
2- Ritiene il Collegio di poter prescindere dalla trattazione delle eccezioni di irricevibilità, inammissibilità ed improcedibilità rigettate in primo grado (e qui riproposte dal Comune appellato), poiché la sentenza di rigetto, in varie forme, dei ricorsi della società è meritevole di essere confermata.
Contro la pronunzia l’ appellante ha formulato sei ordini di censure, alcuni contro il dispositivo di rigetto del primo gravame ed altri avverso la pronunziata improcedibilità del secondo.
2.1.- Il primo ambito di doglianze contro la sentenza di reiezione esordisce, contrastando il rigetto del primo motivo di ricorso, con il quale Ricorrente aveva dedotto l’illegittimità del diniego di proroga del permesso di costruire a suo tempo rilasciato; in particolare, secondo l’appellante, non sussisterebbe, nel nuovo e sopravvenuto strumento, il contrasto che secondo il TAR determina, invece, la decadenza del permesso ai sensi dell’art. 15 comma 4 del d. P. R. 380/2001. La censura argomenta per l’erroneità del diniego e conseguentemente della sentenza che ne ha confermato la legittimità, in quanto:
– il nuovo strumento di programmazione demanda la previsione della creazione di una nuova arteria pubblica al PUA di iniziativa privata, cui è affidata la scelta del procedimento autorizzatorio;
– la natura dell’intervento autorizzato (ristrutturazione) comporta che la conformità urbanistica dell’originario edificio si trasmette all’intervento di ristrutturazione, creando un diritto acquisito dal proprietario, secondo la legge vigente, al mantenimento ed alla conservazione dell’immobile preesistente;
– il Comune di Avellino, avviando e concludendo a suo tempo un procedimento di verifica della legittimità del permesso rilasciato, ha creato una posizione di legittimo affidamento alla realizzazione del progetto di ristrutturazione di cui si tratta;
– il Comune non ha disposto alcuna misura di salvaguardia, pur essendo queste obbligatorie.
Tali doglianze sono infondate.
Va sul primo aspetto premesso che la previsione del PUC, alla cui stregua si determina la decadenza del permesso preclusiva della sua proroga, è incontestatamente costituita dalla creazione di un’arteria di viabilità pubblica, attraversante l’immobile denominato edificio C, di proprietà della società ricorrente. Ne deriva che, pur essendo l’intervento in controversia costituito da una ristrutturazione, esso viene ad incrementare il valore dell’edificio interessato dalla scelta pianificatoria e quindi il costo della stessa per la collettività . Né a ciò può utilmente obiettarsi che la decisione (seppur al sol fine di motivare la non immediata lesività della previsione del PUC) ha confermato la natura non espropriativa, ma meramente conformativa della previsione di piano, sottolineando che la scelta urbanistica si realizza non con la cessione delle aree interessate, bensì con l’istituto della perequazione urbanistica; anche la cessione che avvenga con tale sistema, infatti, comporta una valutazione, in termini di corrispettivo economico, dei beni immobili offerti in perequazione al proprietario delle aree destinate ad opere di interesse pubblico.
Restano quindi del tutto irrilevanti, rispetto al pubblico interesse recato dal sopravvenuto strumento, sia la natura dell’intervento edilizio, sia del soggetto autore, nonché della tipologia del titolo autorizzatorio.
Quanto al secondo motivo del gruppo, obliterando che il permesso è stato a suo tempo rilasciato, si confondono i presupposti del rilascio del titolo, di cui non si controverte, con quelli per pronunziarne la proroga o in mancanza la decadenza in rapporto alla sopravvenienza normativa urbanistica. Peraltro, nel regime di conformazione della proprietà non sono configurabili in favore del proprietario i sostenuti diritti, inamovibili nel tempo, alla realizzazione dei titoli edilizi assentiti, potendo questi essere sia disciplinati da norme che li assoggettino a limiti temporali di realizzazione, sia modificati o soppressi dallo “jus superveniens” recato da strumenti urbanistici con essi incompatibili e che li colgano non realizzati mediante l’effettiva costruzione.
L’obbligo di emettere misure di salvaguardia, poi, sospendendo l’esame delle domande incompatibili con il nuovo assetto di uno strumento “in itinere”, riguarda “naturaliter” le istanze edilizie non ancora esitate col rilascio del relativo titolo, mentre qui si discute dei presupposti decadenziali relativi ad un titolo già rilasciato.
Infine, in ordine alla ritenuta posizione di legittimo affidamento circa la realizzazione del progetto edilizio, essa viene certamente in rilievo successivamente al rilascio del titolo (e certamente rafforzata da un procedimento di conferma della sua legittimità), ma si tratta di costruzioni giuridiche operanti sempre con riguardo alla normativa urbanistica vigente (secondo il principio “tempus regit actum”) e che, pertanto, non pongono il titolo edilizio non attuato al riparo dagli eventi giuridici successivi al suo rilascio, ivi compreso lo “ius superveniens”.
2.2.- Il secondo ordine di motivi censura la sentenza ove ha escluso il vizio di difetto di motivazione del diniego di proroga, difetto evidenziante come l’intervento, pur prevedendo un’opera pubblica, ricadesse nell’ambito della iniziativa privata. Tale circostanza, che il ricorso rimarcava al fine di dimostrare uno stringente onere di motivazione dei provvedimenti impugnati, è stata dal TAR ritenuta inidonea a dimostrare il difetto di motivazione, poiché l’interesse alla viabilità è comunque di natura collettiva. Si tratterebbe, ad avviso dell’appellante, di un’argomentazione speciosa, infondata ed illogica, poiché il non tenere conto dell’affidamento del PUA al privato rappresenterebbe una incostituzionale sopraffazione del diritto di proprietà.
Proprio al contrario, speciosa è la tesi avanzata dall’appellante, se si considera quanto già osservato esaminando il primo gruppo di motivi; ed invero che lo strumento urbanistico preveda la realizzazione dell’intervento attraverso il privato, o direttamente ad opera dell’amministrazione non muta l’interesse pubblico che ad essa si sottende e che pertanto sostiene il diniego di proroga del permesso di costruzione, rettamente, dunque, giustificato in rapporto all’intervento preventivato dallo strumento urbanistico.
2.3.- Il terzo ordine di motivi afferma a carico della sentenza e con riferimento al PUC una serie di violazione dei principi e delle norme che presiedono all’attività pianificatoria comunale, recante la previsione posta dal Comune all’origine dei provvedimenti impugnati.
a) – Non ha anzitutto alcun fondamento la critica di aver prescelto, per la realizzazione dell’opera viabile, lo strumento della perequazione urbanistica, senza considerare che “gli interventi in questione sono stati realizzati con permesso di costruire e non con il PUA, rendendo così inattuabile la perequazione urbanistica”. La censura è inconferente rispetto al tema del contendere, facendo riferimento ad interventi già autorizzati da permesso di costruire, mentre la normativa di piano viene in rilievo nel presente giudizio non ai fini della legittimità del titolo, ma dei presupposti e della motivazione del diniego di proroga dei lavori assentiti.
b) – Errata è anche la censura (già formulata dal terzo motivo del primo ricorso e che non pare essere stata approfondita dal TAR) di omesso contraddittorio nella scelta pianificatrice, necessario ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/1990, nel momento in cui si optava per la collocazione dell’arteria viabile in attraversamento del fabbricato preesistente ed oggetto del permesso di ristrutturazione. Il motivo è infondato, poiché, secondo pacifica giurisprudenza, le esigenze di contraddittorio trovano ampio soddisfacimento in sede di procedimento pianificatorio negli istituti dell’adozione e pubblicazione dello strumento e delle osservazioni su di esso formulabili dagli interessati.
c) – Le restanti censure del gruppo in esame sono invece inammissibili, in quanto volte a censurare la scelta localizzatrice dell’opera a fronte dell’ampia discrezionalità che caratterizza la potestà pianificatrice (cfr., per il principio, ex multis, Cons. di Stato, sez.IV, n.464/1990 e n. 548/2004). L’appellante lamenta che il primo giudice non abbia tenuto in nessun conto la carenza di motivazione nella localizzazione dell’opera, sostenendo che la previsione non sarebbe sorretta da alcun interesse pubblico e concreto, ma non perviene alla dimostrazione di una sua effettiva irrazionalità con conseguente inutile sacrificio della proprietà privata.
2.4.- Il quarto gruppo di motivi riguarda la parte della sentenza che ha dichiarato improcedibile il secondo ricorso, rivolto contro il provvedimento (n. prot. 48754 – 42926/Urb del 29.10.09), nella parte in cui esso ha negato il richiesto mutamento di destinazione d’uso del piano terra (da spogliatoi, servizi igienici e deposito attrezzi ad uffici) . Secondo l’appellante avrebbe errato il primo giudice nell’affermare la sopravvenuta carenza di interesse in ragione della presentazione una d. i. a. (in variante al p. di c. n. 11157/2006 e ad integrazione della d. i. a. del 29.04.2009) al dichiarato scopo di ripristinare la destinazione d’uso originaria del piano terra. Argomenta la ricorrente che la presentazione della DIA ad integrazione e variante aveva unicamente il fine provvisorio di ottimizzare il prosieguo dei lavori edilizi in vista della scadenza del termini per la loro ultimazione, senza voler in alcun modo rinunciare all’impugnativa proposta. La pronunziata improcedibilità, sbarrando l’accesso ai motivi di merito, si è pertanto risolta in denegata giustizia, non essendo stati esaminati nel merito i motivi del ricorso contro il provvedimento in questione. Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.
Premesso che il TAR non ha dato atto di alcuna rinunzia al ricorso (istituto peraltro del tutto distinto dalla improcedibilità), si osserva che la pronunzia di sopravvenuta carenza di interesse poggia effettivamente, come riferisce il primo giudice, su una documentazione (versata in atti a corredo della dia), che, al punto n.3 della relazione tecnica descrittiva, riferisce : “Per il blocco “A” si tornerà alla (recte: alle) destinazioni d’uso originarie. Ossia al piano terra saranno realizzati dei locali adibiti a spogliatoi e servizi igienici con l’aggiunta di un w. c. per disabili, così come da prescrizione ASL del 6.06.2006 prot. 1431P”. Conclude sul punto il primo giudice evidenziando che “Nulla, in particolare, è stato controdedotto, da parte ricorrente, circa l’eccepita improcedibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza d’interesse” e che, “essendo stata abbandonata, “per facta concludentia”, mercé la presentazione della suddetta d. i. a. integrativa, l’ipotesi progettuale della destinazione ad uffici del piano terra del corpo A, ed essendosi, in tal modo, la ricorrente sostanzialmente conformata al tenore testuale del provvedimento, gravato con il ricorso n. 2201/2009 (il Comune aveva, infatti, con il medesimo, confermato “la destinazione attuale del piano terra come da permesso a costruire n. 11157/2006, ovvero a spogliatoi, servizi igienici, docce, deposito attrezzi”), deve ritenersi venuto meno l’interesse, da parte di E. N. E. L. Servizi, a coltivare tale seconda impugnativa …..”.
E’ pertanto evidente che, a fronte dei documentati rilievi svolti dal Tribunale, le asserzioni poste a base del motivo in esame risultano sfornite di qualsiasi concretezza.
La correttezza di quanto disposto sul punto dal TAR preclude, perciò, ogni ipotesi di giustizia denegata per mancata pronunzia sui motivi di merito del ricorso dichiarato improcedibile. L’interesse al ricorso, infatti, costituisce presupposto condizionante l’azione giurisdizionale verificabile d’ufficio e la cui carenza preclude al giudice ogni valutazione della domanda giudiziale nel merito (art. 100 c.p.c).
2.5.- Il quinto ordine di motivi è inammissibile. Viene lamentato che il Tribunale non abbia tenuto conto che i provvedimenti di annullamento adottati dal Comune in sede di autotutela “decisoria” sono subordinati al rispetto degli art. 21 quinquies e nonies della legge n. 241/1990. La censura, che riguarda il provvedimento con cui il Comune, in sede di verifica della DIA in variante, ha represso la stessa con riferimento al richiesto mutamento di destinazione, non è esaminabile. In disparte l’erronea qualificazione dell’atto come espressione di autotutela (la DIA non è infatti un provvedimento dell’amministrazione ma un comportamento del privato (cfr. Cons. di Stato, a.p., n. 15/2011), il Collegio non può accedere alla questione in presenza di una decisione di prime cure che, per le ragioni sopra indicate, ha correttamente dichiarato improcedibile il ricorso contro l’atto repressivo in questione.
2.6.- L’ultimo ordine di rilievi investe il rigetto delle due distinte domande risarcitorie. Su queste ultime il TAR ha osservato che: “Il mancato accoglimento del ricorso impedisce, in radice, lo scrutinio favorevole della prima delle due domande di risarcimento dei danni, formulata da parte ricorrente per il caso dell’accoglimento del ricorso; mentre, quanto alla seconda di dette istanze risarcitorie (testualmente avanzata proprio per la verificata ipotesi di rigetto dell’impugnativa, avverso il diniego parziale di proroga del termine per l’ultimazione dei lavori, relativi al p. di c. in esame), osserva il Collegio che l’asserita lesione, da parte del Comune di Avellino, dello “affidamento circa la piena e sicura legittimità del permesso di costruire, non pare idonea, in assenza della prova di un fatto illecito generatore di danno e della sua riferibilità ad una condotta, almeno colposa, dell’Amministrazione, a fondare alcuna responsabilità, “ex lege Aquilia”, in capo alla medesima.”
A premessa dei motivi d’appello formulati al riguardo, la società appellante ricorda la proposizione, in entrambi i ricorsi di primo grado, di due domande risarcitorie, una conseguente alla sostenuta illegittimità degli atti impugnati e l’altra per il caso di rigetto dei ricorsi. Le sollevate questioni debbono essere esaminate distintamente sia in relazione a detta doppia tipologia, sia al dispositivo della sentenza gravata.
2.6.1- Quanto alle domande di risarcimento formulate per la reiezione del primo ricorso (confermata dalla presente sentenza) la censura in esame, dopo avere contrastato l’affermazione del TAR per cui “non si ravvisano nel nostro ordinamento principi generali di tutela dell’affidamento nell’espletamento dell’attività provvedimentale (Consiglio Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6389)”, evidenzia come in precedenza l’amministrazione avesse creato affidamento nella ricorrente, confermando, a seguito di specifico procedimento, la validità della DIA in variante relativamente alle opere di consolidamento strutturale. La doglianza non può essere accolta.
Va premesso, infatti, che l’assenza di un pronunzia di illegittimità degli atti gravati priva l’istanza di risarcimento aquiliano di uno dei requisiti essenziali stabiliti dall’art. 2043 cod.civ. e precisamente dell’ “antigiuridicità” della condotta tenuta dall’amministrazione. Si tratta di una carenza che toglie rilevanza ad ogni altra questione, pur formulata dall’appello (v. punto 3 del gruppo di motivi in esame, con riferimento alla asserita colpa dell’amministrazione), che investa gli altri presupposti risarcitori, poiché l’affermazione della responsabilità civile comporta il concorso di tutti i requisiti fissati dalla citata norma civilistica.
Ma anche indipendentemente dalla conformità dell’azione amministrativa rispetto ai parametri di legge e considerando quindi l’azione risarcitoria sganciata dalla pregiudiziale di legittimità (Cons. di Stato, a.p., n.2/2006), la censura in esame non appare fondata. Vero è che, sul piano dei principi, l’affermazione da parte del TAR circa l’assenza di tutela dell’affidamento nel nostro sistema giuridico appare alquanto spinta e comunque non trova l’appoggio di orientamenti giurisprudenziali preponderanti.
Tuttavia, con stretto riferimento al caso in esame, la tutela dell’affidamento non può trovare applicazione, poiché oggetto del contendere (dato peraltro costantemente ignorato dall’appello) non è la legittimità del permesso originario che ha assentito i lavori di consolidamento strutturale (i quali sono stati, infatti, autorizzati perché non ritenuti incompatibili con il nuovo PUC già adottato) o della relativa variante DIA, ma il diniego della proroga del termine dei lavori, con le conseguenze derivanti dal categorico dettato dell’art. 15, comma 4, del dpr n. 380/2001, in relazione all’intervenuto mutamento della locale normativa urbanistica. Nel merito, la formazione di un ragionevole affidamento alla proroga dei lavori risultava invero preclusa non solo dalla preesistenza, per il permesso originario, di un termine decadenziale di legge, ma anche dal fatto che, come già accennato al punto 1, per l’intervento in questione gli elementi di incompatibilità introdotti dal nuovo PUC (approvato con DPGP del 15.1.08), e sui quali si è fondato il diniego di proroga, erano in vero già presenti precedentemente sia al momento della DIA in variante (richiesta il 24.4.09), sia della domanda di proroga del termine finale per i lavori (avanzata il 16.7.09), sia della scadenza del medesimo (14.9.09). Occorreva soltanto rispettare il termine di conclusione dei lavori per evitare che il disposto del citato art. 15 determinasse la decadenza dei titoli edilizi in forza delle nuove e contrastanti previsioni urbanistiche. Ma certamente, alla stregua della situazione fattuale e giuridica, non poteva crearsi alcun affidamento tutelato alla proroga del termine ed alla non repressione parziale della DIA 24.9.2009.
2.6.2.- Anche la richiesta di risarcimento proposta con riferimento all’altro ricorso, dichiarato improcedibile, non può trovare accoglimento. Al riguardo il TAR ha regolato la questione rilevando che l’improcedibilità sopravvenuta del ricorso preclude in radice l’esame (delle censure sollevate dalla ricorrente e) della pedissequa domanda risarcitoria.
La conclusione del primo giudice merita conferma anche qui, per le motivazioni già esposte trattando della domanda precedente e riferite alla insussistenza sia di atti illegittimi, che dei presupposti per l’accoglimento dell’azione risarcitoria.
2.6.3 – Per le ragioni testé esposte anche il sesto ordine di motivi d’appello non può essere accolto.
3.- Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
– Restano assorbiti ulteriori motivi ed eccezioni espressamente riproposti in questa sede che il Collegio non ritiene rilevanti ai fini della presente decisione..
4.- Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, respinge l’appello.
Condanna parte appellante al pagamento, in favore del Comune e della Provincia di Avellino, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in euro 3.000,00, (tremila/00) [1500,00 (millecinquecento/00) per ciascuna delle due amministrazioni appellate costituite], oltre accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 luglio 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con l’intervento dei signori:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)